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e sentirai la strada far battere il tuo cuore

Creato il 17 settembre 2013 da Plus1gmt

Domenica scorsa è andato in onda non ricordo su quale tv un programma su Fabrizio De André, un documentario con tanto di biografia alla visione del quale sono capitato più o meno al momento della comparsa di Dori Ghezzi nella vita del cantautore genovese. Sapete meglio di me che l’uomo del duemila guarda la tv con un dispositivo connesso a Internet a fianco, che in quel frangente è stato utile a mia moglie e a me per precipitarci su youtube a cercare “Un corpo e un’anima”, il cavallo di battaglia del duo di Dori Ghezzi con Wess. Roba del 74, mica paglia. E leggendo il testo che chi ha caricato il video ha sincronizzato in sovrimpressione con le immagini, una versione pseudo-live tratta da Canzonissima, il commento mio e di mia moglie è stato unanime: certo che quello era un altro mondo. D’altronde sono passati quarant’anni, e facendo il solito gioco che faccio io dell’applicare le stesse distanze temporali alle date del passato che ho vissuto ma che non mi sembrano all’apparenza così remote, quarant’anni prima del 1974 era il 1934, che agli occhi di un blogger sembra altro che preistoria.

Ma, tornando al modo di percepire una cosa banale come la musica di precedenti periodi del pop, avevo maturato una riflessione analoga proprio qualche giorno fa scorrendo i versi di “Apapaia”, il conosciutissimo brano dei Litfiba pubblicato nel 1986 in 17re, quindi 27 anni or sono. Pensavo a quanta forza ispirassero quelle parole a me ventenne di allora e a quanto provi imbarazzo il quarantaseienne che vive in me di oggi, sia per il testo pregno di idealismo giustamente adolescenziale che per l’etica e l’estetica dei ventenni della nostra contemporaneità, che di vincere una guerra da soli o in due o di conquistare l’altrui rispetto delle proprie idee non sanno che farsene, principalmente perché non trovano l’icona del “like”.

E credo che l’effetto sia lo stesso di quando vediamo la domenica in autostrada le automobili d’epoca che i nerd delle quattro ruote sfoggiano guidandole verso i raduni di fanatici come loro. Bianchine e duetti scoperchiati con autisti e passeggeri fieri di essere sferzati dal vento con i loro cappellini da sole e i foulard che svolazzano nel traffico della corsia di destra. Vasi di terracotta costretti a viaggiare tra vasi di ferro, perché a fianco di SUV e cassoni in uso oggi sembra davvero impossibile che un tempo stessimo in spazi così ridotti e tali catorci costituissero la normalità. Un metro di giudizio che vale anche per le tv a tubo catodico, i telefoni con la rotella e quasi tutti gli oggetti della quotidianità di altri tempi.

Ma per i testi delle canzoni è un discorso più complesso, voglio dire subentrano aspetti meno comprensibili come la sensibilità diffusa, il proprio vissuto, persino il lessico domestico e quanto tradizionalismo emotivo – passatemi il termine, non saprei come definirlo diversamente – ci sia nei gruppi famigliari. La morale di questa storia è che manco a farlo apposta l’insegnante di religione di mia figlia ha appena cominciato un’attività in classe con “Strada facendo” di Claudio Baglioni, un brano che mi fa venire oggi come allora la “pecòla”, come si dice da queste parti quando si vogliono evitare volgarità tipo “mi fa cagare”. Non so, è che probabilmente in “Strada facendo” c’è tutto un metasignificato che non ho mai approfondito e forse, per coglierlo e anche per mettermi nel mood con cui mia figlia e i suoi compagni di classe affronteranno il programma di religione del nuovo anno scolastico, dovrei andare a rileggere. Anzi, a leggere perché non mi pare di essermi mai soffermato sul testo.

Ma vi posso assicurare che anche senza sapere quello di cui sto parlando – che poi è la strategia narrativa con cui porto avanti questo blog – sono certo che “Strada facendo” e la mimica di Baglioni di cui ho una reminiscenza dalle copertine del 45 giri che aveva mia cugina, sia una canzone altrettanto superata di una Fiat 850. Però tutta questo meltin pot trans-generazionale mi ha fatto invece venire voglia di rivalutare il duo canoro da cui sono partito per questa riflessione, e sperare che nel secondo quadrimestre il focus di religione sarà basato su un approccio più cartesiano alla materia divina, e che si possa quindi strutturare tutto un percorso proprio su “Un corpo e un’anima” di Wess e Dori Ghezzi.



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