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83. a casa di giorgio

Creato il 31 gennaio 2014 da Mavi
Anche stamattina temevo di essere in ritardo, invece no, ce l'ho fatta! Sono arrivata giusto in tempo per prendere la metro delle 7 e 50. C'è tanta gente, come sempre a quest'ora, facce sconosciute di viaggiatori occasionali, facce note di chi condivide con me la stessa routine, quasi si diventa amici con alcuni. Si comincia dai sorrisi intesi come saluto, agli sguardi complici, ai commenti sul servizio pubblico, sugli atteggiamenti di alcuni utenti. Poi, giorno dopo giorno, si diventa più aperti, ci si racconta un po', e la mattina quasi ci si cerca, perché il viaggio, senza la consueta compagnia, diventa più triste, più pesante. Io scendo dopo 4 fermate, Lucia scende una fermata prima, Andrea scende dopo, Tommaso scende con me, ma ci dividiamo subito dopo l'uscita. Con loro mi sembra quasi di rivivere gli anni della scuola, abbiamo età diverse, che oscillano tra i 38 ai 50 anni, ma con il tempo si sa, le distanze si accorciano. Un po' più lontano da noi siede un omino sotto la settantina, dall'aria un po' dimessa, indossa sempre gli stessi abiti e talvolta emana anche un cattivo odore. E' un uomo molto educato, ogni tanto interviene nelle nostre discussioni con una pillola di saggezza, che tutti dimostriamo di gradire molto, ma poi, subito dopo, quasi imbarazzato per quei pochi minuti di gloria, torna a tacere abbassando il capo. Oggi Tommaso non c'è, probabile che sia influenzato, ma mi sono subito rassicurata quando ho visto Lucia ed Andrea. Da quando ho saputo di Giorgio, resto sempre un po' turbata se non vedo i miei compagni di viaggio. Giorgio faceva parte del gruppo fino a qualche mese fa, ma poi, all'improvviso, è scomparso. Per qualche giorno abbiamo pensato che fosse ammalato, se fosse stato in ferie ce l'avrebbe detto. Poi dopo un paio di settimane abbiamo cominciato a preoccuparci, Andrea che conosceva un suo collega, si è informato ed ha saputo che Giorgio aveva perso il lavoro. Ma la notizia che ci ha sorpreso di più, non era questa, seppure dolorosa, era l'aver appreso che per settimane lui aveva continuato a far finta di niente con noi e forse anche con se stesso, aveva continuato a prendere la metro alla stessa ora, a scendere alla stessa fermata, forse un po' per vergogna, un po' per non perdere anche noi. Abbiamo avuto il suo numero e lo abbiamo chiamato. Era solo in casa, la moglie era uscita per andare ad accudire una signora anziana, i figli erano a scuola. Ci ha detto che avrebbe preferito che non sapessimo nulla, che avremmo dovuto immaginarlo felice e sorridente come sempre altrove, in un altro posto della città, presso un altro negozio. Giorgio era stato per anni il commesso di un grande negozio di elettrodomestici, ma per la recente crisi il titolare aveva deciso di licenziare alcuni dipendenti, affidando tutto alla sorte. Avrebbe licenziato chiunque a malincuore a dir suo, quindi, una mattina di novembre aveva deciso di mettere in un sacchetto i nomi dei suoi 15 dipendenti e di estrarne a sorte solo tre, "gli sfortunati". Giorgio era tra quei tre, aveva provato a convincere il titolare che avrebbe potuto tenerlo part time, che addirittura avrebbe rinunciato ad una parte dello stipendio per qualche mese, ma non c'era stato verso di convincerlo a tenerlo. Quella mattina, quando lo chiamammo, capimmo che la situazione era abbastanza grave: Giorgio era depresso e non sarebbe stato facile aiutarlo. Ci avevamo provato a risollevarlo, ma non ci eravamo riusciti. Dopo qualche mese, abbiamo smesso di cercarlo. Ho chiamato Tommaso, mi ha detto che è solo influenzato, ma che per la prossima settimana conta di rientrare a lavoro. Oggi l'omino anziano ha detto che "tutto arriva per chi sa aspettare", ma forse non sempre è così, perché più triste di non avere un lavoro è non averlo più. Ogni mattina spero di incontrare Giorgio sorridente, che ci racconta del suo nuovo lavoro o che ci chiami per dirci che sta cercando un'alternativa, che ha delle aspettative, che vuole star bene.

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