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1 Maggio. Dobbiamo festeggiare?

Da Marypinagiuliaalessiafabiana

Oggi è morto un operaio di 46 anni, gli è crollato addosso il solaio di una palazzina. Sul posto di lavoro nessuna misura di sicurezza. Non sappiamo il suo nome. Era romeno. Potremmo chiamarlo il romeno di 46 anni.

Oppure potremmo non parlarne proprio, perché oggi è il 1 Maggio, è festa. Allora buon 1 Maggio a tutt*!

Sapete di cos’altro non dovremmo parlare oggi? Dei supermercati, dei centri commerciali, dei negozi in centro, aperti.
Primo Maggio anestetizzato dallo shopping.

Non bastava il concertone.

Il concertone classico, quello di Piazza San Giovanni a Roma, dove si spendono tante parole buoniste al limite del qualunquismo sul diritto al lavoro, il diritto alla casa, il diritto ai diritti. E quando il cantante di turno finisce il suo monologo confezionato, la folla oceanica applaude.
Se quella folla scendesse in piazza anche per rivendicarli, quei diritti, invece che solo per un concerto, se quella folla si attivasse nella società civile, se quella folla iniziasse a pensare che ci si può riprendere tutto.
Quanti di quelli che applaudono stanno davvero lottando per un futuro di diritti?Quanti di quei cantanti che predicano dal pulpito ai concerti, sanno davvero di cosa parlano?
Primo maggio anestetizzato dai predicatori da concerto.

Concertone che quest’anno hanno deciso di spostare a Taranto, città simbolo del disastro industriale e capitalistico. E cos’è questo concerto se non l’ennesimo contentino ad una città che è stata privata della dignità, della salute  e della sicurezza ai lavoratori che al mattino entrano nello stabilimento e non si sa se ne usciranno vivi. Perché di Ilva – o di qualsiasi altra fabbrica-  si muore in un modo o nell’altro, di inquinamento o di mancata sicurezza o peggio di precarietà e cassa integrazione.

lavoro-anarkikka

Un concerto che non è altro che una sfilata di belle parole e retorica, di “artisti” fuori moda che per un po’ di notorietà e di pacche sulle spalle pensano di farsi spazio trattando un argomento così grande e doloroso come quello dell’Ilva- luogo dove lo sfruttamento e il mobbing regnano sovrani- che non sarà di certo un concerto tra una cantata e una pizzica a poter affrontare nel modo giusto.

Perché quello che manca è la consapevolezza. Consapevolezza alle fasce più deboli, agli operai e alle operaie che troppo spesso preferiscono farsi la lotta tra loro piuttosto che affrontare la questione prendendosela con chi si è arrichito sul loro sangue e sul loro sudore.
Primo maggio anestitizzato dai fumi dell’Ilva.

Forse oggi nella giornata della festa del lavoro non bisognerebbe dire che stiamo tornando ad essere schiavi e schiave. Di un lavoro precario, di un lavoro che non c’è, di un lavoro che uccide.
E forse non dovremmo parlare nemmeno del fatto che tante donne oggi sono a lavoro. Ai fornelli per il pranzo, a preparare i figli per la gita fuori porta, al capezzale del genitore malato. I cosiddetti lavori di cura, quelli che fanno lavorare le donne il doppio, il triplo. Anche oggi.
Dovremmo festeggiare il Primo Maggio. Ma non c’è molto da festeggiare.

operaia


In nero, sottopagato, sfruttato, atipico questo è il lavoro che non voglio festeggiare.

“Richiesta bella presenza”, “ Età massima 29 anni” , “Ha figli, ha intenzione di farne?”
Alle donne il cosiddetto mercato del lavoro richiede di essere belle, sempre giovani, di scegliere tra carriera e famiglia, o al massimo di sfoderare quella capacità multitasking, che la donna sembra avere in dotazione dalla nascita, e mirabilmente conciliare tutto. Mirabilmente sostenere l’intero welfare di un intero paese.

Paese che ha fatto del lavoro di cura delle donne l’unica forma di ammortizzatore sociale.

Il fatto è che oggi dovrebbe essere un giorno di lotta, non di festa, ma ci hanno aperto i centri commerciali, ci organizzano il concertone in Piazza San Giovanni, è pure una bella giornata, lasciamo che ai diritti ci pensi il nuovo governo.
Quello che ha unito lo sport con le pari opportunità. Chissà che non faccia qualcosa per il lavoro.

Se sei donna, se sei donna “non più giovane” e magari nemmeno di “bella presenza”, se sei un/ una trans, se sei immigrat* lavorare per te diventa ancora più difficile, per te che sei ricattabile.
Forse iniziare da un reddito minimo garantito, per tutti e tutte, forse potrebbe essere questo  il modo per cominciare ad allentare le catene della ricattabilità. Forse la lotta per i diritti dei lavoratori  e delle lavoratrici dovrebbe assumere dimensione globale, perché si muore in Italia e si muore in Bangladesh.

Vittime senza nome, di un lavoro che non è più lavoro, ma schiavitù.

Buon 1 maggio a tutt*



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