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La solitudine dei numeri triti - Ricchi spoiler e cotillons

Creato il 02 ottobre 2010 da Sogniebisogni

Alba Rohrwacher e il solito metacinema

Dicono che sputo nel ricco piatto del cinema italiano senza mai neppure vederlo. A parte che so sputare e colpire nel segno un piatto inesistente anche alla cieca, non è del tutto vero: ogni tanto vado a vedere qualche film italiano. Insieme all’amico Fritz, mi sono trascinato in sala per La solitudine dei numeri primi di Saverio Costanzo, tratto dall’omonimo pluripremiato best-seller di Paolo Giordano. Il romanzo ha preso anche lo Strega, ma è debole. Una serie di luoghi comuni letterariamente ben pettinati che ambiscono a essere racconto generazionale. Ci vorrebbe un libro così per le generazioni degli anni Ottanta, ma ancora non l’hanno scritto. Tutti i temini triti e ritriti ben allineati su pagina: alienazione, crisi della famiglia, consumismo, handicap, solitudine, anoressia, bullismo, bulimia, autolesionismo, malattia mentale. Comunque Saverio Costanzo ha l’ambizione di andarsi a cercare il confronto con un best-seller, il che è indice di coraggio (centinaia di lettori del libro scriveranno peste e corna di te su internet e già lo sai). È un regista dotato, che non ha paura di far vedere lo stile e non sfoca le lampade sullo sfondo. Gli attori recitano da bene a benino, soprattutto Alba Rohrwacher che sfodera una certa fisicità proprio nel ruolo di un’anoressica.

Data la materia del libro c’era il rischio che venisse fuori una fiction televisiva con gli attori che urlano e si strappano i capelli mentre pronunciano dialoghi pregni di metafore. Per ovviare al problema Costanzo si inventa una serie di climax da film horror con citazioni che spaziano da Argento a Kubrick e una invadente soundtrack goblinesca (dicono fatta dal tizio dei Dead Can Dance). In realtà l’orrore non c’è, ma il brivido evocato dovrebbe sottolineare il disagio esistenziale. All’inizio l’effetto è spiazzante, ma il trucchetto ripetuto venti volte nel film riesce a sfiorare il ridicolo. Gli spettatori davanti a me si davano di gomito mentre uno diceva ridacchiando: «Me sto a caca’ sotto…». Da come Costanzo ha alterato il plot del libro si capisce che la sua unica preoccupazione era controllare visivamente il materiale. Se da una parte è apprezzabile che non si sia fermato ai contenuti, ma abbia cercato di costruire un mondo cinematografico nel quale calare la storia dei due disgraziati protagonisti, d’altra parte ha cercato di sottolineare in ogni modo il suo distacco sui materiali con narrazioni alternate, flashback e spiazzamenti vari. Come dire: «Ve lo mostro ma non credeteci neppure voi». In questo paese è imbarazzante immergersi nel film, nel resto del mondo nessuno ha paura di girare un mèlo.


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