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5 anni fa...la notte dell'addio

Da Marisnew
Cara Lilli,

ci sono post che ho scritto anni fa, quando ero ancora sulla piattaforma di Virgilio, che chi mi segue da poco o comunque non dall'inizio non conosce. 

Ecco, io sento di volerli condividere perchè parlano di momenti di svolta della mia vita, nel bene o nel male.E' il caso del vecchio post, datato 22 settembre 2010, che ti ripropongo proprio oggi, giornata particolare per me, anniversario doloroso.La notte dell'addio.
<< Le telefonate che arrivano di notte spaventano sempre: non ne avevo mai ricevuta una fino a quella notte del 15 novembre 2009, ma diciamo che oramai me lo sentivo che sarebbe giunta presto…specie dopo aver visitato papà in ospedale la sera prima, insieme a mio marito.
Mi è stato chiaro appena l’ho visto che la fine era prossima: non aveva più gli occhi chiusi (come invece accadeva da giorni) ma, anzi, mi fissava con uno sguardo pieno di parole…tutte quelle che non riusciva più a pronunciare, emettendo oramai solo un rantolo affannoso e continuo che mi faceva rabbrividire.
L’ho accarezzato a lungo sulla testa, sulle guance, gli ho parlato piano e gli ho tenuto la mano per tutto il tempo. Poi siamo dovuti andare via e gli ho promesso di tornare l’indomani (domenica). Ma uscendo da quella stanza d’ospedale non mi sentivo tranquilla affatto...avevo un brutto presentimento.
La telefonata, dunque: all’una e quarantacinque mi ha chiamato mio fratello dicendomi che era stato contattato con urgenza dall’ospedale perché papà era peggiorato tanto da non avere pressoché più speranze e che ci suggerivano di correre là se volevamo portarlo via, a casa.
Naturalmente lui vivendo ad Avellino poteva arrivarci in 5 minuti, io invece ci ho messo una mezz’ora, con mio marito e con mia figlia che poverina dormiva. E durante il tragitto ecco una seconda telefonata di mio fratello, stavolta dall’ospedale: papà se ne era andato oramai…
Un turbine di sensazioni, le lacrime che non scendono, una strana calma che mi consente di non crollare, di salire dai miei suoceri a lasciare mia figlia e poi proseguire con mio marito a casa di mia madre, dove comunque l’ambulanza stava trasportando papà, con un’assurda messa in scena per farlo sembrare ancora in vita (con addirittura una mascherina d’ossigeno sul viso), necessaria a detta dei medici di turno per consentirci di evitare la camera mortuaria e la triste trafila di un decesso in ospedale.
Sono giunta da mia madre dieci minuti prima dell’ambulanza: ecco salire per le scale i portantini...li sentivo arrivare e contemporaneamente sentivo arrivare anche le lacrime fino ad allora nascoste in fondo al cuore… Papà era avvolto in un lenzuolo, Lilli, e ti giuro non potrò mai dimenticare finché vivo l’impressione che ho provato vedendolo mentre lo deponevano sul letto, magrissimo, semi nudo: Gesù nel sudario…ecco a cosa ho pensato. Un paragone eccessivo, inimmaginabile, blasfemo forse...ma è esattamente ciò che mi è balenato nella mente in quell’istante. Ed ho pianto.
Ciò che è seguito è il naturale svolgersi delle cose come in ogni evento del genere: sistemare il letto, vestire il defunto… Già: vestire il corpo senza vita di mio padre. MAI avrei creduto di essere in grado di farlo, Lilli, ed invece l’ho fatto e rendo grazie a Dio di avermene dato la forza perché è un atto di carità e di rispetto che sento di aver reso a chi mi ha generato, cresciuto e soprattutto amato.
Insieme a mia zia (la sorella di papà), mentre mio fratello non si sentiva neppure di entrare nella stanza e mia madre era lì presente ma seduta immobile a pregare, ho iniziato a svolgere quel compito, piangendo silenziosamente tutte le mie lacrime.
Poi, quando ad un tratto non riuscivamo ad andare avanti da sole perché papà andava sollevato, è arrivato l’aiuto per me più inaspettato e più commovente: mio marito, il mio dolce amore, che è molto sensibile a queste situazioni, il ragazzo che parla poco ma fa gesti concreti, ha finito di vestire con me il mio papà. Questa è stata una delle prove d’amore più grandi che mi ha dato da quando ci conosciamo e io non finirò mai di ringraziarlo.
Alla fine ho guardato quel corpo ricomposto, quel volto pallido, pieno di dignità, ma anche un pò trasfigurato dalla morte: per non crollare mi sono “costretta” a pensare al mio papà, quello “vero”, non quello che era lì esanime su quel letto ….
Ho pensato al papà che mi ha insegnato ad amare la musica classica fin dai miei primi anni di vita, che si fingeva direttore d’orchestra e mi faceva ballare mentre andavano le note dell’overture de “Il signor Bruschino” di Rossini, che fumava la pipa con quel tabacco aromatico che inondava la stanza di un odore che mi piaceva tanto da bambina, che mi teneva per mano quando andavamo in qualche città ricca di monumenti o in un museo (lui, professore di storia dell’arte e pittore) e mi illustrava tutte quelle bellezze, che amava cantare le canzoni classiche napoletane e che, quando sono tornata dal mio viaggio di nozze, mi ha accolto sulla sua sedia a rotelle a braccia aperte e con un sorriso che raramente gli avevo visto sul viso (lui, timido e poco espansivo) esclamando: “Che bella figlia che ho!”…
A quel papà io in realtà non dirò mai addio, Lilli.>>

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