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MIA MADRE di Nanni Moretti (2015)

Creato il 14 aprile 2015 da Ifilms
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Scritto da Davide Dubinelli
Categoria principale: Le nostre recensioni
Categoria: Recensioni film in sala
Pubblicato: 14 Aprile 2015
Nanni Moretti   Festival di Cannes   John Turturro   Margherita Buy   Giulia Lazzarini  

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Sono ormai lontani i tempi in cui l'autarchico Nanni Moretti dissertava con acume e sarcasmo sulla condizione del disilluso universo giovanile, sul vuoto intergenerazionale, sulla perdita di valori morali, sulle idiosincrasie contemporanee, sul pubblico televisivo, sul potere distorto dei media, sull'ipocrisia dilagante, sulle proprie nevrosi, sulla Sachertorte. Con al centro se stesso, sempre e comunque. Il "morettismo" più intransigente ha lasciato spazio, dagli anni 2000 in poi, a una visione cinematografica più distesa e riflessiva, ancora affilata come un rasoio eppure silente nell'insinuarsi sotto l'epidermide dello spettatore senza quello straordinario (ma oggi inevitabilmente desueto) piglio spocchioso di gioventù. La filmografia dello splendido sessantaduenne di Brunico assume sempre più i tratti di un quadro artistico in divenire, ineccepibile nel rendere la consapevolezza e la maturazione di un autore tra i più importanti del panorama cinematografico italiano di oggi.

Un "nuovo corso" che non impedisce a Moretti di racchiudere in ogni singola opera i propri precipui tratti distintivi, solamente levigati dallo scorrere del tempo. Ed ecco che Mia madre, nell'essere un punto di arrivo che racchiude e completa un cinema sempre più orientato al rigore, alla riflessione sul dolore e l'inadeguatezza, alla paura di avere paura, non rinuncia ai consueti topoi morettiani (la famiglia borghese intrisa di cultura classica, la crisi d'identità, l'incomprensione, la crisi artistica, l'approccio ateo all'esistenza, la medicina, il ballo).

La fragile regista Margherita (Margherita Buy), sensibile ma arida nei sentimenti, incapace di rompere i propri schemi, bloccata nel concedere tutta se stessa al prossimo, è impegnata nella realizzazione di un film di denuncia sociale, il cui protagonista è un simpatico ed eccentrico attore americano di second'ordine che capisce a fatica l'italiano, Barry Huggins (John Turturro). Giovanni (Nanni Moretti), è il fratello ingegnere di Margherita. Entrambi devono fare i conti con l'irreversibile malattia cardiaca che ha colpito la loro madre Ada (Giulia Lazzarini).

Una parabola umana di rara autenticità che, nel totale rifiuto di retorica o facili espedienti volti a intercettare i favori del pubblico, riesce a indagare, con sottile ma allo stesso tempo devastante forza emotiva, il legame più complesso e imperscrutabile che possa unire due persone. Un film sull'assenza, sull'impossibile accettazione della perdita, e sulla straziante incapacità di liberare i sentimenti. Una nobile ricognizione sul dolore che va a completare l'elaborazione del lutto de La stanza del figlio (2001), prendendo forma anche dalla rigorosa riflessione sulla natura umana di Habemus Papam (2011), attraverso il pudore di uno sguardo ellittico e mai invadente, anche nei momenti più strazianti. Realismo e squarci onirici convivono magistralmente, in un'opera in cui Moretti, in totale controllo sulla materia narrativa, sembra defilarsi, proiettando se stesso sul personaggio di Margerita Buy, ammirevole protagonista. Il piano della finzione metacinemtaografica costituisce un mondo parallelo che plasma i caratteri donando loro l'effimera sensazione di avere un posto nel mondo («Tutti pensano che io sia capace di capire quello che succede, interpretare la realtà. Mai io non capisco più niente»).

Tutto concorre alla magistrale riuscita del film: la raffinata regia, l'impeccabile direzione degli attori (con Turturro e Giulia Lazzarini superiori a qualsiasi elogio), la scrittura puntuale (sceneggiatura di Moretti, Francesco Piccolo e Valia Santella), la ricercata fotografia (Arnaldo Catinari) e la struggente colonna sonora minimalista (Arvo Pärt, Ólafur Arnalds, Leonard Cohen, Jarvis Cocker, Philip Glass).

Voto: 3/4


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