Magazine Diario personale

Ali primera

Da Astonvilla

Nasce il 31 di ottobre di 1941; all'età di due anni muore suo padre a causa di una sparatoria nella prefettura dove lavorava, lo ferisce Pedro Agüero in un fatale incidente. La famiglia Primera intraprende la strada verso San José de Cocodite, suo fratello Asisclo ottiene lavoro di officeboy nella Creole, dopo passa al servizio militare.
Il tempo dei Primera in Caja de Agua è poco e ritorneranno presto a San José dove in un “conuco” prestato Alí certifica il suo mestiere di seminatore in precoce età, dove condivide momenti con Monche, lo Zio Juan e con Héctor Bagüeuto. In un angolo della strada Corea, Alí si incontra con Pedro Moreno Valles con un “cuatro” nella sua mano insieme a Pedro Padilla con la sua chitarra, dove Alí passa il tempo ad ascoltarli.
Asisclo ottiene una casa nel campo Junior Staff de las Piedras ed inoltre trova lavoro per Héctor ed Alí come "cachifo" del comando militare dove puliscono cucine, servono cibo ed irrigano i giardini. Fecero anche i lustrascarpe, con un cartello “di oggi non garantisco, domani si". Quando Monche ritorna da Caracas iscrive Alí e Héctor nella scuola Raúl Lugo, dove sono accettati in 2do grado.
In questa tappa incontra Raúl "caburito" Quintero il suo amico; per Alí fu, fin da giovane età, l'amicizia un concetto fondamentale. Continua la primaria nel gruppo scolastico Alejandro Ibarra de Caja de Agua, dove la culmina. È all'età di 14 anni che Alí con un “cuatro” che gli portò il fratello comincia a "charrasquear" canzoni di amore. A sua volta lo porterà alle manifestazioni contro la dittatura di Pérez Jiménez ed ai cenacoli coi pescatori (Juan Bariaca, Tulio Guariato, Bolivita e il vecchio Mingan).
Sua madre la Sig.ra. Adela parla alla famiglia Reyes de las Piedras, la quale amò il suo Alí come un figlio. Fu allora che Héctor ed Alí iniziano a boxare nel Bar "Pico y Palma". Alí va a Caracas nell'anno 1956, dove entra al liceo Caracas , già nell'anno 1958 appare con un basco rosso ed un carnet che lo portano a partecipare alla Guerriglia Urbana.
In questa epoca la Rivoluzione Cubana trionfa e Fidel, il Che e Cienfuegos rappresentano la speranza dei partiti Comunisti per il cambiamento della società Latinoamericana. Alí entra nella Universidad Central de Venezuela, per intraprendere così nell'anno 1961 la carriera di Ing. Chimico. La sua lotta militante segue, la sua voce non potrà essere silenziosa, benché viene incarcerato dal governo di Raúl Leoni e nelle celle della DIGEPOL compone "umanità."
Nell'anno 1968, Alí è sovvenzionato dal PCV per continuare i suoi studi in Romania. Dopo più di due anni, prima di ottenere la laurea, quando ha già quasi completa la tesi, scrive a sua madre e gli dice che non vuole sottomettersi allo sfruttamento delle compagnie industriali petrolifere. Intraprende così il suo viaggio in Svezia dove ha i suoi due primi figli con la Svedese Tarja Osenis, li chiamano: María Fernanda "Shimpi" e María Angela "Marimba."
Quindi parte per la Germania dove con canzoni messicane imparate da Pedro Infante, canta per ottenere il suo sostentamento. In Germania riesce a registrare le sue prime canzoni con contenuto sociale. Ricorderà sempre il muratore che gli disse "no vendas tu canto, que si lo vendes me vendes, que si lo vendes te vendes"... Da lì continuerà la sua marcia verso la Polonia e l'Unione Sovietica dove canta nella Piazza Rossa di Mosca.
Alí ritorna in Venezuela nell'anno 1973, dove nella ricerca per l'unità del paese, accompagna José Vicente Rangel e le MA. A Barquisimeto conosce la sua futura moglie, Sole Musset, la quale aveva vinto il concorso di "la voz liceista" e si presentava nel festival "los Venezolanos primero" nell'anno 1977.
Quindi il destino dei suoi giorni sarà destinato alla lotta per il popolo, al canto per le masse ed alla sua incredibile solidarietà verso la lotta de " La Patria Buena ". Col correre degli anni le persecuzioni si moltiplicano, gli attentati sono più frequenti; la minaccia che rappresentava il canto di Alí per le cupole del sistema diventa ogni volta più forte ed un giorno (16 Febbraio di 1985) un fatale incidente automobilistico avvolge di lutto il popolo venezuelano.
"Canzone a canzone, lotta a lotta, continueremo a scrivere la canzone per cantarla al popolo che ci ha sempre cantato. Prendi la tua chitarra, impugna la tua coscienza e canta... concentra il tuo impegno contro chi non vuole che esista gente del nostro paese che viva meglio. Bisognerà "armare" le nostre canzoni con la nostra propria condotta, non con frasi ricercate in interviste, cadere in poetizzazioni pretenziose è perderci...”
Dall'ultima intervista ad Alí Primera di Mariam Nuñez del 24 gennaio 1985
Io sono “campesino” nella mia formazione, nel vissuto principale dell'uomo, la sua infanzia, la musica degli uccelli, dei venti del nord e del sud, dell'est, negli alberi di Paraguaná, della Paraguaná secca, ma contemporaneamente della Paraguaná affettuosa, musicale, solidale, canti dei contadini nella semina, canti della croce di maggio, salsa, merenghe, valzer, con vecchi clarini e violini, “cuatro” con archi di caprone, di lì nasce il canto che mi ha riempito lo spirito e l'anima…
La mia canzone ha un'influenza principale: il vissuto del mio popolo. Dopo, ovviamente, ho conosciuto le belle canzoni del Sud dell'America Latina, America Centrale, Cuba, che sono molto belle, sono anche fiori dello stesso albero latinoamericano del quale noi facciamo parte, ma la mia canzone è essenzialmente venezuelana, benché si chiami contemporaneamente latinoamericana.
Quando incominciai, ignoravo il termine protesta, perché io non protesto, io non canto per protestare, io canto per convocare, per essere parte di una coscienza che si crei con la canzone. Protestare è a volte semplicemente presentare un disturbo spirituale davanti ad una situazione. Io canto e milito con la canzone, con la canzone come arma, come aiuto, come appoggio.
Non sto al margine di ciò che la canzone chiama, di ciò che la canzone dice, di ciò che la canzone denuncia, non sono rimasto al margine, perché non si tenta solamente di denunciare una situazione ingiusta bensì di lottare fino in fondo, essere presente affinché questa situazione non esista più, non graviti sull'uomo, sul popolo.
Quando incominciai come cantore ignoravo totalmente il movimento musicale dell'America Latina, ed il movimento che molta gente chiamò di protesta a livello mondiale. Cominciai a cantare con l'intenzione di dire con la canzone e di mettere la canzone in appoggio ad un combattimento per la vita, per la dignità, compreso, perché non dirlo, un combattimento per un cambiamento profondo nella nostra società.
Si tratta di una canzone politica, perché qualunque progetto in Venezuela ed in qualunque paese, è politico. Noi abbiamo un'intenzione, benché non tutte le canzoni abbiano un'idea politica ovvia, abbiamo l'intenzione di scrivere il nostro canto, il nostro movimento culturale, in un movimento trasformatore del popolo, in un movimento politico che trasporti il popolo. Perché quando tu parli di informare, vuol dire, informare per trasformare, partendo da un popolo che, incosciente della sua propria realtà, compresa la sua propria forza, è incapace di mobilitarsi e di trasformare.
Allora quando facciamo una canzone ci riuniamo con un folclorista, con ragazzi che sono ignorati nel territorio nazionale, ma che hanno nel suo paese un bel lavoro, e noi quando andiamo, diamo forza a questo lavoro in modo che la nostra canzone si trasformi in un veicolo che aiuti alla difesa della nostra radice come popolo, della nostra identità come popolo. In quel momento si trasforma in un movimento politico...
Noi parliamo di canzone, non di recital, di concerto. Noi facciamo una canzone per la Victoria, la canzone per l'Unità del Paese, la canzone per la Patria Buona. Abbiamo scritto canzoni che si trasformano già in istituzioni culturali nei differenti popoli del nostro paese, ogni canzone di un uomo di popolo è valida ed è necessaria, e noi ci riuniamo con cantori folcloristi, cantori popolari in ogni popolo, perché non parliamo solo ai popoli affinché ci ascoltino, ma promuoviamo anche gli artisti regionali che a volte sono ostacolati nel riuscire ad avere un'udienza maggiore per le loro canzoni. Ci unisce solo l'intenzione di cantare.
La maggioranza della gente che mi ascolta è giovane, sono i giovani che ballano e cantano ed ascoltano le nostre canzoni, e ci chiedono autografi, non allo stile fans, ci chiedono che scriviamo loro qualcosa che li aiuti a ricordare quel momento e questo è molto importante. Non è un'influenza animata all'uso dei Media, all'uso della TV, no. Noi ci mobilitiamo con la voglia di cantare.
Si tratta di gente che quando cantano una canzone, lanciano un grido con quell'intenzione profonda di alzarsi col grido, di uscire da un'inquietudine, da un'apatia, di cercare l'entusiasmo e la voglia, la voglia di rendere meno sterile il nostro praticantato. Io non posso trasformare il mio atteggiamento in un atteggiamento mercantilista, a me non interessa ottenere un nome attraverso la pubblicità, a me interessa che il popolo prima di conoscere Alí Primera, conosca la mia canzone.
Ho scritto sempre le mie canzoni con l'intenzione principale di farla sentire bene, sia nella mia voce o nella voce di altri compagni; ho raggiunto abbastanza spazio, ho percorso abbastanza strada, ovviamente questa strada non ha limiti, fino all'ultimo alito seguirò lungo questa strada...
Questo compito di cantore lo realizzo con gran piacere e sento che quando vado in America Latina, quando mi applaudono in Argentina, quando mi appoggiano, quando in Messico mi dicono continua e quando in Ecuador, Cuba, Panama, quando in Europa mi dicono continua, mi sento compromesso con questa chiamata, con questo impulso.
Fino a qui sono arrivato, posso dire tranquillamente cammino, cammino molto vicino alla tenerezza, alla rabbia, all'amore, cammino molto vicino al combattimento per la vita, cammino molto vicino al mio popolo, cammino molto vicino alla radice, forse affinché mi arrivi con più forza la linfa dal popolo.
Sono stato il primo venezuelano che ha iniziato a cantare da solo nell'Aula Magna della UCV, e l'Aula Magna piano piano si è si riempita. Questo fu nel ‘69, e l'Aula Magna è ancora lì e continua ad essere il nido più bello della mia canzone, ricevendo da parte degli studenti un appoggio caldo, un compromesso, una sfida, ma tuttavia, il nido più ampio, più meraviglioso è la patria intera, i popoli dimenticati, accantonati nella geografia venezuelana.
A questi sono voluto arrivare e sono arrivato nonostante la percentuale enorme di analfabeti che esistono nella campagna venezuelana, nell'interno, nella provincia, non c’è ostacolo per capire le mie canzoni perché le mie canzoni sono semplici, sono lingue del popolo stesso.... Non sono solo cantore per lo studente, o per il contadino, sono cantore per l'uomo e l'uomo sta in tutti gli angoli della patria. Una volta dissi che la patria era qualunque angolo dove esiste un essere umano...
Nel 1967, mentre ero nelle celle di Las Brisas, stando vicino a molti compagni studenti, a causa alle restrittive "misure" di sicurezza del governo di Raúl Leoni, dopo lo sgombero della nostra Università Centrale, potei constatare qualcosa che mi avrebbe segnato per sempre, per tutta la mia vita: nella musica quando ci si mette a cavalcare versi dove il protagonista è l'uomo fatto combattente, quando l'amore che si nomina non è oramai solo individuale, quello intimo, bensì è l'amore solidale per tutti gli esseri umani, quando il verso oltre a divertire crea elementi riflessivi e di coscienza, quando la canzone compie queste caratteristiche, ripeto si converte in un arma popolare.
Arma popolare che difende il popolo contro la transculturizzazione che nega la sua identità e la sua memoria libertaria, canzone che aiuta a sostenere la speranza in una patria più degna e solidale, in una patria più bolivariana. Da quel momento (1967) e mantenendo un compromesso più profondo con la mia militanza rivoluzionaria che incominciò nel 1959, ho camminato una sola strada, accompagnato dalla canzone ed accompagnando la canzone, con una presenza attiva nelle battaglie che hanno continuato a liberare il mio popolo, non appropriandosi della carta di dirigente bensì facendo sì che dal proprio seno esca l'avanguardia.
Ma da quello momento ho dovuto affrontare tutti i pericoli e le situazioni spiacevoli che come cantore mi sono state presentate. Intendo il cantore non solo colui che scrive e canta canzoni, bensì colui che arma con la sua condotta militante e solidale la canzone stessa, colui che non traffica con l'entusiasmo che la canzone sveglia nel popolo, bensì colui che lavora tutti i giorni per organizzare quell'entusiasmo, quella coscienza svegliata, in un movimento popolare dove il popolo passi ad essere da spettatore sottomesso della sua realtà ad un attivo lottatore per trasformare la stessa.
Il nostro canto non appartiene per questo motivo oramai ad un partito politico bensì a tutto il popolo, per questo motivo il nostro canto non è esercitato da un solo cantore bensì da tutto un collettivo di cantori con stili diversi ma che cercano uno stesso obiettivo:
essere appoggio fortemente dell'identità del nostro popolo ed essere impulso nello sviluppo della nostra cultura popolare.
Ai signori del sistema, del governo, disgusta questo:
Che incorporiamo il lavoro militante delle basi dei partiti AD e COPEI, perché è ovvio la delimitazione che esiste tra le basi di quei partiti e le sue dirigenze che hanno imbrogliato e mentito tanto che hanno portato la democrazia, che il popolo si era guadagnato, ad una grottesca parodia dove la corruzione, la marginalità, l'analfabetismo, l'insicurezza personale, la disoccupazione, sono i segni più evidenti.
Che non otteniamo un solo centesimo quando cantiamo di fronte al popolo, e che quando si prende una modica entrata il guadagno netto si investa in aiuto a gruppi e centri culturali, per creare istituzioni popolari, in solidarietà coi popoli che voi, negando il nostro proprio popolo e la sua bella storia libertaria, aiutate a massacrare; ed anche per che non dirlo? In solidarietà con le organizzazioni di avanguardia del nostro paese.
Che la nostra sopravvivenza economica l'otteniamo solamente dai diritti d’autore e di interprete che derivano dalla divulgazione dei nostri dischi. Ciò che li surriscalda, inoltre, è che un'alta percentuale di quelle regalie siano apportate allo sviluppo di altri cantori, a livello di registrazione, senza che otteniamo per ciò altro guadagno se non l'allegria che rimane all'uomo quando ha compiuto il suo dovere.
Che questo atteggiamento ci porti a vivere tanto semplice e modestamente, come potrebbe vivere qualunque operaio, se voi non esercitaste tanto inumano sfruttamento su di lui.
Che siamo apertamente antimperialisti ed anticolonialisti e che questa condotta non sia altro che il risultato di una profonda e bella eredità del pensiero del nostro liberatore Simón Bolívar.
Che li denunciamo come ipocriti, demagoghi e bugiardi quando invocano il sacro nome della Patria e sono la causa di come un'immensa maggioranza di uomini vivano di privazioni, di negazione dei suoi più elementari diritti. Votare non è l'unico diritto che esige la Patria Democratica. All'uomo quando gli si mente si è indegni ed una Patria di lacchè non può essere la Patria che sognò Simón Bolívar.
Che abbiamo profonda fede nel nostro paese e che per esso noi siamo Mosca ed Ape. Mosca perché ci metteremo nella merda se è necessario per difenderlo e toglierlo a voi ed ape perché rimpiangiamo e cantiamo al fiore della vittoria. Il cantore non può cantare solamente al fiore, ma quando arriva il tempo deve cantare anche contro la merda e chiamarla per il suo nome.
Voi e gli intellettuali che fanno i matti quando i cantori sono aggrediti, sapete che non facciamo parte di un esercito di salvezza dell'arte pura, ma iscriviamo il nostro “che fare” in un processo politico che ci porta a dire senza complessi:
L'ARTE CHE NON MILITA NELLA DIFESA DELLA CONDIZIONE UMANA DELL'UOMO NON È ARTE POPOLARE.
A voi vi disgusta che senza padrini, né rappresentanti artistici, abbiamo divulgato il nostro canto nel mondo intero e l'abbiamo fatto con la voglia e con il rispetto e che questo ruolo l'abbiamo esercitato con l'umiltà e la semplicità di chi sa che non c'è maggiore poeta che il popolo stesso.
A voi vi disgusta che camminiamo per la strada, chiamando fratelli tutti gli uomini, che non chiediamo un carnet politico per sentire l’amicizia e l’amore per gli esseri umani, bensì fronte degna e mano solidale.
A voi vi disgusta che camminiamo senza amarezza, senza paranoie, che ci siamo dimenticati delle torture che abbiamo ricevuto a livello personale o che almeno il suo ricordo non ci perturbi né ci trasformi in esseri rozzi e ruminanti della cosa tragica.
A voi vi disgusta che quelli che sono caduti eroicamente in questa lotta siano per noi un compromesso, una sfida, un bello stimolo senza però che la nostra canzone diventi "mortuaria", voi sapete che non dimentichiamo.
A voi vi disgusta che tutti quelli che sono oggi prigionieri politici, nelle prigioni che voi costruite, sono anche i nostri fratelli e che non abbiamo paura alcuna nel fare attiva la nostra solidarietà con essi.
Voi sapete che non abbiamo paura.
Queste ed altre ragioni sono quelle che portano a lei, signor sistema ed a lei signor governo, a prendere misure tanto rozze ed abiette come queste:
La calunnia attraverso i mezzi di comunicazione dove c'è chi dice che ostentiamo ricchezze che stanno solo nelle vostre mercantilistiche menti, ad esempio: lussuose case, grossi conti bancari, lussuose automobili, etc.
Evitare a tutti i costi che noi otteniamo i posti dove realizzare i nostri eventi, senza prendere in considerazione che questi sono organizzati dal popolo stesso e che inoltre tutti i locali pubblici, culturali o sportivi, appartengono al popolo e non a voi.
Realizzando scalate fasciste dove ci fanno apparire come terroristi che "attentano alla famiglia, alle buone abitudini, alla proprietà privata e alla cultura occidentale". Ricorderete quello che venne fatto in Maturín, quattro anni fa, dove oltre a dipingere le pareti della città contro di me, cercarono di ammazzarmi.
Davanti a questa situazione di inquietudine a cui voi volete sottomettere me e la mia famiglia voglio dirvi la seguente cosa :
SENTO UN PROFONDO AMORE PER LA VITA, MA AFFRONTERÒ CON FERMEZZA LA MORTE CHE VOI VOLETE DARMI (SE È COSÌ CHE HANNO DECISO).
IO NON FACCIO LAVORO CLANDESTINO, CAMMINO CON LA FRONTE ALTA ED IL PETTO APERTO COMPIENDO IL MIO DOVERE DI CANTORE DEL MIO POPOLO.
L'UNICA ARMA CHE POSSIEDO È LA MIA CANZONE E L'APPOGGIO DEL MIO POPOLO, HO UNA PROFONDA FEDE NELL'UMANITÀ E NELLA SFIDA CHE DEVE AFFRONTARE.
VINCERE CONTRO QUELLI CHE RIEMPIONO DI FAME E DI GUERRE IL NOSTRO PIANETA.
INDUBBIAMENTE IL NOSTRO CANTO È SOVVERSIVO, IN QUESTO PAESE PURE IL SORRISO LO È!
SONO FELICE BENCHÉ NON MI DIANO IL PERMESSO!
MI BENEDICE DIO E MI GUIDANO BOLIVAR E MARX.
NON HO NEMICI PERSONALI AD ECCEZIONE DEI NATURALI NEMICI IDEOLOGICI.
Alí Primera. 3 Maggio 1982.
"Non solo di vita vive l’uomo" di Alì Primera
Ho affrontato sempre la vita con profonda gratitudine. Contentezza di esercitare con piena onestà il bel compito di mettere in funzione dell'uomo e della sua lotta, la canzone, che imparai tra canti di uccelli, i colpi dell'escardilla sulla terra secca e il rosso e silvestre raccolto dei semerucos nella mia amata Penisola, quella di Paraguaná.
Questa canzone ha preso forma e senso in tanti anni alzandosi in difesa dalla vita. Questa canzone è amica dei popoli che nella parte latinoamericana del mondo, lottano per liberarsi del secolare obbrobrio, miseria e ritardo a che li hanno condannati i suoi predatori di sbarre e stelle.
Questa canzone è amica dei popoli africani che lottano per non lasciare morire definitivamente la loro cultura, la loro dignità ed i loro diritti di fronte allo stivale colonialista e "civilizzato". Questa canzone è amica del Vietnam che continua a lottare per essere "dieci volte più bello" come lo sognò il dolce e saggio Ho Chi Minh. Questa canzone è amica del popolo Palestinese e la sua lotta per recuperare quello che fu sempre il posto amato della sua patria.
Questa canzone, lo dico con sincera convinzione, è amica del popolo ebreo, affinché affronti con tutte le sue forze, il politico genocida e sionista che lo dirige. Questa canzone è amica dell'uomo che sogna e lotta per i suoi sogni, dell'uomo che ama con profonda fede l'essere umano. Questa canzone è amica di colei che non ha disertato dalla speranza e che in una piccola chiesa, prega perché il mondo non si continui a costruire con gli scheletri di coloro che muoiono di fame, l'enorme croce dove vogliono inchiodare di nuovo l'uomo.
Questa canzone è amica dei poeti ed anche dei cantori "boca-sucias" che impotenti di rompere vetri con la loro voce, camminano per di là, aprendo buchi alla disperazione e quel "achanta, pana" con il quale vogliono frenare i disfattisti. Questa canzone è nicaraguense e è salvadoregna all'essere profondamente venezuelana, con tutta la forza che le trasmette il popolo che l'alimenta, con dolci ed amare parole e con la musica che nasce nei passi dei nostri primi colonizzatori camminando scalzi sulle foglie secche.
Questa canzone né è neutrale né io la canto a me stesso, per questo ha ovviamente amici e nemici. Ha nemici in coloro che si dilettano a picchiare l'uomo carcerato, nemici in coloro che trafficano con la droga che trasforma in incubo di desolazione e morte i giovani sogni della nostra gioventù. in coloro che trasformano in bugia la bella verità della democrazia. Nemici in coloro che arrivano al sorgere dell'alba con carri armati e fucili, e trasformano in enormi falò le umili abitazioni dove migliaia di venezuelani sopravvivono alla vita che gli permette un sistema corrotto ed inumano come quello che abbiamo.
Nemici in coloro che riempiono di cenere ed immondizie i nostri fiumi e dopo dicono che è stata una "piccolezza casuale" la moria di pesci in Carenero. Nemici in coloro che hanno tirato su un popolo denutrito sull'immensa ricchezza del nostro suolo. Nemici in coloro che credono in Bolivar affinché possa confondere il loro pensiero.
Nemici in coloro che credono che le cellule dell'uomo che lavora, sono centesimi che possono essere messe nelle banche della Svizzera. Nemici in coloro che credono che con bugie possono riempire di merda per sempre, la dignità del nostro popolo. Nemici in coloro che dicono che è "per capriccio" che la gente vive martirizzata nelle nostre colline.
Nemici in coloro che credono che tutto un popolo, padrone della collina "Galicia", possono rinchiuderlo in un club di Sibaritas, costruito su un crimine ecologico. Nemici in coloro che parlano e gesticolano trionfi sui diritti umani, mentre i nostri indigeni sono perseguitati. Nemici in coloro che "ligan"che il governo di turno sia disastroso e brutto per poter vincere "le prossime elezioni". Così hanno mescolato le carte durante più di cinque lustri, e il nostro popolo a bocca aperta e buono, si è lasciato portare.
Indubbiamente questa canzone ha nemici, “coño!”, e se non li avesse, la canterei ugualmente.

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