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Isis. Diario e tappe di una furia iconoclasta

Creato il 28 febbraio 2015 da Retrò Online Magazine @retr_online

L’Onu ha ufficialmente condannato, su sollecitazione dell’Unesco, l’impeto distruttore dello Stato Islamico nei confronti delle opere all’interno del Museo Mosul in Iraq.

Le terribili immagini di libri al rogo, bassorilievi sbriciolati e statue abbattute, circa 3 mila, hanno fatto il giro del mondo, aggiungendo un’altra vittoria sul “piano mediatico del terrore” al sedicente Stato Islamico.
La follia iconoclasta dell’Isis è caratteristica tipica dei movimenti fondamentalisti religiosi che vedono nella cultura, intesa come istituzione radicata creatrice di identità storica, un ostacolo all’instaurazione di nuovo regime proposto, in questo caso quello di un califfato basato sulla jihad islamica.
Il passato multiculturale, multietnico e multireligioso del Medioriente è inaccettabile per l’Isis. L’interpretazione del Corano, di cui lo Stato Islamico si pone come araldo, non ammetterebbe istituzioni di tracce di civiltà risalenti a comunità pre-islamiche o sorte in compresenza con esse.

Questa foga iconoclasta e demolitrice dell’Isis parte però da più lontano, nonostante l’assenza di reperti video come nell’ultimo caso del Museo di Mosul. Tale brutalità ha fatto danni di una straziante irreparabilità, distrutto siti archeologici e culturali di rara bellezza, sopratutto in Mesopotamia, ricca area geografia compreso fra i due fiumi Tigri e Eufrate. Oggi Iraq.

Se nel Museo di Mosul, città conquistata dall’Isis nel giugno dello scorso anno, l’obiettivo dei fondamentalisti islamici era quello di eliminare segni letterali e artistici della città che fu Ninive, capitale assira già citata nella Bibbia, nei mesi precedenti la dinamite è servita ai jihadisti per sradicare e distruggere, letteralmente e metaforicamente, edifici storici e poli religiosi eretti migliaia di anni fa.

Le Mura di Ninive

Il 29 gennaio membri dell’Isis hanno abbattuto parte delle Mura di Ninive, antica recinzione di un popolo, quello Assiro, che si instaurò in quell’area a partire dal 4475 avanti cristo. Indubbiamente le mura sono il sito archeologico più importante di Mosul. Mosul che fu Nivive, oltre che essere un’importante sito culturale dell’Iraq, è anche la seconda città del Paese dopo Baghdad.
A dare la notizia della distruzione delle mura di Tahir, quartiere di Mosul, fu il principale nemico dello Stato Islamico in medio oriente, l’opposizione curda, tramite il quotidiano panarabo al Hayat che citò Said Mumzini, portavoce del Partito democratico del Kurdistan al potere nella regione autonoma dell’Iraq, posto all’estremo nord del Paese con capitale Erbil.
Testimoni oculari hanno dichiarato che per enfatizzare ancor di più lo scempio, i miliziani dell’Isis avrebbero costretto alcuni cittadini di Mosul ad assistere alla demolizione delle Mura di Takir.

La Chiesa Verde di Tikrit

Tre mesi prima, il 25 settembre L’Isis ha «distrutto completamente» ― così commentò l’agenzia Mena  la Chiesa Verde di Tikrit, città natale di Saddam Hussein a 150 Km da Baghdad, sorta sulle sponde del Tigri in Iraq. L’agenzia di stampa Mena citò fonti della sicurezza irachena e il sito in arabo della britannica Bbc confermò la notizia.
La Chiesa verde fu edificata attorno all’ anno 700, e divenne uno dei simboli più significativi della presenza del Cristianesimo Assiro, costituendo un importante punto di appoggio per l’evangelizzazione di vaste aree dell’Estremo Oriente: dall’India alla Mongolia, dalla Cina al Tibet.
La Chiesa Verde fotografava chiaramente la convivenza religiosa dell’epoca. Alle origini tale chiesa, che poi divenne Moschea, fu rivestita di maioliche verdi (un tipo di vasellame), da qui l’appellativo rimasto nel corso dei secoli. Quella dell’Isis non è stata l’unica distruzione della Chiesa: già nel 1089 fu rasa al suolo, per poi essere ricostruita con un colore tendente all’ocra con mattoni che vissero la storia mesopotamica per 926 anni, fino al 25 settembre 2015, quando fu stuprata e distrutta con della dinamite dal suo interno.
Nei secoli, i cristiani assiri abbandonarono progressivamente Tikrit, giungendo  all’abbandono definitivo attorno al 300, durante la conquista della zona da parte dei Mongoli. A questa diaspora seguì la creazione di comunità cristiane nella piana di Ninive e nelle regioni limitrofe, a Mosul per esempio e, più a sud, a Baghdad.

La Moschea di Arbaeen Wali

Negli stessi giorni di fine settembre, un altro luogo di culto di Tikrit fu raso a suolo. Si tratta della Moschea di Arbaeen Wali, fondamentale per i fedeli del luogo e meta di migliaia di visitatori ogni anno. La moschea, posta nella strada che collega la città di Tikrit con Baghdad e Mosul, ospitava le salme di 40 martiri. Questo è risultato inaccettabile per i fondamentalisti dell’Isis, convinti che il culto dei martiri avrebbe incoraggiando l’idolatria dei fedeli.
All’interno di Arabeen Wali furono rilevati reperti risalenti al tredicesimo secolo.

La Moschea di Giona

Luglio 2014. Due mesi esatti prima della distruzione della Chiesa Verde di Tikrit, tanto brutale quando minuziosa nelle intenzioni simboliche, L’isis polverizzò, a Mosul,  la Moschea di Giona, luogo di culto di musulmani sciiti, sunniti e frequentata anche da cristiani.
Secondo i jihadisti dell’Isis, la Moschea di Giona, per questo radicato incontro multireligioso all’interno dell’edificio, non poteva più essere considerata un luogo di culto, bensì una meta apostasia. L’edificio così fu “condannato a morte” e una volta allontanati i fedeli, (i cristiani, così come i curdi, verrano poi scacciati dalla città) andò in scena il il solito rituale iconoclasta: dinamite, imprecazioni, minacce e paura. E poi le macerie, frammenti di storia divenute in pochi minuti materia inanimata. Semplici massi.
La moschea, intitolata al profeta Giona, ebraico protagonista del vecchio testamento, fu da sempre meta di massicci pellegrinaggi di musulmani sciiti e sunniti, grazie alla citazione dello stesso Giona all’interno del Corano.
L’edificio era stato costruito su un sito archeologico risalente all’VIII secolo a.C. e secondo la tradizione all’interno giacevano tomba e reliquie di Giona che fu, secondo Bibbia e Corano, inghiottito dalla famosa balena.
Nel 1990, due anni prima della prima guerra del Golfo, il dittatore Saddam Hussein fece restaurare la Moschea.
La cosa curiosa, che aumenterebbe ancora di più l’antichità del sito archeologico, sta nel fatto che l’esplosione provocata dai fondamentalisti avrebbe fatto sorgere portoni nascosti con incisioni in lingua aramaica.

La Tomba di Seth

Il 27 luglio 2014 si venne a sapere della distruzione, a Mosul, della Moschea del profeta Seth, avvenuta negli stessi giorni della distruzione dell’abbattimento delle tombe di Giona e Daniele. Il mausoleo, eretto nel 1057, era tra i più antichi della città. I miliziani dell’Isis, approfittando della chiusura della struttura per restauri, piazzarono cariche di dinamite all’interno per poi farla saltare in aria.
La furia dello Stato Islamico contro le tombe dei profeti ricordò quella dei ribelli salafiti di Ansar Eddine nel nord del Mali, che nel 2012 rasero al suolo antiche tombe di Timbuctù, patrimonio mondiale dell’Unesco. Furono prese di mira sopratutto le tombe dei santi sufi, sostenendo che si trattava di edifici che alimentavano l’idolatria e che deviavano dalla “retta via”.

Tags:iraq,isis,kurdi,kurdistan,moschea,mosul Next post

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