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328 chilometri. Sono quelli che separano il mio paese da Finale Emilia. 328 chilometri più che sufficienti per non farmi sentire tremare il letto, la sedia, l'armadio. 328 chilometri a nord non c'è il profumo delle rose appena sbocciate, ma puzza di calcinacci. Quella puzza non la sento, non l'ho mai sentita, nemmeno quindici anni fa, quando immagini di dolore e di case crollate venivano anche dalla mia regione. Il terremoto del '97, quello dell'Umbria e delle Marche, è l'unico terremoto che mi ha davvero messo paura. La prima forte scossa c'era stata di notte, ma non mi aveva svegliato. Ho il sonno pesante pesante pesante, io. Il giorno dopo era il 26 settembre, quel giorno compivo 7 anni ed ero felice perché avevo pizzette, bibite e paste da mangiare in classe con i miei compagni, durante la ricreazione. Stavamo proprio festeggiando il mio compleanno quando tutto ha cominciato a tremare. Ricordo nitidamente la maestra di scienze che ci gridava di metterci sotto i banchi, ma noi eravamo troppo presi dalla nostra paura per qualcosa che non conoscevamo. La maestra si era messa di traverso sulla porta, voleva impedirci di uscire, ma tremava tutto e noi correvamo, tutti insieme. Su per le scale, poi a sinistra, davanti ai bagni, fino al portone. Fuori nel piazzale. Forse i miei ricordi sono un po' sballati, ma non mi sembra che fino a quel giorno qualcuno avesse mai provato un piano d'evacuazione. Dopo sì, a migliaia, ma prima niente. O almeno non li ricordo. Il giorno del mio settimo compleanno passò in fretta, nessuna maestra si prese la responsabilità di farci rientrare in classe e così passammo tutta la mattina a giocare al parco, su scivoli, girelli e altalene. Passato lo spavento, e a 7 anni lo spavento passa in fretta, mi sembrò anche un bel modo di passare il compleanno. Ovviamente non abitavo in una zona particolarmente colpita, nessun calcinaccio in mezzo alla strada, per fortuna. Mi ricordo che pochi giorni dopo il terremoto era venuto in classe nostra un bambino di Foligno che aveva i nonni qui. I suoi occhi azzurri avevano conquistato tutte noi. Lui raccontava che i suoi genitori l'avevano mandato "lontano" perché non avevano più una casa dove dormire. Credo di averlo ascoltato con gli occhi sgranati. Lui doveva aver avuto nei suoi bellissimi occhi azzurri le stesse immagini che oggi riempiono telegiornali e speciali vari.
Quando penso all'Emilia Romagna mi vengono in mente tante cose che mi piacciono. Sento Emilia Romagna e penso ai tortellini, al parmiggiano, penso ai cantautori che la popolano, penso a Bologna la rossa, penso ai partigiani che hanno lottato per tutti noi, penso alla piadina, a una parlata che mi sembra allegria allo stato puro, penso a Romagna mia, penso a Rimini e Riccione.
Da dieci giorni penso anche terremoto.
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