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La bufala di Lucio Battisti fascista

Creato il 24 agosto 2010 da Natale Zappalà
La bufala di Lucio Battisti fascista
di Natale Zappalà
Sul web, fra le centinaia di siti, forums e canali-video dedicati al cantautore di Poggio Bustone, ci si imbatte spesso nella trattazione di una bufala clamorosa: Lucio Battisti fascista.Gli indizi addotti per giustificare questa tesi sanno di ridicolo e, ricordano quelli scovati, a loro tempo, dai sostenitori della presunta morte del Beatle Paul McCartney nel 1966: si spazia da qualche espressione criptica (criptica secondo questi sedicenti teorici del “Battisti-fascista”, ovviamente) contenuta in alcuni, celebri, brani di Battisti – dal “planando sopra boschi di braccia tese” de La Collina dei Ciliegi al “mare nero” de La Canzone del Sole – sino alla mistificatoria intepretazione allegorica dell'album “Il mio canto libero”, laddove la selva di braccia alzate riecheggerebbe il saluto romano.Tale teoria risulta facilmente confutabile per varie ragioni. In primo luogo, l'autore dei testi delle più note canzoni battistiane è Giulio Rapetti, in arte Mogol, per sua stessa ammissione né fascista né di destra, avendo egli votato, in passato, per il partito comunista, per i liberali o per i socialisti. A prescindere dalle inclinazioni politiche di Mogol, rimane indubbio che Battisti non scrisse questi testi, limitandosi ad arrangiare sontuosamente alcuni fra i più grandi capolavori della musica leggera italiana.Quanto alla copertina de “Il mio canto libero”, l'autore dell'immagine “incriminata” altro non è che Caesar Monti, pseudonimo di Cesare Montalbetti, fratello di Pietruccio dei Dik Dik e grande amico di Battisti, un uomo dichiaratamente di sinistra che, in realtà, attraverso la raffigurazione della selva di braccia alzate, intendeva essenzialmente rievocare il coro delle tragedie greche.L'ipotesi di un Battisti fascista rappresenta dunque una evidente fesseria: sul grande cantautore scomparso pesava piuttosto l'etichetta, affibiatagli da certa stampa, di artista “disimpegnato”, in un periodo in cui, fra il '68 e la prima metà degli anni Settanta, lo schieramento ideologico faceva tendenza; non importa se poi le pretese di cambiare la società si traducevano sempre e solo in chiacchiere e dischi venduti e, di fatti concreti, da allora, se ne sono visti pochi.Mogol e Battisti raccontavano al pubblico italiano di vita vissuta, di amori e di emozioni individuali, senza il filtro della politica, sulla base di una scelta libera e non condizionata da fattori dettati dal coevo contesto storico o ideologico. Inoltre, la coriacea coerenza dell'uomo-Battisti, uno che limitava al massimo le apparizioni televisive, le notizie inerenti la sua vita privata e i consueti mezzi di promozione discografica, dava molto fastidio ad alcuni ambienti della carta stampata. In altri termini, Lucio voleva parlare esclusivamente con la musica, diversamente da suoi illustri colleghi (Mina, per esempio), i quali alternano periodi più o meno lunghi di ritiro dalle scene a multimilionari ingaggi per concerti o comparsate televisive. Così un disilluso apolitico finiva per essere tacciato di fascismo.Ciò che di vero si coglie in questa faccenda, in definitiva, è l'esempio di arte pura e disinteressata, esemplificata dalla vicenda biografica e professionale di Lucio Battisti, un artista capace di colpire nel più profondo dell'anima generazioni di persone che, ancora oggi, sospirano nell'ascoltare le sue melodie immortali. Un esempio di coerenza oggi inesistente sullo scenario musicale contemporaneo, da divulgare massicciamente, a beneficio dei più giovani che potranno cambiare il mondo.

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