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14. Genova Film Festival

Creato il 06 luglio 2011 da Taxi Drivers @TaxiDriversRoma

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La barchetta fatta di pellicola, che caratterizza il logo del Genova Film Festival, è ancora saldamente ancorata nel Porto Antico e continua a imbarcare passeggeri: Enrico Ghezzi, Giancarlo Bocchi e Davide Ferrario sono solo alcuni degli animatori di un’intensa tavola rotonda che, nel decimo anniversario del famigerato G8 genovese, ha fatto il punto sul cambiamento dei movimenti di massa nazionali, che oggi possono contare sulla preziosa complicità della tecnologia digitale e sulla ripresa in diretta degli avvenimenti.

Nella giornata conclusiva del festival è atteso l’incontro con Pupi Avati, il cui nonno da bambino emigrò verso l’America partendo proprio da questo porto ligure. Del regista bolognese è stato possibile rivedere alcune delle pellicole più introvabili e significative, come Le strelle nel fosso (1978), Storia di ragazzi e ragazze (1989) e Dichiarazioni d’amore (1994), oltre all’intensa storia sentimentale che illumina Una sconfinata giovinezza (2010).

Altro graditissimo ospite della manifestazione è stato Claudio G. Fava, che con la sua consueta simpatia e lucidità intellettuale ha introdotto la visione di una pellicola più unica che rara, visto che la Cineteca nazionale ha prestato la sola copia in suo possesso: Fantasmi a Roma (1961).

La sezione “Oltre il confine”, che nella prima parte del festival aveva acceso i riflettori su alcuni gioielli della cinematografia ecuadoriana, ora ha introdotto il pubblico alla scoperta del giovane cinema kosovaro.

Nonostante i pochissimi mezzi a disposizione, i registi kosovari riescono a raccontare una patria devastata dai genocidi, portando sullo schermo esistenze così indelebilmente segnate da diventare solitudini borderline. Particolarmente significativi, in questo senso, il cortometraggio Muri (2010) di Gazmend Nela e l’opera In memoriam (2010) di Ilirjan Himaj, impreziosita da un’ottima fotografia e da suggestive ambientazioni naturali.

Ancora condizioni di vita estreme nei cortometraggi di Burim Haliti, intervenuto al festival per presentare Intervista (2008) e Ferraglia (2007), dove i personaggi si ingegnano come possono per supplire alla mancanza dell’essenziale: ecco il sindaco del villaggio costretto a salire sui tralicci per potersi collegare telefonicamente alla stampa estera o il rigattiere che si appropria indiscriminatamente di ogni oggetto metallico sul quale gli cade l’occhio.

Completano l’interessante panoramica sulla guerra in   Kosovo tre lavori italiani: il cortometraggio Io sono qui (2010) di Mario Piredda e i pregevoli documentari Fuga dal Kosovo (1999) e Kosovo, nascita e morte di una nazione (1998-2006), firmati da Giancarlo Bocchi.

Con notevole coraggio e senza mai fermarsi di fronte agli ostacoli, Bocchi indaga le vere ragioni dei genocidi, riuscendo anche a riprendere l’intera odissea di una famiglia perseguitata e costretta ad affidarsi agli scafisti. Il grande documentarista spiega lo spirito che ha animato il suo difficile lavoro con queste parole: “Durante il conflitto non sono mai stato né per i serbi né per i kosovari. Mi sono schierato dalla parte della gente di ogni etnia che combatteva per la libertà, la giustizia sociale e la democrazia”.

Lucilla Colonna


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