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#RetroHalloween: NIRVANA, quell’Halloween del ’91 a Seattle

Creato il 31 ottobre 2014 da Retrò Online Magazine @retr_online

31/10/1991, Seattle, Stato di Washington. E’ passato poco più di un mese da quando tre ragazzi di una band del posto hanno pubblicato il loro secondo album. Il disco in questione si intitola Nevermind, la band risponde al nome di Nirvana. Dave Grohl, Krist Novoselic e Kurt Cobain non sanno che quel disco, Prodotto in funzione di un obiettivo dichiarato della casa discografica Geffen (raggiungere le 250.000 copie vendute, per poter eguagliare Goo, l’album dei Sonic Youth pubblicato l’anno precedente), diventerà il disco unanimemente considerato l’apice della produzione artistica di tutto il genere grunge, annoverato tra i migliori album discografici di ogni epoca, che ebbe tra i suoi meriti quello di aumentare la popolarità dell’alternative rock.

E’ Halloween, Nevermind sta per scalzare via Dangerous di Michael Jackson dalla vetta delle classifiche, e quei tre ragazzi stanno per suonare al Paramount Theatre. Non lontani da casa, per ora. Tutto ciò si può riassumere come l’inizio dell’epidemia grunge. Dovranno passare anni prima che i Nirvana e soprattutto Kurt, voce e chitarra, inizino quasi ad odiare l’idea di esibirsi in situazioni simili, ma per adesso, sono giovani, stanno per girare il mondo, e sono dunque carichi di adrenalina.

Gli spettatori sono tutti all’interno, dopo aver creato un ingorgo stradale durato diverse ore, nell’attesa. Un orologio segna le 22.33, Cobain esclama “Happy Halloween” al microfono, sparge ricchi crediti agli autori del primo brano, si soffia via i capelli dalla faccia e poi comincia. Il brano di apertura è “Jesus don’t want me for a sunbeam”, inno cattolico rivisitato dai Vaselines. Ed è proprio così che loro la suonano, con l’aggiunta di un distorsore, un basso elettrico e una batteria. Allegria cristiana e punk rock, funziona alla grande. Kurt muove la gamba tipo Elvis e tutti assieme percuotono il loro rispettivo strumento. Subito l’aria si fa più pesante con “Aneurysm”. Ecco quello per cui tutti sono venuti. Ci si dimena senza inibizioni, sul palco soprattutto. Cobain accenna a cadere ma non lo fa ancora, un esecuzione sanguigna e sorprendentemente precisa. Si prosegue con “Drain You”, una delle preferite della band, nonché del sottoscritto. Scanzonati come neanche i Beatles di Love Me Do, tant’è che già da questo punto compare una ragazza con un caschetto biondo alla Ramones che balla di continuo. E’ il tripudio del pop se non fosse per lo spasmodico intermezzo in cui tutto si tinge di rosso, per poi tornare nuovamente a ballare il rock ‘n’ roll.

Si ritorna nella muffa degli spogliatoi con “School”. Le ragazze col caschetto sono diventate due, e danzano disinvolte mentre Kurt urla “no recess” con tutta la voce che ha in corpo. Tutto piuttosto surreale, tranne l’esecuzione. Quella è reale, e decisamente dura al tatto. Cala per un attimo il silenzio, rotto da Novoselic che si diverte a raccontare storie senza senso al pubblico. La giostra torna poi a girare con “Floyd The Barber”, canzone dalla struttura grottesca che in qualche modo riserva un piccolo tesoro in un ritornello assurdo per quanto orecchiabile. Peccato che Kurt abbia impostato il canto in un registro a caso, rivelatosi non quello giusto, ma quasi.

Cala il buio, poi si riattacca con una specie di funk da bianchi, che a quanto pare non piace a Novoselic, ma tutti si ricredono quando Cobain attaccca con “Smells Like Teen Spirit”. Inutile dire che tutti saltano, sul palco invece una professionalità non da poco. Le mani si muovono da sole praticamente a memoria, il metronomo batte leggermente più veloce, il testo è storpiato come sempre, il risultato però è soddisfacente. La voce esce come si deve, ce n’è ancora parecchia. Sul feedback finale l’inquadratura osa su un’espressione agguerrita e soddisfatta di Krist Novoselic. Davvero emblematica.

Il tiro diminuisce drasticamente con “About a Girl”. Ne risente infatti l’armonia dei tre, ma solo all’inizio. In men che non si dice tutto si raddrizza è si sente, nemmeno finita la canzone il pubblico acclama a gran voce. Azzardano un po’ troppo però con “Polly”, tant’è che prima di eseguirla Dave Grohl chiede conferma a Kurt, che sembra non avere ripensamenti. L’esecuzione è più che buona, ma agli spettatori non interessa, purtroppo. La canzone scorre via e tutti urlano, non si sa perché.

Finora ho parlato poco di Dave Grohl, ma di certo non per demerito. Tutto il fascino del suo stadio primordiale di batterista magrissimo e impetuoso potrebbe benissimo racchiuso tutto nel brano che segue.

E’ il momento di “Breed”, intro a luce bassissima a precedere un’esplosione di punk rock. Dave Grohl spicca per il suo caratteristico sputo dell’acqua ed un buffo cappellino che cade prima ancora che cominci la prima strofa. Anche qua vale la regola “testa bassa e picchia forte”. La sostanza la conoscete, un ritmo a suo modo ballabile, ricompaiono infatti le due ragazze che volteggiano attorno a Krist, che a sua volta balla, a piedi nudi. Sono botte da orbi, Cobain canta con gigantesca enfasi, per poi buttarsi a terra in uno dei suoi caratteristici assoli/attacchi di convulsioni, il tutto condito con una linea di batteria la cui precisione e violenza ha dell’incredibile. Il pubblico ringrazia, Dave e Krist ricambiano. Si prosegue con “Sliver”, si continua a ballare, stavolta su un pezzo pop in tutto e per tutto. Il cappellino di Dave resta su stavolta, per qualche minuto ci si diverte a fare gli sciocchi su una canzone sciocca ma senza dubbio adorabile. Una prova tangibile della formula Cobain: Suonare come i Beatles coi suoni dei Melvins. Ad un tratto tutto si tinge di oriente con “Love Buzz”, l’attitudine è la stessa che si vede sulla copertina di Bleach. Anche qui si balla che è un piacere su quelle tre o quattro note dal sapore arabesco, un intermezzo in cui Kurt si inginocchia e pizzica la chitarra quasi a volerle dare fastidio, e poi tutto si riaccende per il gran finale. Sembrerà un’idiozia, ma saper scimmiottare e giocare con la musica a volte funziona davvero bene.

Tocca a “Lithium”, altro inno memorabile di Nevermind. Ho sempre adorato questo pezzo, frutto di una casuale bella giornata di Kurt. Il fattore X di questo brano, ossia il metronomo (vedi Sound City, film/documentario di Dave Grohl) viene a mancare dal vivo, e un po’ si sente. L’esecuzione resta ottima, si continua a ballare (sembra assurdo ma è così), mentre Cobain fa quello che può nel ritornello, cambiando mille registri vocali senza trovare quello giusto. Pazienza, è così che va nel punk rock.

Si riattacca con “Been A Son”, brano non tra i più gettonati, ma sicuramente efficace dal vivo, merito anche della seconda voce sempre presente. Un’altra medaglia al petto nudo di Grohl, che si distingue per un drumming intenso ed un’ottima prova canora. La band prosegue facendo un tuffo nel passato con “Negative Creep”, piccola piega noise che nessuno sembra patire, anzi. Nonostante il pezzo sia brutale a dir poco, si balla come se niente fosse. Ormai è consuetudine. A confermarlo ci pensa “On a Plain”, ballad apatica e smorfiosa, anche questa molto efficace per quanto riguarda l’esecuzione live. Molto suggestive le inquadrature sulla platea, su cui aleggia l’ombra di Dave Grohl e dei suoi lunghi capelli, mentre si dimena dietro alla batteria.

Siamo agli sgoccioli, lo dimostra un “goodnight” poco convincente, pronunciato prima dell’intro di “Blew”. Gran pezzo, da sempre tra i miei favoriti per la sua atmosfera ossidata e velenosa. L’esecuzione è degna, c’è ancora trasporto da parte di tutti, nonostante siano già stati eseguiti ben quindici brani prima di quello. Sul finale le chitarre iniziano a volare per aria ma con un certo criterio, il che lascia presagire un imminente ritorno prima della distruzione totale.

La band infatti torna su quasi subito, ringrazia il pubblico e presenta un brano all’epoca ancora inedito. Dopo una dedica agli zoticoni (hairy sweaty macho redneck men) “minoranza” da sempre poco tollerata da Cobain, si attacca con “Rape Me”. Si sente chiaramente che la canzone è ancora in fase di sviluppo, la versione risulta infatti più lenta e strutturalmente differente rispetto alla versione che finirà su In Utero (1993). Piccolo siparietto/test di poco successo, ma è così che si capisce se un pezzo è buono oppure no.

Il gran finale non tarda ad arrivare. Sui feedback di “Rape Me” tutto è già pronto per “Territorial Pissing”. Il disastro è imminente, e dopo una lezione di puro hardcore punk, si sfocia nei rumori assordanti di quella che viene definita “Halloween Secret Song” per l’occasione, ma il cui titolo pare sia “Endless/Nameless”. A questo punto per molti sarebbe il momento di girare i tacchi ed andarsene, ma a loro non importa. Stranissimo brano senza dubbio, che a quanto pare, nella sua eccentricità preserva una struttura più o meno definita, fatta di noise puro alternato ad un motivetto soft e malinconico, per poi sfociare nella distruzione più totale. Così, dopo aver giocato ai samurai/tennisti con le chitarre ed averle trascinate come dei cani al guinzaglio, Cobain lancia la sua Stratocaster in aria, che si spezza emettendo un suono tipo ossa rotte appena tocca terra. Grohl è l’ultimo a lasciare la sua postazione, un attimo dopo non resta che un enorme parete color cremisi, e il silenzio, rotto dalle urla dei fan estasiati.

E’ curioso come questa data e questo concerto coincidano non solo con una ricorrrenza, ma anche con la mia stagionale inclinazione verso ascolti più introspettivi, tra cui moltissimo grunge. Da questa visione, che consiglio vivamente a chiunque, si può ben delineare il potere che i Nirvana avevano sul palco, grande tanto da permettere loro una totale egemonia su quello che può o non può accadere. Questa fu solo una delle prime di una serie infinita di esibizioni, che vedranno i Nirvana impegnati in un’attività live che durerà ben 15 mesi, una prova estenuante che sfocerà in quelle che sono le sensazioni ed i sentimenti racchiusi nell’album In Utero, tematica interessante, ma che per il momento, è meglio tralasciare. Happy Halloween.

Photo credit: riptheskull / Foter / CC BY-ND

Photo credit: riptheskull / Foter / CC BY-ND


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