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Led Zeppelin IV – Il narratore (esercizi di stile)

Creato il 08 dicembre 2012 da 79deadman @79deadman
Led Zeppelin IV – Il narratore (esercizi di stile)
Questo personaggio vi accompagnerà lui stesso nella recensione in quanto, oltre che autore, ne è anche narratore interno. Da qui il largo utilizzo della prima persona e di frasi ricche di pronomi e aggettivi possessivi a formare espressioni del tipo: “a mio parere”, “mi fa venir in mente”, “per me”… E’ comune il tentativo di dare un taglio più narrativo al testo, fatto ben evidente nell’utilizzo di introduzione e conclusione collegate e a tema autobiografico. Spesso il testo degenera in uno scolastico “simil-tema-del-liceo” a sfondo musicale.

Mi accingo a scrivere questo pezzo mentre il CD ancora gira nello stereo. E’ passato ormai parecchio tempo da quando ho acquistato Led Zeppelin IV per la prima volta, ma ne è passato poco dall’ultimo ascolto. Questo è uno di quegli album che riesce sempre a trasmettermi qualcosa di profondo, che ogni volta mi regala emozioni nuove e differenti dalle precedenti. Voglio mettere subito in chiaro le cose dicendo che, a mio parere, questo è uno degli LP che si merita il titolo di capolavoro. E mentre il mio stereo è a tutto volume, incurante delle orecchie di chi sta al piano di sotto, voglio anche tagliarla corta coi preamboli. Immergiamoci allora insieme nell’ascolto del mitico Zoso!
E che inizio! Non c’è il tempo di rilassarsi un attimo che siamo subito inseguiti dal cane nero di Black Dog, un classico hard rock come gli Zeppelin ci hanno abituato nei precedenti lavori. Rock n’ Roll, non c’è niente da fare, mi fa sempre scatenare: una canzone che potrebbe essere uscita dalla chitarra di Chuck Berry rivisitata dalla potenza del quartetto inglese. Con una accoppiata di tracce del genere la strada sembra segnata. Ma ecco uno di quei cambi di umore che segnalavo all’inizio: Battle of Evermore è una ballata lenta, in cui ogni volta ci sento dentro qualcosa di difficilmente descrivibile. La prima volta che l’ascoltai, devo ammetterlo, rimasi delusa; ma col tempo, ho cominciato ad apprezzarla di più: sarà per gli intrecci acustici di chitarra e mandolino o per la bella voce della cantante Sandy Denny che duetta con Plant? Un brano, a mio parere, ancora da scoprire a pieno nel catalogo degli Zeppelin. Ma ecco che ci siamo; alzo appena il volume, spengo la luce. E’ il momento di Stairway to Heaven. Una canzone per cui proprio non ce la faccio ad essere obiettiva; perché? Forse perché non è una canzone ma è la canzone; quella che mi ha fatto scoprire il Rock, quello con la “r” maiuscola, quello degli anni ’70, quello che mi ha accompagnato nei momenti più esaltanti e mi ha sorretto in quelli più deprimenti. Non ho tante parole per descrivere questo brano: ascoltatelo voi, in silenzio, magari in penombra; ascoltate l’assolo di Page. Il tempo sembra fermarsi per un momento… ma il CD gira e l’album è incalzante. Misty Mountain Hop è una canzone che ho sempre ritenuto sottovalutata, forse sarà il fatto che segue un mostro come Stairway o che magari manca un po’ di “personalità”; io la trovo accattivante, robusta nel riff ma affascinante nelle liriche un po’ lisergiche e surreali. Ma a proposito di fascino vorrei spostare per un attimo il discorso sulla copertina di quest’album, misteriosa ma piena di significati, in cui il gruppo ha voluto rappresentare, nel contrasto tra il vecchio e la città, il contrasto planetario tra “natura” e “umanità”. Fra tutti i brani dell’album, Four Sticks è sempre quello che mi ha presa di meno: riconosco la bravura di Bonzo a destreggiarsi in una ritmica così complessa, ma la melodia non mi ha mai convinta più di tanto. Poco male perché il brano seguente, Going to California, con la sua dolcezza acustica è sempre stato uno dei miei preferiti nel catalogo “Zeppelin Unplugged”. Una canzone che a tratti ricorda i brani migliori di Led Zeppelin III e che è un’ode del gruppo all’amata west-coast. Un paio di secondi si silenzio, ed ecco che una batteria veramente statuaria ha riempito la mia stanza: è When the Levee Breaks, ultimo pezzo, un ritorno all’amato blues dell’album d’esordio. Un brano che mi richiama alla mente certi passaggi di How Many More Time o addirittura di Dazed and Confused, altro brano che ho amato alla follia.
Non resta molto da dire; anche il mio stereo si è spento, dopo l’ultimo giro vorticoso di un CD che considero immortale. Ancora un ascolto, e mi sento piena di qualcosa di nuovo. Credo che ogni disco si possa amare od odiare, credo che ognuno di noi abbia un capolavoro che qualcun altro detesta. Forse questo è l’album che ci può veramente mettere d’accordo tutti; almeno su cosa sia il Rock, quello vero. Alla prossima!

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