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“2001: Odissea nello spazio”: linguaggi mischiati al Multisala Showville di Bari

Creato il 07 marzo 2014 da Temperamente

2001 OdisseaSala 2 dello Showville di Bari: musica, cinema e letteratura si intrecciano per ricordare Stanley Kubrick, a quindici anni dalla sua scomparsa. L’iniziativa  “Un altro ’68. 2001 Odissea nello spazio” - svoltasi giovedì 6 marzo – è stata promossa da Michele Bisceglie, Oscar Iarussi e Alessandro Laterza in collaborazione con Veluvre – Visioni Culturali e Libreria Laterza.

Roberto Ottaviano, noto sassofonista barese, ha aperto la serata con la performance musicale “Full Music Jacket ‘68”.  Nel buio della sala – prima tra il pubblico e poi sotto le luci di un solo riflettore – ha eseguito brani noti (come “Black dog” dei Led Zeppelin e “Voodoo child” del gruppo The Jimi Hendrix Experience) e composizioni originali. 

Ottaviano-Iarussi

Oscar Iarussi – critico cinematografico della Gazzetta del Mezzogiorno – ha poi ripercorso insieme a Gianrico Carofiglio, conosciuto scrittore della terra di Bari, la storia del cult “2001: Odissea nello spazio”, per individuare la correlazione tra l’utopia sessantottina e la pellicola di Kubrick. Un’occasione per fare il punto delle suggestioni che restano di quel periodo storico.
Lo scrittore, che si è pubblicamente dichiarato non esperto sul tema, ha provato comunque ad avventurarsi in questa chiacchierata storico-cinefila, chiamando in causa anche “L’albero della vita” del regista statunitense Terrence Malick. L’utopia in Kubrick si traduce in un mondo che è immagine di altro. Detto in altre parole: qualcosa che non ha un’interpretazione univoca.

Carofiglio-Iarussi
Difatti, proprio Kubrick, in un’intervista a Playboy, si rifiutò di spiegare il film, altrimenti lo stesso Leonardo Da Vinci avrebbe dovuto esplicitare il motivo del sorriso della Gioconda.
“2001: Odissea nello spazio” è piuttosto un film da capire in termini di emozioni.
E così, dopo aver accennato all’atmosfera culturale sessantottina (fervida in America, quanto a linguaggi artistici, più rigida – e politica, se vogliamo – in Italia) e aver introdotto uno dei  pilastri della storia del cinema, nuova oscurità avvolge gli spettatori.

Due ore e diciannove minuti di proiezione in pellicola (coi puntini neri meravigliosi che l’HD ha meticolosamente eliminato per regalare una visione nitida e definita). Un silenzio reverenziale nella sala, riempita da appassionati di cinema, soggetti pseudo intellettuali, adulti che forse volevano rivivere gli anni dell’adolescenza o gioventù.

Non vi racconterò la trama, sarebbe banale. Vi dirò piuttosto quello che per me ha rappresentato “2001: Odissea nello spazio”.
Un viaggio nell’immensità dello spazio e nell’angoscia di quel rapporto così controverso (nel ‘68 e oggi più che mai) tra intelligenza umana e artificiale.
Un tamburo che suonava forte e grave dentro l’anima.
Una danza leggera e quasi spensierata nell’incompleta conoscibilità dell’universo.
Un’invasione di colori ed effetti cromatici, con risvolti emozionali indicibili.
Un grande punto interrogativo, disegnato da quella insopprimibile spinta a capire che è propria di una mente critica.

 Ma, caro Kubrick, riconosco che hai vinto e ammetto il tuo genio. Non si arriverà mai all’interpretazione esatta del tuo film. E il bello è proprio questo: se ne parlerà ancora e ancora, almeno finché l’uomo manterrà le sue facoltà emotivo-cognitive.

Susanna Maria de Candia


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