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10 domande a… Odoardo Fioravanti

Creato il 30 marzo 2011 da Brunabiagioni

Torna l’appuntamento con le interviste
“10 domande a…”. Ed è con molto piacere
che in vista del Salone del Mobile ospitiamo Odoardo Fioravanti.
Chiude l’intervista una ”ricetta” personale
del designer, in esclusiva per i lettori
di desperate_design.

10 domande a… Odoardo Fioravanti1.Com’è stato il tuo approccio iniziale al design? E come ti definisci?
Ho sempre costruito oggetti fin da bambino anche in modo molto naif, ma quando mi serviva qualcosa piuttosto che comprarla la accoccavo in qualche modo. La mia fortuna è stata (pur attraverso un percorso tortuoso) di essere arrivato a  far diventare la mia passione un lavoro. Insomma sono rimasto senza hobby… Sono soprattutto un designer industriale. Per me entrare in un’industria e vedere le macchine fare scintille e muoversi in una sorta di balletto meccanico, producendo grandi numeri di pezzi è un’emozione a cui è impossibile rinunciare. E poi mi piace pensare, nel senso che penso molto a “sto design”. Cerco di costruire una struttura e una poetica complessa ma non esplicita, di cui i miei oggetti sono un indizio. In qualche modo i miei progetti sussurrano le mie idee a chi ha voglia di stare ad ascoltare. Ma mi piace che per tutti gli altri siano semplicemente cose semplici da usare o da abbracciare.

2.Raccontati in 3 oggetti – non necessariamente progettati da te
Lo spremiagrumi MPZ 22 della Braun, masterpiece assoluto, disegnato da Dieter Rams, ancora in produzione dal 1972 il che lo fa uno degli elettrodomestici più longevi della storia. Racconta la mia idea di designer come progettista che crea oggetti che possano essere compagni di vita, facendoli belli di una bellezza discreta, che dura. Beauty is the message.

10 domande a… Odoardo Fioravanti
Il mio telescopio di Galileo, che racconta l’attenzione che metto nella progettazione dei dettagli degli oggetti. La ricerca di forme che non siano temporanee, ma possano rimanere attuali anche dopo anni. Un oggetto pieno di significati che è il risultato di un grande sforzo compositivo.

La Washing Bowl di Ole Jensen per Normann Copenhagen. Ole è un maestro della semplicità, della bellezza, della facilità degli oggetti. Disegna prodotti chiari a tutti e che non necessitano di un racconto o di significati appiccicati. Mi interessa questa sua poetica e che possiamo chiamare autoevidenza degli oggetti.

10 domande a… Odoardo Fioravanti
3.Definisci “design”: es.un approccio più intelligente alle cose? forma e funzione? estetica di livello?
Questa è una di quelle domande a cui non mi piace rispondere. E questa è già una risposta, isn’t it?

10 domande a… Odoardo Fioravanti
4.Il grande “maestro” che ha influenzato la tua opera – modelli a cui ispirarsi
Ettore Sottsass jr, una specie di sciamano che è stato capace di disegnare qualsiasi cosa mettendoci dentro una magia iridescente. Richard Sapper per l’approccio semplice e razionale alla materia progettuale e alla bellezza. Dieter Rams per la severa bellezza dei suoi pezzi, praticamente eterni.

10 domande a… Odoardo Fioravanti
5.Come reinventare nuovamente forme e archetipi molto radicati (es. la sedia- la caffettiera) ?
Non so come, lo faccio abbastanza istintivamente. Inizio a pensare a quell’archetipo, a quello che rappresenta per me, a come lo vorrei, a cosa vorrei che le persone pensassero guardandolo o afferrandolo o sfiorandolo. Poi lavoro per via di togliere. Faccio, poi rifaccio, poi rifaccio ancora. Penso che il rifare sia un gesto fortemente legato al pensiero, mentre il fare sia qualcosa di più istintivo e animalesco. Poi mi giro tra le mani il progetto finché non riesco a fargli perdere i difetti, come succede ai sassi di fiume o alle saponette…

10 domande a… Odoardo Fioravanti
6.Il tuo approccio al progetto: forme, materiali, colori, tecnologie che prediligi.
Form does matter.

10 domande a… Odoardo Fioravanti
7.Design ecosostenibile: un’utopia? Qual’è il percorso da seguire?
Ho un pensiero molto estremo su questi temi e so che può essere poco condivisibile. I designer che rispettano la sostenibilità secondo me sembrano destinati a tribolare e a rimanere dei fari nella notte. Le imprese e le normative che regolamentano la produzione sono molto più potenti del pensiero dei designer. Facciamo un esempio: per anni tutti i designer hanno cercato di utilizzare fonti di luce a risparmio energetico disegnando prodotti di questo tipo, ma questo atteggiamento non è mai diventato mainstream a livello di mercato. Di recente, invece, è bastata una legge della Unione Europea che ha vietato le lampadine a incandescenza e il sogno di tanti designer è diventato realtà. Penso che i designer possano al limite cercare di non farla troppo sporca, di fare tutto quello che è nelle loro possibilità per ridurre l’impatto del loro lavoro, ma comunque si tratta di marginalità. La grossa parte dei danni la fanno l’impostazione del sistema industriale, della distribuzione e del consumo. Noi potremo indicare lune bellissime nel cielo delle idee, ma nel mondo della produzione la maggior parte delle persone continuerà a guardare il dito.

Ci sono quattro profili di designer che si rapportano alla sostenibilità:

1) i fondamentalisti: quelli duri e puri, che pur di non scendere a patti accettano di rimanere ai margini del sistema produttivo, mostrando progetti esemplari che restano spesso inascoltati;

2) gli impreparati: quelli che in buona fede pensano e dicono che il loro lavoro sia sostenibile ma non sanno bene cosa sia la sostenibilità;

3) gli onesti: che provano a farla meno sporca possibile scendendo a patti con l’industria ma tirando a piccoli passi verso la sostenibilità;

4) i green washer: quelli in cattiva fede che parlano di sostenibilità perché si tratta di temi caldi estremamente efficaci a livello comunicativo.

10 domande a… Odoardo Fioravanti
8.Tutela del made in Italy o produzione globalizzata? Pro e contro
Non credo si possa tutelare niente nel design. Credo stia sfumando anche il concetto di proprietà intellettuale, che si stia sfocando su uno sfondo in cui la miriade di produttori atomizzano il concetto stesso di idea spalmandolo su aree ampissime di merceologia. Non credo che tutelare un mercato o una idea sia più possibile, né interessante. Non mi convince appieno neanche il senso della produzione delocalizzata che mi sembra che vada evidentemente ad approfittare di condizioni sociali in paesi in cui i lavoratori non hanno praticamente diritti. E mi sembra che queste condizioni favorevoli siano temporanee, legate a culture che ancora non hanno avuto una rivoluzione culturale che abbia portato alla ribalta i diritti umani fondamentali. La risposta onesta è che non lo so e credo nessuno abbia ancora la ricetta.
A me piace pensare a cosa succederà al lavoro dei designer quando non guadagneranno più dalle royalties, dal “possesso” delle loro idee. Forse come nella musica (dove la vendita dei dischi non è più la fonte di cespiti principale per il musicista) dovranno mettersi a fare prestazioni dal vivo. Live design, come ho provato a fare nella mia recente mostra al Triennale Design Museum.

10 domande a… Odoardo Fioravanti
9.Il progetto dei sogni non ancora realizzato
Disegnare un’escavatore cingolato, una di quelle ruspe con un grande braccio. Il mio sogno è di poterne disegnare una e poi guidarla. Magari per la Caterpillar che è la Ferrari dei mezzi d’opera…

10 domande a… Odoardo Fioravanti
10. Ricordando gli insegnamenti di Munari (anche il cibo è design) – una tua ricetta/progetto
Ve la racconto, ma non è una mia idea. Credo arrivi da un ragazzo coreano di nome Joon. Mettete dei wafer in freezer con tutta la scatola e lasciateli lì a surgelare. Solo gli strati della farcitura diventeranno duri. Poi apritela e provate a mangiarli surgelati. Garantisco sul risultato.

10 domande a… Odoardo Fioravanti

www.fioravanti.eu

 



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