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CYNIC – Kindly bent to free us (Season of Mist)

Creato il 12 marzo 2014 da Cicciorusso

cynic-kindly_bent_to_free_usOra, che Paul Masvidal, in virtù dei suoi modi gentili e del suo interesse per la meditazione, la spiritualità e la dieta vegetariana, possa essere percepito come l’anti-metal, posso anche capirlo, se il prototipo del metallaro è Lemmy. Ma che nella redazione di Metal Skunk si oscilli dal disinteresse a commenti negativi per il nuovo album dei Cynic non lo accetto. Capisco che al fan reazionario della NWOBHM o del thrash bay area questo disco risulti poco familiare, se non proprio ostile. Ma chi se ne frega, Kindly bent to free us contiene composizioni di altissimo livello che sfuggono a qualunque catalogazione musicale. Sulla carta, considerando che la band, dai tempi del seminale Focus, ha sempre approfondito il discorso partito dal death metal tecnico in direzione della fusion e delle sperimentazione, il disco potrebbe risultare di difficile assimilazione e noioso; le soluzioni stilistiche adottate da Paul Masvidal e Sean Reinert (gli unici superstiti della formazione originaria) ovviano a questo problema in maniera naturale. Kindly bent to free us si inserisce, come già accennato, nel solco dell’evoluzione musicale sempre perseguita dai Cynic in maniera tanto tenace quanto spontanea, mai forzata. Quindi, anche se l’album suona oggettivamente più leggero dei precedenti, non si fa alcuna fatica a considerarlo un disco Cynic al 100%. Il death metal tecnico degli esordi è solo un segnale radio proveniente da remoti angoli del cosmo, che si avverte flebilmente in diversi frangenti a testimoniare il retaggio della band, ma la sostanza sonora è molto altro: una delle influenze del chitarrismo liquido di Masvidal è sempre stato il jazz del Pat Metheny Group e non c’è niente di nuovo sotto il sole a livello di tecnicismi e virtuosismi, sempre, però, funzionali alla canzone. La vera innovazione rispetto alla discografia dei Cynic, che lascia inizialmente spiazzato l’ascoltatore ma giustifica la scorrevolezza di un album in verità molto tecnico (paradosso cui accennavo prima), è l’adozione di soluzioni melodiche e soprattutto armoniche molto sixties, tanto che in più frangenti mi è parso di ascoltare i Beatles degli album più sperimentali, i Love o i Motorpsycho di Trust us.

Difficile riferire a parole le sensazioni offerte da un disco così intricato e allo stesso tempo così catchy (dimenticavo, la label è l’estrema Season of Mist, più avvezza alle sonorità dei Mayhem e dei Rotting Christ); le canzoni sanno essere languide, mistiche, ipnotiche, ma allo stesso tempo ci si potrebbe ritrovare a cantarle sul bus per andare a lezione, alla stregua di mantra buddhisti per la quotidianità metal di voi giovani metallari scapestrati. Pienezza spirituale per l’hangover della domenica e per mondarvi dai peccati commessi nel backstage della cover band thrash metal di vostro cugino. Ascoltatelo senza pregiudizi, in rete trovate lo streaming gratuito.



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