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Il rischio della Digital Dark Age e l’Internet Archive

Da Pinobruno

Diamo per scontato che il web conservi memoria di tutto ciò che passa su pagine e siti, una sorta di elefante digitale in grado di accumulare all’infinito testi, immagini, suoni e filmati. Insomma, la Biblioteca di Alessandria del mondo digitale. Così non è, per buona pace dei fautori dell’oblio digitale, giustamente preoccupati per la privacy dei cittadini globali. Ladematerializzazione dalla carta al bit pone un altro problema. 

Il rischio della Digital Dark Age e l’Internet Archive

Che fine fanno le informazioni custodite nei siti che non ci sono più? Siti pubblici, aziendali, giornalistici, universitari, scientifici, azzerati dalla scomparsa delle organizzazioni che li gestivano. Spariscono per sempre quando i dati vengono cancellati dai server, a parte le poche tracce immagazzinate nella cosiddetta Google cache.  La nostra epoca potrebbe essere ricordata dagli storici come la Digital Dark Age, il Medioevo digitale.

E’ un tema a più ambiti. C’è l’aspetto dei supporti di archiviazione dei dati, in continua evoluzione (come si accede ai file salvati su un Floppy Disk da 5¼ pollici?). A quanto pare – ma spero di essere smentito – ogni paese va per conto suo.

C’è poi il discorso dei dead link, dei siti morti. A tal proposito, mi sono imbattuto nell’Internet Archive, organizzazione culturale statunitense senza fini di lucro fondata nel 1996, che si pone l’ambizioso progetto di creare la “Biblioteca di internet”.  Fanno un lavoro molto apprezzabile. Il loro archivio comprende testi , audio, immagini in movimento, software e pagine web. Vogliono impedire che internet scompaia con la scomparsa dei siti.

Suggerisco un salto sulla WayBack Machine, che contiene già più di 100 terabyte e 10 miliardi di pagine web archiviate dal 1996 ad oggi. Questa macchina del tempo potrebbe diventare uno dei punti di partenza dei futuri ricercatori.


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