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Prigioniero del proprio testo

Creato il 26 ottobre 2012 da 79deadman @79deadman

Prigioniero del proprio testo

Uno schema assai funzionale, che agisce bene soprattutto con gli album che poco concedono alla fantasia, adatto a testi lineari, scorrevoli e senza troppe pretese ma che presto prende il totale controllo del prodotto e lascia al povero autore scarsi margini di manovra. Non c'è nulla di male a seguire un canovaccio simile: si possono scrivere ottimi articoli seguendo quest'impostazione, ma la verità è che alla fine stanca. Forse più l'autore del lettore; ad ogni modo dopo avere toccato il fondo con un paio di pezzi su Maypole e Tongue, mi sono ripromesso di cercare alternative, soprattutto alla cronica sclerotizzazione di ognuna delle tre parti.

A volte si incontra chi maschera il tutto con il tono vissuto di chi scrive a presa diretta mentre l'album suona (o ancora meglio: il disco gira sul piatto): solitamente sono gli stessi gonzi che ci hanno precedentemente raccontato le avventure all'origine dell'acquisto del disco.

Laddove si scelgono altre strade, questo paragrafo finale può anche ridursi ad una singola opinione sull'album che pretende di riassumere in due parole pagine e pagine di svolgimento precedente; l'effetto è ancora più tremendo se introdotto dall'espressione "in conclusione ritengo...".

In questo caso, proviamo almeno ad evitare di concludere con la super inflazionata "...ma questa è un'altra storia...". Cosa ci aspettiamo? Il seguito? Beggars Banquet 2: la Digestione.

Perché, mi ripeto, alla fine stanca. Magari stancherà solo me ma sono convinto che un autore non possa accontentarsi di soluzioni facili e standard ma debba cercare anche percorsi differenti.

Nella maggior parti dei casi no. Se poi parliamo di gente famosa è perfettamente inutile. Voglio dire: sul serio devo spendere frasi per descrivere la copertina di Dark Side of the Moon e spiegare al curioso lettore che è una delle icone del rock moderno? Se ancora non lo sa, vuole dire che ha tutta una vita davanti per impararlo. Meglio delegare questa fatica all'opprimente loquacità del pensiero comune che ci circonda.

La regola è una, da cui ne derivano tante altre. Basta con il ricalcare pedissequamente la tracklist. E' un sistema che trasforma testi, anche buoni, in palle mostruose (vedi questo articolo su Village Green). Per certi album poi diventa ridondante e inutile: ve la vedete una roba del genere per un qualunque disco punk? (eppure se ne leggono...)

Senza contare che, se nemmeno noi siamo maratoneti della penna, ci toccherà prima o dopo ripiegare sulla costruzione prefabbricata di turno: il resto dell'album procede su questa falsariga / le altre canzoni presentano le stesse sonorità... Della serie: il lato B ve lo ascoltate da soli.

Ottimo, è senza dubbio un bel compitino ma è snervante, spesso opinabile, senza contare che ci sarà sempre quel brano inclassificabile che resta solo soletto fuori dai gruppi. Nessun problema, direte, basta non citarlo. Difficile, perché nove volte su dieci è il pezzo migliore dell'album.

Una cosa che spesso mi riprometto di fare, ma che altrettanto spesso non faccio, è cominciare a scrivere di una canzone o di un insieme di canzoni a partire dai testi. Sono una miniera di informazioni troppo trascurate; in effetti non sempre sono comprensibili né rintracciabili in rete o sulle copertine: la mole di lavoro diventa doppia. Il problema principale però è un altro: gran parte dei testi rock sono gretti, banali e insignificanti. Attenzione: parlo di testi non di temi. Ci sono canzoni lodevoli che trattano argomenti controversi e importanti, con parole banali e stereotipate. Ok, forse è comunque un giudizio eccessivo, ma se spogliate queste liriche dell'inglese (che per noi è "figo" a prescindere), se non considerate alcol, sballo e sesso come filosofie di vita degne di esegesi, se lasciate per un po' da parte Dylan, Cohen, Morrison (Van)... credetemi, non resta poi così tanto. Dunque? Viva i Ventures!

...il disco esce automaticamente dal lettore. Alzo gli occhi dalla tastiera. Ora c'è silenzio nella mia stanza. Il cellophane è ancora accartocciato sulla scrivania; ora posso gettarlo via e riporre il disco nello scaffale degli immortali.

Dopo questo capolavoro epocale degli Zeppelin, il sound del dirigibile virerà verso territori più soft e meno mistici... (indovinello: di che album starà mai scrivendo?)

Prigioniero del proprio testo

La vera sfida sarebbe recensire un album parlando d'altro, procedendo per sole associazioni di idee, di luoghi, di sapori. Bandita la tracklist, bandite le opinioni, rielaborate profondamente le descrizioni; non resta molto. Ma sarebbe un distillato niente male. Paragoni senza il come, riferimenti disparati e numerosissimi, contestualizzazione che non ha bisogno dei soliti enunciati estenuanti(ricorda sonorità... rimanda ad un sound...sembra di ascoltare... assomiglia molto a ...)

Per chiarirci: comincio parlando di una canzone; spiego la storia futura del gruppo, poi torno sulla genesi dell'album. Altra canzone. Basta. Rimescolo le carte. Analessi e prolessi, in miniatura; anticipo alcune parti dello svolgimento lasciando il lettore in grande debito di informazioni. All'inizio sfrutto l'ellissi e non la risolvo mai del tutto. Deve rimanere qualcosa di sospeso, qualche particolare mancante. La voglia di andarsi ad ascoltare l'album. Potrei anche rivelare solo in conclusione chi fossero gli Zerfas di turno: come in un giallo.


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