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Alphaville Cineclub ricorda il regista americano Sidney Lumet

Creato il 14 aprile 2011 da Taxi Drivers @TaxiDriversRoma

La selezione monografica ‘L’invisibile Sidney Lumet’ sidneylumet03

Lunedì 25 aprile ore 21.00
Proiezione del lungometraggio L’ uomo che verrà (It,2009,117’) di Giorgio Diritti per ricordare la Resistenza italiana nel giorno della sua celebrazione.

Alphaville Cineclub ricorda il regista americano Sidney Lumet, scomparso il 9 aprile 2011,proponendo la selezione monografica ‘L’invisibile Sidney Lumet’, in programma dal 20 al 24 aprile presso la sua sede di Via del Pigneto, 283 alle ore 21.00.

Lunedì 25 aprile alle ore 21.00 la serata sarà dedicata alla Resistenza italiana e prevede la proiezione del lungometraggio’L’uomo che verrà’ (2010) di Giorgio Diritti, preceduto da letture sul tema(di seguito comunicato stampa).

Sidney Lumet è stato un maestro del cinema poco incline alla visibilità ed alla sovresposizione, con una grande conoscenza tecnica ed un’eccezionale abilità a ottenere dai suoi attori prestazioni di prima classe, da Henry Fonda ad Al Pacino , dalla Bergman  alla Dunaway, da Sean Connery alla nostra Anna Magnani. Universalmente considerato il regista dei classici moderni del cinema americano, Lumet riteneva New York non solo la sua Hollywood, ma uno dei personaggi costanti dei suoi film. Nato a Filadelfia, in Pennsylvania nel 1924, in carriera non amò mai Hollywood in modo particolare, preferendo alle strade di Beverly Hills quelle  più affollate ma a lui più congeniali di New York. Figlio dell’attore Baruch Lumet e della ballerina Eugenia Wermus, aveva infatti cominciato la sua carriera a Broadway,divenendo negli anni uno stimato direttore televisivo, esperienza questa che probabilmente gli fece ottenere subito un grande successo con il suo primo film del 1957 , La parola ai giurati (titolo originale ’12 Angry Men’, protagonista Henry Fonda). La pellicola, volutamente claustrofobica, racconta la Camera di Consiglio newyorkese di 12 giurati americani alle prese non solo con un difficile caso giudiziario di parricidio, ma anche con i loro pregiudizi di stampo razzista. Il film ottenne una nomination agli Oscar e vinse l’Orso d’Oro al Festival di Berlino.

«Mentre l’obiettivo di tutti i film è quello di intrattenere – scrisse una volta il regista – il mio modo di fare cinema punta a qualcosa di diverso, che io credo vada un passo più in là. Obbliga lo spettatore ad esaminare una faccia o l’altra della sua coscienza. Stimola la riflessione e consente ai succhi mentali di mettersi in moto». La riflessione è davvero pertinente ancora oggi se la giudice della Corte Suprema americana eletta da Barak Obama ha ammesso in una recente intervista di essere stata molto influenzata nelle sue scelte proprio grazie alla visione di quel film.

Sono però soprattutto alcuni capolavori degli anni Settanta a ‘firmare’ in modo definitivo il cinema di Sidney Lumet, due su tutti: Serpico, del 1973, e Quel pomeriggio di un giorno da cani, del 1975, film che hanno consacrato Al Pacino tra i grandissimi di Hollywood.

Nel 1976 Lumet uscì con la sua opera più celebrata dalla critica non solo americana: Quinto potere (titolo originale, ’Network’), critica esplicita del sistema televisivo e degli effetti che quel tipo di comunicazione può avere sul pubblico. L’interpretazione dei due protagonisti della storia, una giovane e rampante responsabile dei palinsesti e un anchorman ormai sfiduciato e in calo di ascolti, valse rispettivamente a Faye Dunaway e a Peter Finch l’Oscar nel 1977 , unito a quello per la sceneggiatura.

Nonostante questo, Sidney Lumet non arrivò mai all’Oscar fino al 2005, quando l’Academy of Motion Picture Arts and Sciences gli riconobbe una statuetta alla carriera (forse per «lavarsi la coscienza» scrisse il New York Times). Lumet due anni dopo confidò allo stesso critico: «La volevo da morire. E in cuor mio penso di essermela meritata davvero». Secondo i critici Usa, il sistema di Hollywood non lo premiò perchè lui si rifiutò in modo sistematico di andare a vivere a Los Angeles, preferendo sempre e comunque New York. Solo a Manhattan o a Brooklyn Sidney Lumet si sentiva «davvero a casa». «Le location sono uno dei personaggi dei miei film. È questa città è l’unica capace di essere personaggio essa stessa,comunicando l’atmosfera ed il tono  che cerco». Altro capolavoro osannato dalla critica è Vivere in fuga (1988) con il compianto River Phoenix che ottenne una nomination all’Oscar per la sua commovente interpretazione, così come molto amato da pubblico e critica è stato anche il suo ultimo  lavoro Onora il padre e la madre (2007), campione d’incassi e di premi. Nella tradizione hollywoodiana Lumet ‘l’invisibile’ si classifica fra le “simpatiche canaglie”, maestro dei legal thriller a sfondo morale e dal risultato finale che non può essere che buono, in grado di offrire tuttavia micidiali bordate agli eterni totem americani (la mascolinità forzata, il successo, il denaro) e mostrando nei loro retroscena ciò che non dovrebbe mai venire a galla: i fantasmi, i complessi di colpa, le insufficienze, le insoddisfazioni, l’irresponsabilità, il vizio e la violenza. Un’America meno pulita e integra di quella che ci è spesso stata mostrata, questo ci piace ricordare di lui.


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