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Recensione: "Detachment - Il Distacco"

Creato il 30 maggio 2014 da Giuseppe Armellini
Ma che strana cosa che è sto Detachment, un film che passi dal trovarlo a tratti insopportabile ed altri
potentissimo, una strana cosa inafferrabile, che quando vorresti farlo tuo ti scappa via e quando vorresti lasciarlo andare riesce a conquistarti di nuovo.
Ti manca un punto d'appoggio, sì, sarebbe lui, lo so, ma poi non lo è, ti manca un punto d'appoggio perchè  non riesci a soffermarti su un personaggio, non riesci a seguire un filo perchè i fili sono tanti, forse troppi e quando pensi di averne afferrato uno si passa all'altro. C'è una forza centrifuga per cui ruoti sempre attorno a un nucleo che non riesci mai a raggiungere, anzi, te ne allontani spesso.
E tutto è iperbole, tutto.
C'è l'iperbole dello stile cinematografico con questo strano mix di ralenti, di primissimi piani quasi distorti, di macchina da presa che ogni tanto si fa ballerina, di colori che si sfuocano, di flash back opprimenti, di disegni persino, disegni su una lavagna virtuale, di una regia che a volte volteggia ed altre sembra quasi di stare in tv.
C'è l'iperbole della parola con quell'intervista "postuma" che a tratti cadenza il film, con quella voce fuori campo che spiega, analizza, descrive, racconta.
C'è l'iperbole della violenza scolastica con quei ragazzi che fanno sempre a botte,con quegli sputi in faccia ai professori, con quelle parolacce e offese così gratuite, con quel teppismo troppo marcato.
C'è l'iperbole della resa e della fine di un sistema, con quel ricevimento dei genitori in cui non se ne presenta nemmeno uno, no dai, non è possibile, nemmeno uno.
C'è l'iperbole del disagio interiore con il suicidio che di per sè, si sa, è iperbole.
Ma la cosa strana è che sì, tutte ste cose fanno arricciare il naso, tanti luoghi comuni esaltati , iperbolati all'ennesima potenza, ma dentro c'è sempre qualcosa che ti prende lo stesso, l'ho detto, mentre ti allontani dal film lui ti prende lo stesso, dovresti spogliarti magari perchè se ti resta un solo panno addosso lui ci si aggrappa e ti tira a sè.
E così nell'iperbole dello stile a volte resti affascinato da questa regia così particolare e non definita, da questa fotografia che muta, da tutti sti momenti che visivamente sembrano uno diverso dall'altro.
E nell'iperbole della parola ci sono comunque frasi e dialoghi che ti colpiscono forte, sfoghi potenti, come quello di Lucy Liu, che arrivano, eccome se arrivano.
Nell'iperbole della violenza a volte un brivido ti viene perchè lo sai che la realtà non sarà proprio quella ma a volte ci va maledettamente vicino.
Nell'iperbole della resa quella scena del ricevimento così assurda quasi quasi ti frega così tanto da fartela forse apparire come la scena più bella. Perchè racconta di un mondo che non c'è più, di un'epoca lontana che non può più tornare, racconta di un mondo altro da adesso.
E nell'iperbole del disagio c'è quel suicidio che con tutti quei pasticcini che ridono e con quello unico nero letale che piange riesce a rendere non banale il banale.
C'è qualcosa di strano in questo film, quasi una mistica, quasi che quello che racconta e l'atmosfera che lo pervade abbiano qualcosa di trascendentale, di oltre.
Forse per questo tutto è sfuggente, lo stile cinematografico, le vicende, gli epicentri. Perchè si vuole andar oltre, non raccontare e mostrare tematiche ma fartele apparire e renderle eteree, sfuggenti.
Che poi sul lato squisitamente oggettivo ci sono attori notevoli, con quell' Adrian Brody che si toglie con forza di dosso l'Argento e torna a fare quello che sa.
Ma c'è soprattutto lei, la giovane ragazza, poco più che bambina che si prostituisce, lei, una giovane attrice sorprendente con un viso che ti ruba gli occhi e con un ruolo che ti prende il cuore.
E quando la portano via, quando urla a lui di tenerla con sè ho pensato che era proprio il film a tenermi con sè.
Cos'è un insegnante? cos'è, adesso, un insegnante?
Il film prova a dirtelo, a spiegartelo, a mostrartelo. Io credo molto alla figura dell'adulto notevole, a quella figura cioè che può essere amica, può essere insegnamento, può essere forza, può essere appiglio, può essere ispirazione. E se tutto questo o parte di questo non lo sono stati i genitori ci sono un mucchio di altri adulti notevoli, e il professore, in senso lato,  può esserlo.
E questo qui di  professore è un uomo dall'infanzia rubata, un uomo che sa quali sono le cose giuste da fare ma poi fatica maledettamente a metterle in pratica. E tutto, o quasi, gli esplode intorno.
Storco il naso al prof macchietta disperato con moglie teledipendente, lo storco di nuovo all' imprenditore e le sue vendite immobiliari crollate per colpa dei voti scolastici, e ancora al padre che (e basta!) dice che l'arte è merda e ancora e ancora.
Ma il film ti prende e ti porta fino in fondo.
Non lo so se lo fa in modo onesto, genuino, sincero.Certo esagera, certo ambisce a tanto e quando ambisci a tanto l'errore più grande che puoi fare è aggiungere, aggiungere e aggiungere.La perfezione non si può raggiungere ma è molto più facile andargli vicino col poco rispetto che col tanto.Chè col tanto rischi troppo, la percentuale di errore aumenta in modo esponenziale..Non so se sarà un caso, anzi, non lo è di certo, ma anche qua, come in Nymphomaniac, vengono riportate le parole del fulminante incipit de Il Crollo della cada degli Usher di Poe.Lo stesso identico estratto.
"DURANTE un giorno triste, cupo, senza suono, verso il finire dell'anno, un giorno in cui le nubi pendevano opprimentemente basse nei cieli, io avevo attraversato solo, a cavallo, un tratto di regione singolarmente desolato, finché ero venuto a trovarmi, mentre già si addensavano le ombre della sera, in prossimità della malinconica Casa degli Usher. Non so come fu, ma al primo sguardo ch'io diedi all'edificio, un senso intollerabile di abbattimento invase il mio spirito. Dico intollerabile poiché questo mio stato d'animo non era alleviato per nulla da quel sentimento che per essere poetico è semipiacevole, grazie al quale la mente accoglie di solito anche le più tetre immagini naturali dello sconsolato o del terribile."
Perchè quando si parla di disagio, quando si analizza il nero, quando servono metafore le più belle possibili per descrivere la malinconia, la resa, la distruzione e la morte non c'è niente di meglio che usare le parole di quello che, forse, ha saputo meglio farlo.

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