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Educazione siberiana

Creato il 21 marzo 2013 da Af68 @AntonioFalcone1

libroIn un piccolo borgo nel sud–ovest della Russia, Fiume Basso, regione della Transnistria (la Moldavia attuale), vive una comunità di siberiani, gli Urka, discendenti dei deportati da Stalin in quel lembo di terra sconosciuta ai più. Siamo nel 1985, quattro ragazzini, circa 10 anni, Kolima, Gagarin, Mel e Vitalic, apprendono un particolare tipo d’educazione, “il vivere da onesti criminali”, espressa dalle parole di nonno Kuzja (John Malkovich), sorta di codice etico cui non manca una convinta ispirazione spirituale, affidando alla benedizione della Vergine Maria l’esecuzione dei precetti propri del loro “credo”.

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Uccidere solo se necessario, rispetto per tutte le creature viventi (eccetto banchieri, poliziotti ed usurai: rubare a queste persone è permesso, spiega Kuzja), il denaro non deve diventare l’unica ragione di vita (“un uomo non può possedere più di quello che il suo cuore può amare”) ed è atto sacrilego tenerlo in casa, rifiuto della droga (uso e smercio), condanna dello stupro: queste alcune delle regole imperanti in quel microcosmo, oltre alla fede nella picca, il coltello a serramanico con il quale si recide il cordone ombelicale al momento della nascita e che accompagna quindi il cammino dell’uomo sulla terra, raccontato poi dai tatuaggi man mano presenti sul suo corpo.

John Malkovich

John Malkovich

In un arco temporale di dieci anni, dove la Storia avrà il suo ruolo fondamentale (la caduta del Muro di Berlino e annesse conseguenze), Kolima e Gagarin, del gruppo quelli più legati da una profonda amicizia, dovranno affrontare diverse prove nel passaggio dall’adolescenza al’età adulta, confrontandosi entrambi, tra l’altro, con l’amore (la “voluta da Dio” Xenja, Eleanor Tomlinson, ragazza con disturbi mentali) e la realtà del carcere, superandole con diverse modalità, rispettivamente forgiando la propria individualità nel solco della tradizione, il rispetto ferreo delle regole impartitegli, e, viceversa, su un codice improntato sulla convinzione che “il giusto non è mai esistito”. Un differente percorso esistenziale, sofferte scelte di vita, per poi ritrovarsi infine faccia a faccia in un drammatico confronto finale …
Vilius Tumulavicius e Arnas Federavicius

Vilius Tumulavicius e Arnas Federavicius

Tratto dall’omonimo romanzo di Nicolai Lilin (2009, Einaudi Editore), Educazione siberiana, diretto da Gabriele Salvatores, anche sceneggiatore insieme a Stefano Rulli e Sandro Petraglia, è un film che ha avuto l’effetto, certo benefico (meglio del restare indifferenti), di offrirmi varie sensazioni, spesso contrastanti, tanto da farmi attendere qualche giorno prima di riportarle ordinatamente su carta, dando il giusto peso sia all’emozione che alla concretezza. Mi hanno sicuramente affascinato la più che valida messa in scena, assicurata da una regia di polso, sostenuta da una bella fotografia (Italo Petriccione) capace di mutare intensità luminosa e gradazione del colore a seconda del girato (esemplare al riguardo la scena della giostra, simbolico momento di sospensione temporale in una spensieratezza di cui i protagonisti non hanno mai potuto godere, luce viva fra il grigiore seriale dei palazzi di quartiere, sulle note di Absolute Beginners, David Bowie) ed infine il montaggio di Massimo Fiocchi, piuttosto fluido nell’assecondare il flusso temporale sviluppato su tre piani differenti e sfalsati tra loro.
Eleanor Tomlinson

Eleanor Tomlinson

Molto valide le interpretazioni degli attori, anche se riguardo Malkovich ho avuto il sentore di una professionale adesione a quanto richiesto, mentre più spontanee, genuine in certo qual senso, mi sono apparse quelle di Arnas Federavicius e Vilius Tumulavicius (Kolima e Gagarin da adulti) ed efficace quella di Eleanor Tomlinson, piuttosto intensa nell’esprimere la fragile dualità di una donna-bambina. Ciò che non mi ha convinto pienamente risiede soprattutto nella caratterizzazione dello sviluppo narrativo previsto in fase di scrittura, un’adesione solo formale allo spirito del romanzo, alla sua linea di base, epurando, pur in un impianto da buon noir, i toni più realistici e violenti.
Un tentativo di compromesso tra un respiro epico, alla Leone per intenderci, restando in casa nostra, ed un’impostazione più accomodante, volta ad essenzializzare il tutto sui temi cari al regista, partendo dalla visualizzazione di quanto riportato su uno scritto: un racconto di formazione, l’amicizia virile minata dall’amore per la stessa donna (espresso nella scelta di non manifestarlo e nell’ incapacità di farlo al di là della violenza), personaggi in bilico tra diversi percorsi di vita, il mantenimento della propria dignità.
Gabriele Salvatores

Gabriele Salvatores

Si delinea quindi, come già scritto, un gran risalto della messa in scena ed uno stile dichiaratamente antirealistico, che si alimenta anche di imperfezioni e discontinuità (se la suddetta sequenza della giostra è a mio avviso la più bella di tutto il film, altre gridano vendetta, vedi il volo delle colombe al ralenti o la suonata di piano nel bel mezzo di un alluvione).
Un taglio spesso stridente con quanto raccontato, arrivando a spersonalizzarsi nel mancare una vera e propria immedesimazione, renderla effettiva e, soprattutto, riuscire a condividerla con gli spettatori. In conclusione, un film da vedere, una benvenuta internazionalizzazione del nostro cinema, capace d’esprimere immagini e contenuti al di là del consueto “due camere e cucina”, potendo fare affidamento sul’abilità di un regista come Salvatores, sulla sua mai sopita voglia di sperimentare ed innovare, a costo di lasciare spiazzati ad ogni nuova realizzazione.

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