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Marco Ulcigrai – Il Triangolo: “Un’America è un disco occidentale e un po’ latino”

Creato il 13 maggio 2014 da Stivalepensante @StivalePensante

Dopo aver vinto “Va sul Palco” nel 2011, un concorso per le band emergenti della provincia di Varese, “∆ – Il Triangolo” hanno debuttato con il disco “Tutte le Canzoni” nel 2012, prodotto dalla Ghost Records. A pochi giorni dall’uscita del secondo album “Un’America” (Ghost Records), la redazione de “Lo Stivale Pensante” è andata ad intervistare il cantante e chitarrista, Marco Ulcigrai, che ha risposto alle nostre domande e ci ha raccontato molte curiosità sulla band.

La copertina dell'album

La copertina dell’album “Un’America” de “Il Triangolo”

l Triangolo, è un trio che si è formato a Luino nel 2010 ed è composto da Marco Ulcigrai (chitarra e voce), Thomas Paganini (basso e cori) e da Mauro Campoleoni (batteria e percussioni). A due anni dall’uscita di “Tutte le Canzoni”, il 6 maggio è stato pubblicato “Un’America”, ultimo lavoro discografico de “Il Triangolo”. Abbiamo raggiunto il cantante e chitarrista, Marco Ulcigrai, che ci ha concesso un’intervista lunga, ma allo stesso tempo  molto interessante, curiosa ed eterogenea. ”Il Triangolo” suonerà giovedì sera (15 maggio) al “Twiggy” di Varese, il 16 a Terranuova Bracciolini, al “Work In Progress” in provincia di Arezzo, il 17 a Roma, al “Fuso Lab 2.0″, il 24 maggio allo “Studio2″ di Vigonovo in provincia di Pordenone e il 7 giugno al “Mi.Ami” di Milano.

“Un’America”, è la canzone che dà il nome all’album, perché questa scelta?

Un’America vuol dire tante cose: per noi rappresenta una possibilità, una speranza, un’opportunità. In questa canzone sono presenti numerosi riferimenti a tematiche che riguardano la città, la vita urbana e il rapporto che lega l’uomo occidentale alla natura selvaggia, e che si incontrano varie volte, per tutta la durata del disco.

Come mai avete scelto come primo singolo proprio “Un’America”?

Sin dalla prima stesura, non appena la feci ascoltare agli altri ci trovammo tutti d’accordo sul fatto che questa sarebbe stata il punto di partenza dal quale iniziare a lavorare sul nuovo album. Siamo sempre stati dell’idea di provare a cambiare suono ed atmosfere da un disco all’altro, di provare a non ripeterci. Questa canzone incarna perfettamente, secondo noi, le caratteristiche di questo cambiamento, di questa evoluzione.

Di cosa parla la canzone “Un’America”? C’è un verso molto particolare come “popolo che vive in funzioni di due soli, creati a somiglianza dei loro arcani genitori”. Ce lo puoi spiegare?

Il testo di “Un’America”, l’ho scritto subendo l’influenza dei romanzi di Gabriel Garcia Marquez (ndr dichiarazione rilasciata prima della morte dell’autore colombiano). I suoi libri ricreano un immaginario di realtà passate, contaminato da intensi sprazzi di magia e follia. Ho immaginato le popolazioni native americane, prima della colonizzazione dall’Occidente, dominate dal fascino del sole, che rappresenta le divinità, tutto ciò in cui credevano, tutto ciò in cui riponevano le loro speranze. Ho pensato a queste terre, a queste popolazioni antiche, a questi mondi: credo sia semplicemente un’immagine molto forte. Ho provato a raccontare di queste popolazioni proprio nel momento in cui perdono la propria purezza e vengono colonizzate dall’Occidente, che impone i propri usi e le proprie credenze. Il disco apre con “Un’America” e si chiude con lo stesso pezzo, ma ripreso in chiave acustica, spogliato completamente di ogni arrangiamento, come per concludere idealmente la storia di questa fantomatica civiltà.

Secondo te, quindi, “Un’America” guarda solo al passato o si attualizza in qualche peculiarità testuale?

E’ il racconto della storia, di quello che è passato e non tornerà. Più o meno è la stessa cosa di cui parlano altri brani, ma in maniera più velata, come ad esempio “Icaro”. Questa canzone parla dell’attualizzazione e della desacralizzazione del mito, ponendo l’interrogativo sull’identità del nuovo Icaro. Egli è, ora, un nero, un africano, un uomo disposto a lasciare la propria terra per una destinazione a lui ignota, misteriosa. Egli, se potesse, proverebbe a distruggere il sole, che racchiude in sé le caratteristiche del carnefice che ha condannato il suo popolo a subire anni di siccità, di fame e di povertà.

C’è un fil rouge che collega i testi delle canzoni in qualche modo?

Le canzoni di questo album raccontano in qualche modo il rapporto che lega la città e la natura selvaggia e, parallelamente,  la cultura occidentale ai luoghi che sono riusciti a non esserne soffocati. Questo non è un album politicizzato o sociale, ma ho voluto dare una mia personale visione della realtà, da un punto di vista probabilmente più romantico che politico.

“Icaro”, rispetto al primo singolo, credo abbia una maggiore influenza musicale. Mi ha ricordato molto la musica dei “Kraftwerk”. Come ci spieghi questa scelta strumentale?

La ricerca sui suoni è un lavoro che abbiamo condotto insieme al nostro produttore artistico, Sergio Maggioni. Sotto la sua guida abbiamo esplorato dei territori che prima ci erano oscuri, come, ad esempio, il krautrock e la new wave. Per quanto riguarda i suoni più “sporchi”, sono frutto dell’influenza di ascolti recenti.

Da sinistra il batterista, Mauro Campoleoni, Marco Ulcigrai (voce-chitarra) e Thomas Paganini (basso). Foto di Claudia Zalla

Da sinistra il batterista, Mauro Campoleoni, Marco Ulcigrai (voce-chitarra) e Thomas Paganini (basso). Foto di Claudia Zalla

“Icaro” stravolge la musica del vostro primo album, “Tutte le canzoni”. Come mai avete scelto di pubblicare questo brano in anteprima? E’ stata una vostra decisione o ve l’ha consigliato l’etichetta?

È stata una decisione autonoma. Ci tenevamo a far sentire tutti questi cambiamenti a livello sonoro, quindi abbiamo scelto come apripista il pezzo che secondo noi ne conteneva di più.

Secondo te “Icaro” è l’icona-manifesto di “Un’America”?

No, semplicemente è il pezzo che più di tutti ha assorbito le varie influenze musicali che abbiamo avuto. Probabilmente se c’è una canzone-manifesto del disco, è proprio “Un’America”.

“Avanti”, invece, è melodica e malinconica, ma nel corso della canzone aumenta di ritmo. A parer mio, sembra sia una versione più matura e consapevole di “Giurami”. Mi sbaglio?

(Ride…ndr) Si, è l’unica canzone del disco che tratta di un argomento legato al primo: quello dell’adolescenza, degli amori giovanili, il tutto trattato con una certa malinconia. Proprio il fatto che si chiami “Avanti” però, serve a evidenziare una certa maturazione, “andiamo avanti” significa anche questo. La canzone è divisa in due parti ben distinte, sia dal punto di vista dell’arrangiamento, che dal punto di vista del testo e dell’ambientazione.

Da quello che mi hai detto mi sembra ci sia stata la volontà da parte vostra di distaccarvi un po’ dal primo album “Tutte le Canzoni”. E’ così?

Vorremo che questo cambiamento fosse inteso più come una ricerca che come un distacco, vorremmo far capire che la nostra è una continua ricerca ed evoluzione. Non avrebbe senso cambiare totalmente, ci hanno sempre affascinato le band che riescono a cambiare con successo, ma per fare ciò bisogna sempre mantenere una certa coerenza e soprattutto non rinnegare mai ciò che si è fatto.

Generalmente, però, prendendo il disco nel complesso avete creato un qualcosa che, nonostante abbia tante influenze diverse, sembra che tutto riesca a convivere appieno. Come siete riusciti in questo intento?

Come tutti gli appassionati di musica portiamo avanti diversi tipi di ascolto in modo parallelo, da quello delle band storiche del rock e del cantautorato fino alle novità. Per esempio in questo ultimo periodo sto ascoltando molto l’album di Lorde e quello di Sohn, che sono due ascolti abbastanza atipici per i miei gusti, ma mi piacciono. Per quanto riguarda la musica del passato non posso negare che siamo molto attratti anche dall’estetica che la contraddistingue: vecchi amplificatori, chitarre vintage, etc.

Da dove inizi per scrivere una canzone? Prima la musica, il testo o insieme?

Mai separatamente, non riesco a scrivere un testo e poi mettermi alla chitarra. Solitamente inizio a suonare la chitarra e appena trovo il giro giusto di accordi oppure un riff accattivante inizio a canticchiarci sopra. Quando la melodia della voce viene creata contemporaneamente alla nascita del giro di chitarra allora è perfetto, ma questo è raro che accada.

Ora mi piacerebbe fare con te un confronto sui testi. Che differenze ci sono tra il vostro album d’esordio “Tutte le Canzoni” e questo?

I temi principali del vecchi album sono la nostalgia, la giovinezza, l’adolescenza. Il nuovo, invece, credo abbia più fantasia, più aggressività, e un carattere più esotico. I testi delle nuove canzoni sono più velati, interpretabili ed ermetici.

Da sinistra il batterista, Mauro Campoleoni, Marco Ulcigrai (voce-chitarra) e Thomas Paganini (basso). Foto di Claudia Zalla (facebook.com/iltriangolorock)

Da sinistra il batterista, Mauro Campoleoni, Marco Ulcigrai (voce-chitarra) e Thomas Paganini (basso). Foto di Claudia Zalla (facebook.com/iltriangolorock)

Cosa vi ha spinto ad avere un approccio strumentale così diverso rispetto al primo album? Cosa non vi ha convinto appieno di “Tutte le Canzoni”?

Eravamo un po’ stanchi del fatto che tutti gli articoli facessero forza su questa fantomatica retromania, che in realtà non abbiamo. Volevamo distaccarci un po’ dalla tematica “anni ’60”. Inoltre le canzoni dell’album nuovo hanno subito numerose modifiche prima di essere registrate, abbiamo fatto un lungo lavoro di preproduzione prima di entrare in studio, per capire quale fosse la miglior soluzione a livello di sound. Molte delle canzoni sono nate in chiave folk, abbiamo anche pensato di fare un album con delle sonorità acustiche e percussive, ma alla fine ha vinto il rock. In questo disco abbiamo adottato soluzioni che prima non avevamo mai sperimentato; molti overdub di chitarra sono stati suonati con il basso, il fuzz (distorsore molto potente ndr) ha fatto da padrone per quanto riguarda l’effettistica di basso e chitarra e inoltre il disco è stato registrato in presa diretta, ovvero suonando tutti e tre insieme, il che gli ha donato un’impronta più “vera” e omogenea.

Nei testi di questo album ci sono dei riferimenti all’attualità, che in “Tutte le Canzoni” non erano presenti. Da dove nasce questa sorta di volontà per una libera interpretazione delle canzoni rispetto ai tempi che corriamo? E’ voluto?

Credo sia semplicemente il mio modo naturale di vedere i temi di attualità che leggo sui giornali o che vedo nei tg. Il mio modo di trattare questi argomenti è forse poco pragmatico e più “poetico”, sia in accezione positiva che negativa. In Italia, inoltre, quando sento alcune band che trattano queste tematiche, credo che lo facciano con una sorta di populismo sfacciato, e questa è una cosa che non condivido.

Secondo te, “Quando Isacco gridò contro il popolo” può essere stato il “preludio” di “Un’America”?

No, secondo me potrebbe esserlo più “Una Sola Preghiera” dato che è l’ultima canzone di “Tutte Le Canzoni “ ad essere stata scritta e forse faceva già parte di un “blocco” successivo e respirava già aria di cambiamento . Era stata arrangiata e registrata mentre eravamo in studio e faceva parte già di un progetto futuro, un nuovo modo di scrivere, una percezione diversa da parte mia. “Una sola Preghiera”, in questo senso, la sentivo già proiettata nel futuro.

Com’è nata la collaborazione con la “Sauna Recording Studio”?

E’ il miglior studio di registrazione che c’è nella zona, altrimenti bisogna spostarsi a Milano. A livello tecnico e di strumentazione è un ottimo studio: ha amplificatori d’annata, bassi d’annata, batterie dai suoni incredibili, poi stiamo parlando di una villa sul Lago di Monate, in provincia di Varese, quindi stare lì è bello, e bisogna stare bene quando si è in studio. Immagina di stare chiuso in un brutto studio per 20 ore, ne usciresti matto.

Ed invece com’è stata e da dove è iniziata la collaborazione con Sergio Maggioni? Come vi siete trovati?

La scelta di avere Sergio come produttore artistico è maturata dopo essere stati seguiti da lui nel primo album. Se in “Tutte Le Canzoni” però, era stata l’etichetta a suggerirci lui, in “Un’America” siamo stati noi chiamarlo. La prima esperienza con un produttore è stata abbastanza traumatica per quanto mi riguarda, perché da un giorno all’altro mi sono ritrovato a lavorare con una persona che maneggiava le nostre canzoni come meglio credeva. C’è voluto un po’ di tempo per capire che il suo lavorio sarebbe diventato fondamentale, quando abbiamo ascoltato il disco alla fine della lavorazione ci siamo convinti che lui poteva essere la persona giusta.

E quali sono stati i risultati di “Tutte le Canzoni”?

Alla fine il disco ci piaceva molto, eravamo soddisfatti ma anche sorpresi da alcune scelte. Le critiche sono state buone e così ci siamo convinti che Sergio aveva fatto un buon lavoro. Con questa consapevolezza abbiamo scelto lui anche per registrare Un’America. E anche per quest’album devo dire che ci sono stati momenti di contrasto, è normale avere idee diverse su alcuni punti, ma il clima era sempre positivo ed è stato bello.

Da sinistra il batterista, Mauro Campoleoni, Marco Ulcigrai (voce-chitarra) e Thomas Paganini (basso). Foto di Claudia Zalla

Da sinistra il batterista, Mauro Campoleoni, Marco Ulcigrai (voce-chitarra) e Thomas Paganini (basso). Foto di Claudia Zalla

Secondo te, nelle vostre canzoni, quello che volete che gli ascoltatori apprezzino, ascoltino ed interpretino di voi, coincide con quello che realmente siete? C’è una coerenza tra il modo in cui salite sul palco e la musica ed i testi che poi suonate?

A livello di impatto scenico a volte ci è successo che chi ci vedeva suonare dal vivo ci aveva immaginato in maniera diversa, non so, forse con i pantaloni a zampa; in realtà suoniamo con gli stessi vestiti con cui andiamo in giro, è tutto molto naturale. Sul palco siamo sempre abbastanza spontanei, ci piace avere un approccio rock durante il concerto, ci facciamo prendere dal ritmo.

Parlaci del video di Un’America uscito pochi giorni fa.

Fin da subito la ritmica incalzante e frenetica di Un’America ci ha portato alla mente l’idea di una corsa interminabile e affannata. Abbiamo dato questo input a Francesco Imperato (Regista del video e autore del concept) e gli abbiamo lasciato carta bianca perché si esprimesse al meglio. La maggior parte delle scene sono state girate nelle campagne Piacentine, mentre la scena sott’acqua è stata girata a Porto Valtravaglia, in una piscina.

Come sono andate le prima date in concerto a Napoli e Macerata?

E’ stato bello tornare a girare per l’Italia, per noi questa è sempre la parte migliore. Le prime due date a Napoli e Macerata sono andate bene. Napoli è una città incredibile e a Macerata abbiamo suonato in Piazza Vittorio Veneto, nel centro storico della città. Questa settimana saremo a Varese, e poi a Terranuova Bracciolini (AR) e a Roma, una città che ci ha sempre dato grandi soddisfazioni.

Passiamo ai tuoi gusti musicali. Nel panorama degli artisti italiani quali sono quelli che apprezzi maggiormente?

Della scena indipendente italiana mi piacciono i Bachi da Pietra, Selton, Amor Fou, Calibro 35, Il Pan del Diavolo, Verdena, Giuradei e molti altri. Invece per quanto riguarda il passato, in questo ultimo periodo ho ascoltato molto Ivan Graziani, Battisti e Lucio Dalla; per quanto riguarda questi ultimi due mi sono concentrato sul loro periodo settantino e più sperimentale.

Che influenza, invece, hanno avuto i film nella musica per te?

Se c’è stata un vera e propria influenza è stata a livello inconscio. Guardo tanti film, ma se dovessi scegliere un regista da associare a “Un’America” direi Alejandro Jodorovsky. I suoi film possiedono la stessa nota magica ed esotica che mi piacerebbe lasciar passare al pubblico con i testi di questo album.

Ed infine, le tue letture quanto hanno inciso nella musica e nei tuoi testi?

Sono molto affascinato dai libri sull’India e se dovessi citarne uno direi Shantaram di Gregory David Roberts, o tutta la bibliografia di Hermann Hesse.

  • Marco Ulcigrai – Il Triangolo: “Un’America è un disco occidentale e un po’ latino”
Marco Ulcigrai – Il Triangolo: “Un’America è un disco occidentale e un po’ latino”

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