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Love and Rockets: Rio Veleno – il posto che si merita

Creato il 30 novembre 2012 da Lospaziobianco.it @lospaziobianco

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Fragil como un volantin
En los techos de barrancas
Jugaba el nino Luchin
Con sus manitos moradas
Con la pelota de trapo
Con el gato y con el perro
El cabalo lo miraba

 

Luchin di Victor Jara

 

 In tutte le librerie di varia è possibile reperire i testi fondamentali della narrativa latino americana. I più noti: Marquez, Allende, Amado, Sepulveda, …
Meno frequente la presenza dei capolavori del peruviano Manuel Scorza, ma la sua La danza immobile è spesso presente. Non ne cito molti, moltissimi altri. Perché ce ne sono molti, moltissimi altri.
Ma nelle librerie non troverete mai i volumi di Gilbert “Beto” Hernandez e del suo Love & Rockets (Magic Press). Se cercherete Benvenuti a Palomar o Rio Veleno o Piedi a Papera, resterete a bocca asciutta. Se vi capitasse di trovare una copia a suo tempo ordinata e mai venduta, tra i fumetti, tra una ristampa Mondadori di Tex e un inedito di Fantomas della BD e un volume qualunque di Hulk o degli X-Men della Panini, sarebbe solo per errore di valutazione da parte del negoziante. E a meno che non conosciate già di cosa si tratta, se lo vedeste lì, tra gli altri fumetti, e lo sfogliaste, lo trovereste fuori luogo, sbagliato e non lo capireste. Rimarrebbe lì, indesiderato. Come è giusto che sia.
Potete richiederlo,

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E allora potete decidere di cercare la saga di Palomar nel ghetto delle fumetterie. Il risultato, spiace dirlo, sarebbe più o meno lo stesso. A parte per alcuni librai illuminati, infatti, le librerie specializzate non reputano commercialmente valido avere i volumi di Beto Hernandez (e tanto meno quelli potenzialmente più vendibili, ma meno belli, del fratello Jaime). Potete ordinarli. Come sopra.

La saga di Palomar è il capolavoro a fumetti della cultura sudamericana. Spesso paragonato a Marquez, io lo trovo sorprendentemente più vicino all’occhio di Scorza, disincantato ma poetico, concreto ma evoluto, secco ma ricco, inafferrabile. Non esiste migliore esibizione della triste e vituperata esistenza del Sud America che quella di Beto Hernandez. Senza conformismi e senza alcun sentimentalismo, qui troverete a livello esistenziale la riproposizione delle sventure politiche ed economiche della colonia/non colonia degli Stati Uniti. È un lavoro di una complessità narrativa eccezionale (nel senso di eccezione) che utilizza le potenzialità del fumetto senza mezze misure, coinvolge i sensi, i simboli, le assimilazioni, la decostruzione, le sovrastrutture logiche, attraverso una meccanica narrativa travolgente.

Beto non gioca con il lettore, lo vuole schiaffeggiare. E non certo con il suo tratto semplice, il suo bianco e nero netto e “povero”, ma con le sincopi del suo procedere, attraverso una sceneggiatura che è essa stessa manifestazione di ritmi latini, di convinzioni ideologiche, di storture finto-democratiche, di leggende di paese frutto dell’ignoranza. Il sesso e l’arricchimento personale sono gli ingranaggi del meccanismo. Tutti vittime di un sistema, di automatismi incompresi, tutti spersonalizzati e de-umanizzati, quindi umanissimi.

Rio Veleno è forse la vetta più alta. Racconta la vita di Luba, il primo pezzo della sua vita, e ce la sbatte in faccia, proprio come Luba ha sbattuto in faccia la sua prima virtù a decine e decine di uomini. L’ammaliatrice è in realtà posseduta dalla sua fragilità e si trincera dietro a un ruolo che le offre l’opportunità di un’identità, per quanto infelice. In Rio Veleno il fiume del veleno è l’insieme delle esistenze che hanno condiviso e condizionato quella di Luba.

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Beto non gioca, è realistico quanto espressionista. I volti dei protagonisti maschili si assomigliano, ma “sono tutti uguali i mangia tortillias”, come i cinesi. Sono il terzo mondo, quello senza identità e diritti di cittadinanza.

Ma Beto ci ricorda anche che tutta quell’umana disperazione, prima della lotta per l’affermazione, era la piccola e innocente gioia di vivere dei bambini. I bimbi e il loro occhio lucido e legittimo sono un elemento fondamentale dello sguardo dell’autore. Ecco perché, le “fotografie” dei protagonisti a inizio di ogni capitolo ritraggono sempre il loro viso da bambini. Ricordiamo, anche il più vile degli assassini è stato un bambino.

C’è una tale nostalgia in questa banale constatazione che mi lascia ogni volta senza fiato. Nel modo in cui Beto ce lo ricorda, ce lo sottolinea senza mezzi termini. C’è tutto l’amore per la vita. Come nella semplice, disadorna e lucente canzone di Victor Jara Luchin, che apre l’articolo.

La saga di Palomar è uno degli epigono non solo del fumetto mondiale, ma anche di una testimonianza di vita, quella del Sud America e delle sue torture autoinflitte e ricevute. L’ultima delle quali, la meno dolorosa ma culturalmente più indegna, è l’irreperibilità di queste storie. Come l’invisibilità dei desaparecido. Ma val la pena cercare e scovare queste storie. Sono prezioso quanto la verità storica e sociale di cui sono fatte. E forse, con un cambio di editore in vista, le cose cambieranno. Si spera.

 

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Articolo già apparso su harrydice.blogspot.it il 18 maggio 2009  

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