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50. Zucchero filato

Creato il 02 novembre 2011 da Fabry2010

Pubblicato da fabrizio centofanti su novembre 2, 2011

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I fatti di Birmingham, forse, segnarono l’inizio del declino.
La cella comunica con la luce esterna attraverso una grata di venti centimetri che sembra fil di ferro: è così difficile da rompere?
Nessuno seppe chi fu. Scrisse bene un avvocato: avrebbe potuto ritenersi responsabile chiunque seminasse odio, chi raccontava barzellette contro i neri, chi non denunciava le sopraffazioni o scaricava la colpa di ogni male sulla gente di colore.
Due occhi scrutano il mondo, come cercando un segno amico, una parola, uno sguardo da incrociare.
Credi nelle coincidenze? Quel mattino la lezione era intorno a un versetto di vangelo: amate i vostri nemici, pregate per quelli che vi perseguitano.
Tutti cerchiamo qualcuno che ci guardi con gli occhi di Dio; perché Dio – lo sai? – a volte chiede in prestito gli occhi di un uomo o di una donna.
Al suono della campanella, le ragazze ritornano nello spogliatoio: quattro di loro sono corse avanti – tu credi nel destino?
Sogni qualcuno che si avvicini alla tua cella quando ormai sei rassegnato a marcire lì dentro per i secoli dei secoli. Si accosta e ti chiede a voce bassa: come ti chiami?
Posi la cartella sulla panca, prendi la giacchetta, infili un braccio, scambiando battute con le compagne allegre.
Come sei finito qui? Hai presente la rivoluzione? Penso di sì. Ecco: gli striscioni, le botte, i poliziotti. M’interrogo, a volte, sul senso delle stelle nella bandiera americana: non sono tutte uguali? Forse ci sono stelle spente da millenni, che aspettano solo d’implodere e sparire.
Infilato il giacchetto, non resta che uscire, un gesto normale, quotidiano, cosa c’è di più semplice che uscire da una stanza? E il destino, amico mio, dove lo metti?
In quattro, in cinque, è il senso della parità che manca, della dignità, della lealtà: è troppo facile pestarti, con tutta quella gente, coi manganelli che colpiscono nei punti delicati; che ci fanno le stelle bianche nello spazio blu della bandiera americana?
La fiamma è la prima ad apparire: come quando sfreghi l’accendino, ma molto più potente, un razzo che decolla, un cannone che spara.
Non sono contenti finché non vedono che fatichi a reagire, che tenti inutilmente di rialzarti: il tuo corpo è mille volte più pesante, come portassi il mondo sulle spalle.
Poi, a occupare lo spazio, è la nuvola di fumo: batuffoli di ovatta grigia e nera, filetti di zucchero che si attorcigliano tra loro, lana di fata dolcissima, buona per le feste di paese.
Forse non è nelle stelle la risposta, ma nelle strisce di sangue che attraversano la superficie bianca. Il sangue siamo noi, il seme gettato nella terra per portare un frutto abbondante al padrone di turno, che lo incassa senza ringraziare.
All’interno dei fiocchi grigi e neri, le ragazze non sono più ragazze, ma pezzi di carne sparsa per la stanza. Hanno appena imparato il versetto sull’amore dei nemici, ma ora con che cosa l’avrebbero espresso? Con la mano staccata dal polso e scivolata sotto il banco? La gamba ridotta come un quarto di manzo appeso al chiodo?
Ecco, non si muove quasi più; anzi, è immobile come la striscia di sangue sulla bandiera americana, circondata di bianco, circondata dai bianchi, una bandiera di caschi e manganelli, dove sventolano calci, sputi e bestemmie.
La lana di fata avvolge quel che resta della quattro ragazze, nel saliscendi del fumo si nasconde il racconto delle origini, l’odio scatenato dal possesso dello spazio vitale, l’idea del potere che s’insinua nel cuore – gli mostrò tutti i regni della terra: tutto questo sarà tuo, se prostratoti mi adorerai.
Credo sia morto, ma infieriscono ancora; bruciate, stelle, implodete in un gorgo che ingoi in un attimo tutto il firmamento; c’era un Dio, una volta, che regalava luce, si avvicinava alla cella con la grata in fil di ferro e incrociava i tuoi occhi di uomo disperato che aspettava qualcuno, un segno amico, due labbra che pronunciassero parole ormai dimenticate: come ti chiami o perché sei qui, mentre lo zucchero filato ha avvolto tutto il mondo, una matassa dolciastra in cui si intravedono un dito, un giacchetto bruciato, una cartella, le quattro ragazzine fatte esplodere a Birmingham il quindici settembre del sessantatré.


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