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La genesi della Grecia moderna è albanese

Creato il 31 ottobre 2010 da Elton77

- Il substrato non greco dei Greci e della Grecia -

Di Salih Mehmeti

L’ossessione maniacale che ha la Grecia di fare suo non solo il presente ma anche il passato è stata ridicolizzata dal New York Times (1994) che, riferendosi ad essa, la definiva ricostruzione isterica della storia. Invece, un diplomatico europeo di cui non conosciamo l’identità, nello stesso New York Times, descriveva la posizione della Grecia come totalmente irrazionale. Le urla isteriche dei marines greci: “Greco nasci, Greco non diventi!”, sono non solo ridicole, ma sono anche l’indicatore che oggigiorno, negli ambienti aderenti all’ideologia nazionalista greca, non si ha la minima idea di cosa significhi realmente il termine “greco”, con riferimento sia alla condizione storico-culturale del passato, sia a quella attuale: condizioni che, per la verità, non devono essere confuse tra loro. La casta etnico-nazionalista in Grecia è responsabile della creazione del mito moderno della cosiddetta continuazione storico-culturale ininterrotta che, come principale obbiettivo, altro non ha se non dimostrare che i Greci odierni sono discendenti di Pericle, Platone, Solone, ecc. Oggi nella Grecia bizantina si cannibalizzano queste idee, ed essere Albanese è diventato quasi un motivo discriminatorio; ma un secolo fa non era così.

Mappa dell’Albania in cui il nome Grecia non figura da nessuna parte
 

Mappa dell’Albania in cui il nome Grecia non figura da nessuna parte

The Atlantic Monthly’ scriveva: ora come ora non ci sono nomi più nobili e rispettati in Atene, non ci sono famiglie più influenti nelle cerchie politiche, di quelli dei condottieri albanesi della rivoluzione del 1821, Tombazisi, Miauli e Kundurioti (1882).

In verità, la genesi della Grecia moderna è interamente albanese. Ogni scrittore, cronista e storico del XIX secolo, regolarmente ci racconta la faccia albanese di quella che oggi si chiama Grecia. C. M. Woodhouse scrive: ti impressionerebbe il fatto che la maggioranza dei difensori della libertà della Grecia in quel tempo era non-greca.

Secondo l’antropologo Roger Just la maggioranza dei “Greci” del XIX secolo non solo non si chiamavano Elleni (questo nome lo impararono più tardi dagli intellettuali nazionalisti) ma, nella maggior parte dei casi, non parlavano il greco bensì dialetti della lingua albanese, slava o di quella dei Vlachi.

Misha Glenny, uno studioso americano dei Balcani, fa notare che i filo-elleni dell’America, dell’Inghilterra e dell’Europa venivano esortati a creare uno stato libero greco; era questo un anelito appassionato e romantico di riportare in vita la cultura ellenica del passato. Pochi di loro erano al corrente dei cambiamenti radicali che erano avvenuti nei territori delle ex città stato della Grecia classica. La maggior parte di essi rimase alquanto delusa dalla mancanza di somiglianza fisica con gli Elleni come loro li immaginavano.

Illiricum si estendeva anche nella Grecia odierna, creata dalle grandi potenze

Illiricum si estendeva anche nella Grecia odierna, creata dalle grandi potenze

David Holden, autore del libro ‘Greece without Columns: the making of the modern Greeks’ afferma: per me il filo-ellenismo è una questione d’amore per un sogno che ipotizza la Grecia e i Greci non come un paese reale ed un popolo vero, ma come simboli di una perfezione immaginaria. (1972). Lo stato-popolo Greco era una favola creata dall’intervento della politica occidentale – “l’idea fatale”, come la chiamava un tempo Arnold Toynbee, era esclusivamente un’illusione del nazionalismo occidentale che doveva colpire le tradizioni multi nazionaliste del mondo orientale, per poi crescere, ipoteticamente, come un bambino, nella rinascita e nella razionalità occidentale.

Ma da chi era composta questa maggioranza non greca che spesso passava inosservata agli stessi occidentali che avrebbero fatto della Grecia uno stato?

George Finlay, uno degli storici più devoti tra i filo-ellenici, tanto da partecipare con le armi alla rivoluzione Greca del 1821, ci dà una panoramica degli Albanesi abitanti in quel luogo che più tardi venne chiamato Grecia: Maratona, Platea, Leuctra, Salamina, Mantinea, Ira e Olimpia, sono ora popolate dagli Albanesi e non dai Greci. Addirittura, nelle strade di Atene, che per di più di un quarto di secolo è stata la capitale del regno Greco, la lingua albanese si sente ancora parlare fra i bambini che giocano per strada vicino al tempio di Teseo (Storia della rivoluzione greca 1861).

Anche il francese Pouqueville mette in risalto i “colori” albanesi della maggioranza della popolazione nelle più grandi città della Grecia di quel tempo. Edmond About nel 1855 scrive: Atene venticinque anni fa era soltanto un villaggio albanese. Gli Albanesi costituivano ed ancora costituiscono quasi tutta la popolazione dell’Attica; e dentro le tre categorie del capoluogo si trovano paesi dove la lingua greca non viene capita.

Elfiso, quasi a meta strada tra Megara e Atene, è un povero villaggio albanese… scrive Henry A. Dearborn nel 1819. In poche parole, stando alle descrizioni di G. Finlay e di altri autori, gli Albanesi popolavano tutta l’Attica e la Messenia, la maggior parte della Beozia, tutta l’isola di Salamina, Corinto, l’Argolide e altre regioni interne della Morea (Peloponneso).

Gli Albanesi combatterono, invece la Grecia fu creata dalle grandi potenze

Gli Albanesi combatterono, invece la Grecia fu creata dalle grandi potenze

John Hobhouse, contemporaneo di lord Byron, parlando delle dimensioni dell’espansione territoriale turca sotto il dominio di Alì Pasha Tepelena, dice che a sud viene inclusa una parte della provincia di Tebe, tutta l’Eubea, l’Attica, i territori intorno alla baia di Lepanto (Corinzio), e infine la Morea (Peloponneso), la quale era sotto dominio di uno dei suoi figli. Sami Frashëri, nella sua opera ‘Kamus Al-alam’, in cui scrive le biografie degli Albanesi più famosi, menziona sotto queste voci che i figli di Alì Pasha Tepelena, rispettivamente Muhar Pasha e Veli Pasha, avevano i gradi di mytesarrif (funzionario provinciale nell’impero Ottomano) di Atene e della Morea (Peloponneso). Questo ci dice che prima che venisse creato il giovane regno di Grecia, quella terra si chiamava Albania non solo sotto il profilo politico, ma soprattutto sotto il profilo etnico-linguistico.

A supporto di questa tesi abbiamo una quantità enorme di documenti etnografici del tempo, che mettono in risalto il carattere albanese dei territori sopracitati. Jacob Philipp Fallemayer, che viaggiò attraverso la Grecia, incontrò in Attica, Beozia e nella maggior parte del Peloponneso una enorme quantità di Albanesi, che talvolta non capivano nemmeno la lingua greca. Se qualcuno chiama questo posto la nuova Albania – scrive lo stesso autore – gli dà il suo vero nome. Per lo studioso queste province del regno greco sono collegate con l’ellenismo quanto le montagne della Scozia lo sono con le province afgane di Kandahār e Kabul.

Anche se le teorie di Fallemayer non sono universalmente accettate, possiamo dire che pure ai giorni nostri è riconosciuto che un gran numero di persone, molti abitanti delle isole dell’Arcipelago e di quasi tutta l’Attica fino ad Atene sono Albanesi – scrive A. Vasiliev, autore di interi volumi sull’Impero di Bisanzio.

Sarà proprio questa popolazione guerriera albanese (della quale parlano con ammirazione tutti gli Europei del tempo) l’avanguardia della imminente rivoluzione che coronerà una Grecia indipendente. I Kundrioti - scrive Misha Glennyerano la più potente famiglia marinara dell’isola di Idra; essi erano a capo di un significativo gruppo di guerrieri durante la rivoluzione, ed erano proprio di origine albanese. Woodhouse mette in risalto la figura del condottiero della resistenza nel Nord della baia di Corinto, Marko Boçari; i discendenti di quest’ultimo erano in maggior parte Albanesi. Lo stesso Lord Byron, per dimostrare che il grande spirito ellenico non era scomparso, era solito citare proprio gli Albanesi sulioti. Addirittura, nell’immaginario collettivo europeo di quel tempo, gli Elleni famosi che illuminarono con la loro civiltà l’Europa, venivano identificati negli Albanesi contemporanei.

David Roessel dice: quando Disrael (primo ministro britannico) fece diventare greco l’eroe albanese Scanderbeg nel suo libro “La salita di Iskander” (1831), egli non cercava di riscrivere la storia oppure di eliminare l’identità albanese. Semplicemente egli non considerava il greco e l’albanese come termini estranei fra loro.

È particolare e significativa la confessione sincera del professore greco Nicos Dimou, in un’intervista rilasciata al New York Times: noi parlavamo albanese e ci chiamavamo Romani, però poi arrivarono Winckelmann, Goethe, Victor Hugo, Delacroix e ci dissero “No! Voi siete Elleni, diretti discendenti di Platone e Socrate”, e noi abbiamo sposato quella idea. (23 giugno 2009).

Il Re Otto I con fustanella (costume nazionale albanese)
 

Il Re Otto I con fustanella (costume nazionale albanese)

Nelle cronache della guerra per l’indipendenza gli eroi, i condottieri, i soldati erano Albanesi. A sostegno ulteriore di quanto abbiamo scritto, possiamo menzionare il fatto che, immediatamente dopo la conquista dell’indipendenza, quando regnava il Re bavarese Otto I, il costume nazionale albanese Fustanella fu adottato come abito ufficiale della Grecia, ed è usato tutt’oggi dalla guardia dell’esercito greco. Ecco perché le odierne bandiere del vanto greco Ellinicotica (vero greco) sono soltanto indicative della totale falsità delle loro pretese.

L’essenza non greca del nome “Greco”.

L’origine dei termini Grecia e Greco è illirica. La maggior parte degli studiosi contemporanei afferma che il termine greco sia riconducibile al nome ‘Graikhos’ (Γραικός), citato per la prima volta da Aristotele (‘Meteorologica’ I. XIV); un’altra interpretazione moderna, invece, è che tale nome sia stato usato dagli Illiri per indicare i Dori dell’Epiro (per i quali viene comunemente accettata in ambito mondiale negli ambienti storiografici la teoria del loro carattere parzialmente Illirico), e derivi da Graii, termine indicante un popolo autoctono dell’Epiro. Irad Malkin, storico nell’Università di Tel Aviv, sostiene che il termine Graikoi si estese nell’Italia del Sud per opera degli Illiri e dei Messapi.

Henry Wesford ritiene invece che furono i Pelasgi ad introdurre il nome Graikoi, (Γραικο) in Italia; ancora, Vihlelm Ihne pensa che la diffusione di tale termine sia dovuta agli Epiroti. In questo caso, l’unicità etnica dei Pelasgo-Illiro-Epiroti diventa inconfutabile, proprio grazie al continuo interscambio dei termini Pelasgi, Illiri ed Epiroti operato da vari studiosi. George Grote, nell’opera La storia della Grecia, dice che Graikoi erano una popolazione Illirica, il cui nome significava “montanari”.

La caricatura prende in giro le grandi potenze (i poliziotti) e il giovane stato greco (il bambino vestito con la fustanella albanese)

La caricatura prende in giro le grandi potenze (i poliziotti) e il giovane stato greco (il bambino vestito con la fustanella albanese)

Osborne William Tancock riferisce che i Graeci erano una piccola tribù che viveva sulla costa Illirica. Più tardi, i Romani chiameranno tutti gli antichi Elleni con il nome generico di Greci o Graeci; più concretamente, Leonard Robert Palmer è convinto che il termine Graeci sia illirico; invece Eric Patridge attribuisce a questo nome origini pelasgiche. Malte Brun, nelle le sue elaborate ricerche volte a dimostrare la struttura ellenica della lingua albanese, dice che il termine Graia (Γραία) va ricondotto alla parola albanese Grua (donna). Anche Giuseppe Crispi, professore di letteratura greca dell’Università di Palermo, conferma l’etimologia proposta da Malte Brun; la parola Γραία significa donna (grua in albanese) vecchia; volendo, anche casalinga, nel senso di ‘una donna con grande esperienza’. Comunque sia, “Grua” è una parola antichissima.

Nicholas C. Eliopulos afferma che, nella cultura romana, con la parola Graeci ci si riferiva all’identità matriarcale dei Greci. Questa opinione viene rafforzata delle tante testimonianze di autori greco-romani che, descrivendo il mondo illirico, dimostravano una grande ammirazione e rispetto per il sesso femminile. William Ridgeway, storico britannico, dice che Aristotele intendeva probabilmente riferirsi agli Illiri quando affermava che i popoli guerrieri, fatta eccezione per i Celti, hanno spesso affidato il controllo alle donne. Gli Illiri erano una ginecocrazia nel III secolo a.C. e per questo motivo non ci si deve stupire del fatto che il più grande monarca degli Illiri sia stata una donna. Ella era Teuta, regina che, nel 328 a.C., uccise gli emissari di Roma. Nella ‘Encyclopaedia Britannica’ (1911) si afferma: le donne in Illiria hanno spesso avuto una elevata posizione sociale; addirittura avevano potere militare. La testimonianza dello Pseudo-Scylax, nel Periplus (21), ci dice che i Liburni erano sottomesi al potere delle donne. Questa condizione viene interpretata, da parte di molti studiosi contemporanei, come una forma di matriarcato. Stipçeviq crede che abbiamo a che fare con i residui di una antica istituzione, le radici della quale si devono cercare nel periodo pre-indoeuropeo. Strabone, in Geographie (7.7.12), parla della casta dei sacerdoti della Dodona pelasgica, nella quale profetizzavano tre donne (ὕστερον δ' ἀπεδείχθησαν τρεῖς γραῖαι, ἐπειδὴ καὶ σύνναος τῷ Διὶ προσαπεδείχθη καὶ ἡ Διώνη.)

Anche nelle antiche leggende pelasgiche, e soprattutto nella legenda di Perseo, si parla di tre dee chiamate Graiai . Esse, nell’immaginazione mitologica, si presentavano come tre donne vecchie, addirittura nate già vecchie. Nel dare un valore scientifico all’ipotesi che la parola graia equivalga alla parola grua (in albanese donna) veniamo confortati dallo stesso Strabone, quando scrive (VII, 2): nella lingua dei Molossi e dei Tesproti le donne vecchie si chiamavano ‘γραίας πελίας’ (graias pelias). In poche parole, l’etimologia del nome greco è riconducibile alla parola illiro-albanese gra plaka (donne vecchie), con riferimento diretto al culto della madre e della donna nell’antico mondo pelasgo-illirico. Nella molteplicità dialettale della lingua albanese troviamo rispettivamente per γραίας, al plurale graria, granini (donne) ecc. Anche più tardi l’eponimo greco (oppure graeci) sottintendeva sostanzialmente l’albanese. Il paese Piana dei Greci a Palermo è stato popolato da sempre solo da Albanesi di rito ortodosso. Negli anni ‘30 del secolo scorso, il nome di questo paese è stato cambiato in Piana degli Albanesi.

Prishtina, 11 agosto 2010

Fonte: il testo in lingua albanese: www.pashtriku.org

La traduzione in lingua italiana è di Elton Varfi


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Da Dardan Leka
Inviato il 20 aprile a 12:40

Si duket, këto 20 vitët e fundit, disa autorë shqiptar te infektuar nga viruset e disa autorË shkruseve e jo studiuesve, sillan si disa fmijê adoleshentë, ose si disa te burgosur qê sapo kanë dalur nga burgu i Alkatrazit, me leximine dy rreshtave tek Homeri e dy a tre tek herodoti e Heziodi, humbin udhen nga mjeglla pellazgjike; nê pa aftësi për të njohur realitetin ose, ndoshta edhe e dijnë por, te shtyër nga mashat e tyre veprojnë në interes të atyre që paguajnë, për të vetmin qëllim, të shëmbin tezen ILIRE, por, duhët t'iu themi, atyre që ende nuk e kanë kuptuar se, kjo teza pellazge është një propagand armiqësore, serbo greke, së pari që ta shembin tezen ilire e pastaj t'iu lihet në dorë sundimi i tokave shqiptare nga sllavo-vëllehët apo SLLAVO-PELLASHKËT=VELLASHKËT, një thikë në shpinë, por, mos u trazoni fare, kurrë SHTETI shqiptar dhe deri sa të jemi gjallë ne dhe Akademia jonë nuk do e hajmi këtë INTRIG pellashko/vellashke=BELLASHKE=te bardhoshve...të na sundoje mbi popullin ILIRO-SHQIPTAR, ne që jemi popull para Pellashk/Bellashki, sepse ne jemi te races Dinarike vendas që nga para historia në tokat tona dhe lidhje fare nuk kemi më këta endacakët Pellashko/Vellashk apo Bellashki, edhe se, me këtë etni, asnjëherë nuk patem armiqësi, perkundrazi, patem dhe ndajtem miqësi dhe rrespekt gjithëmonê që nga vendosja e tyre në gadishull rreth vitit 1896 para krishti, kjo nuk mohohet, por, nuk do thotë kjo se, ne duhet ti lejojmi vëllëhet sot, njashtu si nuk i lejuam as turqit të na e ndryshojnë historinë tonë, pra, NE shqiptarët jemi ne këto troje para vellashko// pellazgëve, i rrespektojmi dhe çmojmi kontributin e tyre që na sollen, por, kurrësesi nuk lejojmi që të na ndrrojnë jo vetëm historinë, siç tentojnë turqit, por edhe më keq, vellashko-pellazget mundohen më intrigat e tyre te na e ndryshojnë edhe IDENTITETIN TONË, autoktoninë Dinarike duke u munduar ta zëvendêsojnë me ate Vellashke/Bellashke/Pellashke, por duhet ta dini se ne jemi ILIRË dhe krenar që jemi shqiptar ! Faliminderit !

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Pellazgjishtja:

Gjuha e pellazgëve, një gjuhë e panjohur: disa të dhëna nxirren në mënyrë të terthortë. Janë veshtruar si mbeturina të Pellazgëve disa fjalë të greqishtës dhe disa emra vendesh, personash e perëndish me disa prapashtesa të veçanta, që nuk kanë të njejtat tipare fonetike që nuk karakterizojnë greqishten. Janë bërë përpjkje për të zbuluar lidhjet e pellazgjishtës me gjuhë të tjera indoeuropiane dhe janë sjellë të dhëna me interes që kanë çuar përpra trajtimin e këtij problemi. Pellazgjishtën e kanë afruar atë herë më ilirishtën dhe nëpërmjet saj me shqipen, herë me trakishten, herë me gjuhët gjermanike dhe =BALTO-SLLAVE=, herë me gjuhët =anatolike= etj. Megjithatë përkatësia etnike e pellazgëve dhe përkatësia gjuhësore e tyre nuk janë zgjidhur përfundimishtë. Që në shekullin XVII-të por veçanërisht me Rilindasit e shekullit XIX-të u hodh e u trajtua teza e lidhjes së pellazgëve me shqiptarët dhe të pellazgjishtës me shqipen, nga studiues shqiptarë e të huaj. Për të treguar lashtësinë e popullit tonë, tezën prejardhjes pellazge të shqiptarëve e shtjelluan sidomos rilindësit Jeronim De Rada, Pashko Vasa, Naim Frashëri, Sami Frashëri etj, dhe e popullarizoi nëpër Europë veçanërishtë albanologu Hahn. Kohët fundit këtë tezë e ka mbrojtur edhe Spiro Konda në librin: Shqiptarët dhe problemi pellazgjikë, botuar greqishtë dhe shqip 1952 Tiranë.

Përgatiti për Fjalorin Enciklopedik Shqiptar 1985 Seit Mansaku

The Pelasgians were of Sclavonian origin ?

John Will Donaldson: "It has been proved that the Sarmatians belonged to the parent stock of the Sclavonians; and we find in the Sclavonian dialects ample illustrations of those general principles by which the Scythian languages seem to have been characterised. Making, then, a fresh start from this point, we shall find an amazing number of coincidences between the Sclavonian languages and the Pelasgian element of Greek and Latin: most of these have been pointed out elsewhere1; at present it is only necessary to call attention to the fact. So that, whichever way we look at it, we shall find new reasons for considering the Pelasgians as a branch of the great Sarmatian or Sclavonian race. The Thracians, Getas, Scythse, and Sauromatte, were so many links in a long chain connecting the Pelasgians with Media; the Sauromataa were at least in part Sclavonians; and the Pelasgian language, as it appears in the oldest forms of Latin, and in certain Greek archaisms, was unquestionably most nearly allied to the Sclavonian: we cannot, therefore, doubt that this was the origin of the Pelasgian people, especially as there is no evidence or argument to the contrary. But, to return to Italy, who were the old inhabitants of that peninsula? Whom did the Pelasgians in the first instance conquer or drive to the mountains? What was the origin of that hardy race, which, descending once more to the plain, subjugated Latium, founded Rome, and fixed the destiny of the world ? Burimi; Varronianus: a critical and historical introduction to the ethnography..".

Par John Will Donaldson...Pra, kur nuk e dijmi se nga erdhen pellazgët më mirê te mbesim ilirë, këta që jemi sot më emrin shqiptar e mos te shkojmi me kokë drejtê një muri apo te rreshqasim mbi akull pa patur nevojen fare ..

Ju faleminderit për mirkuptimin shëndet!