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Creato il 07 gennaio 2016 da Filmedvd

Due sguardi s'incrociano, tra la folla. Campo e controcampo. Di nuovo. L'intensità cresce, fino a quando i due volti non sono vicini, l'uno di fronte all'altro. Il primo incontro fra la matura Carol Aird (Cate Blanchett), donna ricca con un matrimonio al capolinea, e la giovane Therese Belivet (Rooney Mara), commessa ai grandi magazzini di New York, è solo il primo scambio, carico di sensualità e fascino ipnotico, all'interno del meraviglioso melodramma di Todd Haynes, Carol, da questa settimana in programmazione nelle sale italiane.

A quattro anni di distanza dalla sua ultima opera, la miniserie targata HBO Mildred Pierce, Todd Haynes torna sul grande schermo con il suo cinema diseguale ma affascinante, stratificato nel contenuto e impeccabile nella forma, che da molti anni riesce a incidere nell'animo dello spettatore e degli addetti ai lavori. L'uscita in sala di Carol, dunque, offre anche l'occasione per ripercorrere la filmografia di uno dei più significativi autori indipendenti del cinema a stelle e strisce.

POISON (1991)

Nato in California nel 1961 e laureato in semiotica, il giovane cineasta trentenne Todd Haynes nel 1991 firma il suo esordio alla regia. Parzialmente ispirata ai romanzi di Jean Genet, Poison è tuttora considerata una pellicola iconica per la cultura omosessuale e queer. Diviso in tre segmenti, il film rappresenta un esperimento freddo e iperbolico del regista, asservito alla propria poetica e fin troppo testardo nel controllo formale della storia, a partire da una scrittura eccessivamente corposa. In Hero viene mostrata l'inchiesta che riguarda un ragazzino scomparso dopo aver ucciso il padre. Il cuore del film, Horror, probabilmente è anche il frammento più convincente, un fiero omaggio al cinema dell'orrore degli anni '50; Haynes propone anche un accostamento al tema dell'AIDS attraverso la storia di un folle scienziato che, per mantenere a distanza il germe della devianza sessuale, beve un siero e si trasforma in un mostro portatore di un'epidemia mortale. Il terzo episodio, Homo, è il più esplicito riferimento all'omosessualità, qua in versione cruda e permeata da un contesto duro come un carcere degli anni '40. Seppur non privo di difetti ma convincente per buona parte della critica, che l'ha premiato ai Festival di Sundance, Locarno e Berlino, Poison è un'opera importante per comprendere la profonda poetica di Haynes, che si svilupperà poi con maggior raziocinio nei film successivi.

SAFE (1995)

Molto più complessa e affascinante, la seconda pellicola di Todd Haynes affronta con grande incisività lo status socio-economico dell'hinterland statunitense, mostrandolo con un pessimismo latente che sottolinea quanto la condizione di agio nella quale viviamo non ci renda immuni dall'infelicità e dall'insoddisfazione. Premiato al Sundance Film Festival e selezionato nella Quinzaine des Réalisateurs a Cannes, Safe racconta la storia di Carol, classica casalinga americana felicemente assuefatta al loop del capitalismo occidentale, che un giorno inizia ad avvertire forti mal di testa, con problemi respiratori inspiegabili che le impediranno di assimilare alimenti di prima necessità. Seppur non del tutto compiuto, in Safe lo stile stratificato e postmoderno del regista di Encino si fa ancora più maturo e apre la strada a un cinema sempre più consapevole e capace d'insinuarsi nelle varie epoche rappresentate, senza mai indulgere in ritriti cliché.

VELVET GOLDMINE (1998)

La massima espressione glam del suo cinema Haynes la raggiunge nel 1998 con Velvet Goldmine. Ambientato nella New York di metà anni '80, il film racconta l'indagine del giornalista Arthur Stuart (Christian Bale) sulla scomparsa del cantante inglese Brian Slade (Jonathan Rhys Meyers), chiaramente ispirato al look di David Bowie nel periodo di Ziggy Stardust e primo affresco di Haynes su un'icona della musica. Tra fierezza omosessuale e costumi sgargianti, Velvet Goldmine, pur incostante nel suo sviluppo narrativo, colpisce per la splendida caratterizzazione dei personaggi, con un cast in grande spolvero: dal convincente Ewan McGregor simil Iggy Pop all'impressionante aderenza di Jonathan Rhys Meyers, in una delle sue migliori interpretazioni di sempre. Strepitoso il comparto musicale, in particolare con le canzoni di Lou Reed, Roxy Music, Brian Eno, vera e propria colonna portante di un film eccessivo ma dal sorprendente fascino barocco e manifesto emblematico di un decennio - gli anni '70 - sfarzoso e ambiguo.

LONTANO DAL PARADISO (2002)

Dalle fluorescenti scenografie degli anni '70 alle sgargianti ambientazioni degli anni '50. Julianne Moore (affermatasi sul grande schermo grazie al precedente Safe) e Dennis Quaid interpretano i coniugi Frank e Cathy Whitaker, coppia del Connecticut all'apparenza perfetta. Frank tuttavia mostra degli impulsi omosessuali che indirizzeranno il matrimonio con Cathy verso un'inevitabile crisi e porteranno alla luce il crudele perbenismo di una società ingessata e spietata. Raffinatissimo nella forma, Lontano dal paradiso è un intenso melodramma degno del cinema di Douglas Sirk che non si limita alla cura della confezione ma, come spesso accade nel cinema di Todd Haynes, scava nelle profondità di un'America ipocrita e puritana, supportato da un cast perfetto. Julianne Moore conquista la Coppa Volpi alla Mostra di Venezia ritraendo una donna sensibile e dall'animo riformista, mentre Dennis Quaid raggiunge i vertici della propria carriera con un ruolo dolente e tormentato.

IO NON SONO QUI (2007)

La decostruzione di un mito: Todd Haynes firma il suo assoluto capolavoro con questo biopic anomalo liberamente ispirato alla vita di Bob Dylan, frammentata e sviscerata attraverso sei differenti visioni. Ispirandosi a Palindromi di Todd Solondz, il regista ha la geniale intuizione di far interpretare ognuno di questi lati diversi del celebre cantautore folk a sei diversi attori. Ben Whishaw è Arthur, poeta visionario, Cate Blanchett è Jude, simbolo della svolta elettrica, Heath Ledger è Robbie, star del cinema, Christian Bale è Jack / Pastore John, predicatore evangelico, e Richard Gere è Billy, cowboy solitario. Spiazzante nella sua mancanza di una continuità narrativa, Io non sono qui restituisce allo spettatore un film biografico che sfugge la canonicità e perfino l'accurata ricostruzione storica della vita di Dylan, concentrandosi sulla vera essenza di uno dei più grandi artisti del ventesimo secolo. Grazie ad un lirismo ipnotico e ad una leggera ironia che percorrono l'intera narrazione, con questa struggente e convincente apologia dell'amore verso la musica Todd Haynes raggiunge l'apice del suo cinema: una stupefacente commistione tra lo stile, rigoroso e impeccabile, e lo spessore drammaturgico, stratificato e ammaliante.

MILDRED PIERCE (2011)

Kate Winslet è la protagonista di questa miniserie Tv divisa in cinque parti della HBO, nei panni di una donna in difficoltà nel periodo della Grande Depressione, alle prese con il divorzio e la sopravvivenza sua e delle figlie. L'incredibile scalata di Mildred Pierce, da semplice cameriera a proprietaria di ristoranti, e l'allontanamento dalla figlia Veda (Evan Rachel Wood): Haynes lavora su un campo a lui congeniale, il melodramma stilisticamente impeccabile e minuziosamente controllato, nel quale inserisce l'accusa verso uno spaccato sociale statunitense ipocrita e falso e plasma un altro personaggio femminile forte e determinato, permeato da quella vena trasgressiva che affascina Haynes quanto lo spettatore. Nonostante qua e là non manchino dei vuoti nella trama, la confezione e l'intensa prova degli attori, fra cui spicca una magistrale Kate Winslet, mantengono alto il livello complessivo di una miniserie che racchiude l'anima di un cinema innovativo, ellittico, audace e ineccepibile. Il cinema di Todd Haynes.

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