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21) Racconto: Gocce d'acqua salata

Da Angivisal84

Gocce d’acqua salata di Crystal Shanesilver Creatura: Ent21) Racconto: Gocce d'acqua salata
Il sole comincia a scendere a ovest. Dovrebbe arrivare tra poco. Non dovrebbe mancare molto. Le creature-che-si-spostano iniziano a lasciare la piazza. Che strane creature. Sono pallide, non hanno una pelle dura, hanno solo due braccia e possono spostarsi. Possono spostarsi, non hanno radici e non si fermano mai nello stesso posto. Prendono acqua dalla bocca e sono tutti molto simili. Eccola. Arriva quando gli altri se ne vanno. È una creatura-che-si-sposta molto giovane, femmina; ha capelli - così li chiamano - corti e neri e grandi occhi marroni. È più pallida degli altri e non parla quasi mai. Arriva poco prima che il sole tramonti, silenziosa e schiva, e si siede ai miei piedi, appoggiandosi a me. Poi estrae una specie di tavoletta bianca e un rametto. Io la spio dall'alto: muove il rametto sulla tavoletta e iniziano a comparire macchie nere. Mi piacerebbe sapere di cosa si tratta. Altre volte non ha la tavoletta. Aspetta di rimanere sola e poi nasconde il volto; sento strani suoni che provengono da lei e a terra cade acqua salata a piccole gocce. Quando si comporta così cerca di non farsi vedere dalle altre creature. Lo capisco perché, quando sente arrivare qualcuno, tace e tenta di nascondersi; allora io abbasso lentamente i miei rami per aiutarla. La giovane femmina è la mia unica compagnia. Le altre creature mi guardano, mi girano intorno, altre mi ignorano. Nessuno si avvicina, perché è vietato farmi del male. Questa è la legge: loro non mi fanno del male e io non parlo. Sono quasi venti anni che non parlo. Non credo di ricordare come si fa.Alcune volte la creatura-che-si-sposta parla, e parla a me, perché non c’è nessun altro nella piazza oltre a noi. Ma io non posso risponderle. Eccola, è più vicina. Si sposta lentamente e mi guarda. Sorride. Poi si siede e io adatto lentamente le mie radici intorno al suo fragile corpo perché si senta comoda. A volte riesco ad abbassare i rami tanto da sfiorarle il viso. Oggi è tranquilla, ha la solita tavoletta bianca e si guarda intorno per vedere se è sola. Poi alza lo sguardo verso i miei rami e rimane ferma a fissarli. L’azzurro del cielo si riflette nei suoi occhi. Si guarda intorno un’ultima volta e si rialza, lasciando la tavoletta a terra. Comincia a salirmi addosso. Non posso scrollarmi, non posso avvisarla. Non so cosa voglia fare, ma è troppo piccola per arrivare ai miei rami. Rischia di cadere. L’unica cosa che posso fare è spostare lentamente i miei rami laterali più bassi per prenderla. Sale ancora più in alto, senza fermarsi, mi oscura la vista con il suo corpo. Improvvisamente sento una foglia staccarsi da un ramo. Un dolore lancinante mi colpisce e prima di accorgermene alzo velocemente il ramo verso il cielo. La creatura lancia un grido e si sbilancia, cadendo sui miei rami, pronti a riceverla. Una goccia di sangue - il mio sangue - cade dal ramo e macchia di rosso la tavoletta bianca ai miei piedi. La macchia si allarga lentamente, rovinandone il candore. <Oh.> sussurro dispiaciuto; mi massaggio il ramo dolorante, gemendo debolmente, e poggio la creatura sul suolo. La giovane femmina si guarda attorno, guarda me e i miei rami. È atterrita, si vede dai grandi occhi spaventati e dal labbro che trema. Nell'arto superiore - mano, così lo chiamano - ha la mia foglia e il sangue che ne fuoriesce scorre lentamente, denso e scuro, gocciolando sul terreno; ma lei non lo vede. Sta guardando i miei rami, accorsi in aiuto di quello ferito. Non posso farci nulla, il dolore è forte. Raccoglie la tavoletta e si rialza da terra. Poi inizia a correre via. <No!> Era da tempo che non sentivo la mia voce. Un tempo era la più potente del bosco, tanto forte da scuotere la terra. Ora è strana, come se fosse soffocata. So che non dovrei. Mi uccideranno. Ma non voglio che la giovane femmina mi lasci solo. Non avrei dovuto spaventarla. Ho paura che non torni più. Non voglio tornare solo. Dopo un tempo che mi pare interminabile, la creatura si ferma, cercando qualcosa. <Non andare.> La mia voce è più decisa, ora. La creatura muove la testa a scatti, tremando.<Gli alberi non parlano.> comincia a dire <E non muovono i rami così velocemente.> Abbassa lo sguardo e vede la mano insanguinata. <E non sanguinano.> conclude, senza azzardare a muoversi. <Non sono un albero.> mormoro afflitto. Mi uccideranno. Sto parlando. Mi uccideranno. La femmina mi guarda, muove la testa in modo strano, poi si ferma di nuovo. Immobile, non muove nulla, nemmeno gli occhi. <Cosa sei?> chiede con voce curiosa, tenendo strette la tavoletta e la foglia. Intorno a noi non c’è nessuno. L’unico rumore è quello del vento, che scuote le mie foglie e i capelli della creatura, e mi sussurra cosa fare. Parlare. Smettere di nascondermi. Nessuno saprà nulla.<Un Ent.> borbotto a bassa voce. Il risultato è un suono confuso, incomprensibile. <Come ti chiami?> chiede la creatura-che-si-sposta, senza distogliere lo sguardo da me. <Il mio nome è Pethra. Significa “dalla grande voce.” Il tuo qual è?> <Sophie. Significa “sapienza”.> risponde con una strana luce negli occhi. <Un gran bel nome per una creatura-che-si-sposta giovane come te.> <Una cosa?> <Una creatura-che-si-sposta. È pieno di creature-che-si-spostano qui. Sono tutte come te; un po’ più chiassose, ma fondamentalmente molto simili.><Umani. Siamo umani. Ma forse è più adatto il modo con cui ci chiami tu.> rivela con un sospiro, guardandosi sospettosamente intorno. <Perché mai?> Solo dopo venti anni qualcuno si degna di darmi il nome esatto delle creature che mi circondano. <Siamo caduti in rovina. Dopo la guerra l’esercito è salito al potere. Non possiamo fare cose diverse da quelle che ci impongono. Dicono che si tratta del bene del popolo, ma è solo dittatura.> Tiene i le mani chiuse, serrate, la faccia è distorta in una maschera d’odio. <Non siamo più umani. Siamo marionette.> Non capisco bene tutto quello che dice, ma tutto questo è così nuovo, così strano. Così appagante. Un senso di tenerezza mi pervade quando Sophie si avvicina lentamente e sfiora la mia corteccia. È un tocco rapido e leggero, che però fa vibrare qualcosa dentro di me. Non sono solo. C’è lei. Questa consapevolezza fa svanire in un attimo la paura della morte e persino il dolore che il mio ramo provava poco fa. <Perché mi hai staccato una foglia?>È solo una delle mille e mille domande che vorrei porle, delle cose che ho da dirle, delle curiosità che vorrei soddisfare. Sophie alza la testa. I grandi occhi marroni diventano lucidi e da uno di essi scivola giù una piccola goccia d’acqua, che lentamente cade giù, sulle mie radici. La mia reazione è immediata, arriva prima della sensazione di amarezza e del gusto salato della goccia. Le radici si allontanano, scendono più in profondità, ma non c’è nulla da fare: è caduta sulla radice e non si può in alcun modo evitare di assorbirla. <Che cos’è quest’acqua salata che sgorga dai tuoi occhi?> Sophie passa velocemente la mano sugli occhi e le gocce smettono di scendere. <Si chiamano lacrime. Normalmente escono quando siamo feriti, arrabbiati o… tristi.> Alza lo sguardo su di me. Il mio popolo non conosce rabbia o tristezza. Non sappiamo cosa siano le lacrime. <E perché stanno uscendo ora?>Per tutta risposta mi abbraccia. È calda e sento qualcosa che pulsa vicino alla mia corteccia. Le lacrime continuano a scendere, scivolando giù per il ruvido legno di cui sono composto, calde e salate. <Stanno per abbatterti.> rivela con un sussurro, un suono talmente basso che nemmeno il venticello di primavera potrebbe essere più flebile. Stanno per abbatterti: la consapevolezza di queste tre parole arriva violenta e diretta. Vogliono uccidermi. Mi hanno visto parlare? Non può essere, questa è la prima volta. Ho fatto qualcosa di sbagliato? <Al tuo posto costruiranno un monumento al generale Shilly. Ormai il progetto è approvato. Non servono a nulla le proteste, le lotte di chi ti ha voluto qui … anche se non sei un albero, come ci avevano promesso.> Un monumento. Pietra. Come quella che sorge davanti a me, poco distante. Pietra fredda, immobile. Devo morire per qualcosa che non vive. <Non erano questi i patti.> sussurro afflitto. <Potevano uccidermi solo se avessi parlato o mi fossi rivelato. Non per una pietra.> La giovane umana mi guarda senza capire. <Alcuni umani sono venuti nella mia terra venti anni or sono. Cercavano alberi, ma trovarono noi e decisero di portare con loro mia sorella Nami, forse la più bella di tutti gli Ent della mia terra. Ci opponemmo tutti, ma gli umani minacciarono di ucciderla, così mi offrii io al suo posto. Mentre mi trasportavano qui mi intimarono di non parlare e di muovermi solo quando fossi stato certo di essere solo. Loro avrebbero impedito che qualcuno mi facesse del male.> Sophie sospira, ma subito dopo alza lo sguardo. <È così, allora.> sussurra <In effetti, ci hanno ingannato per bene. Non è facile distinguerti dai un albero; sei uguale: foglie, rami, tronco, radici. Non avrei mai pensato che quelle pieghe fossero i tuoi occhi e la tua bocca.> Si ferma, si guarda intorno e si avvicina. <Anche se spesso ho pensato che fossi qualcosa di più; quando mi sedevo qui a scrivere avevo l’impressione di essere osservata, che tu ti muovessi dietro di me. Ma mi sono sempre detta che si trattava della paura di essere scoperta.> <Scoperta da chi?> <Da loro. Dobbiamo sembrare felici, non possiamo dire o scrivere nulla che non venga approvato prima da loro. Chi non ha il permesso non può scrivere, viene punito come fosse una strega o uno stregone. Come me. La stampa non esiste più, a scuola si impara solo ad adorarli. Dopo la guerra i pochi alberi che ancora esistevano andarono distrutti e gli ambientalisti li reclamarono a gran voce. Pochi mesi dopo portarono te e il popolo, credendoli onnipotenti, non si oppose al loro colpo di stato.> Scrivere. Deve riferirsi alla tavoletta bianca. <A cosa serve scrivere?> <Scrivere è un modo per comunicare ed è un modo perché pensieri, avvenimenti, storie rimangano eterni. La gente impara, capisce, si emoziona.> <E tu cosa scrivi?> Si morde il labbro. <Scrivo la storia di una ragazza che scopre un inganno: il mondo in cui vive non è reale e tutto ciò in cui crede non esiste…> Un rumore brusco interrompe la conversazione. Torno immobile e vedo sbucare da dietro un cespuglio un’altra giovane umana. <Parla! L’albero parla!> grida, correndo lontano. <No!> grida Sophie, rincorrendola, mentre sulla piazza si affacciano alcuni curiosi, che iniziano a gridare, facendo un gran baccano. Siamo stati scoperti. Eccoli. Gli umani senza capelli entrano nella piazza con le armi. Sophie si ferma, lasciando andare la giovane, e torna verso di me. <Lontani! È una pazzia!> urla uno di loro alla folla spaventata, puntandomi un’arma contro. Chiudo gli occhi. Non voglio morire. <No!> È la voce di Sophie. Un rumore forte rimbomba nella piazza. Riapro gli occhi. Sono vivo. Ai piedi dell’umano che mi minacciava c’è Sophie, rannicchiata, con una mano sul ventre insanguinato. <L’ho fatto parlare io. Sono…> sussurra, mentre la folla mi guarda terrorizzata. <È una strega!> urla l’umano che Sophie ha attaccato, alzando la tavoletta bianca. Gli uomini con le armi si guardano senza parlare. Uno di loro si avvicina, toccandomi. <Taci e sta’ fermo, se vuoi vivere.> mi sussurra a denti stretti. Poi si volta. <È un semplice albero. Portatela via.> ordina, accennando a Sophie. Mi verrebbe da urlare, oppormi, ma ho paura. Paura di morire. Paura che facciano del male a Sophie. <Lontani da questa ragazza malefica.> Prendono Sophie, il suo esile corpo, e la portano via, tra la folla che si allarga al loro passaggio. Scusami. È l’unica cosa che posso pensare. Vorrei essere sicuro di rivederla. Scusami. Chissà come finiva la tua storia. Scusami. Un vento gelido passa tra i miei rami, mentre la folla lascia la piazza, facendomi rabbrividire. Piccole gocce d’acqua sgorgano dai miei occhi e scivolano sulla mia corteccia, cadendo sulle mie radici. Gocce d’acqua salata.

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