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89. Ha – Motsa

Creato il 04 agosto 2011 da Fabry2010
89. Ha – Motsa

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E’ un altorilievo senza pretese di originalità: due personaggi colti nel momento del massimo stupore, davanti a un terzo a braccia aperte, con le palme rivolte verso l’alto; lo sfondo dorato ricorda che una presenza preziosa si rivela nel momento in cui meno te lo aspetti.
- A cosa ti fa pensare questo posto?
- Mi mette in imbarazzo: provo una specie di rimorso, un senso di colpa che non riesco ad afferrare.
L’affresco è più scontato, se possibile: espressioni devote, gesti plateali; verrebbe voglia di mettersi in mezzo e dire: svegliatevi, diamoci da fare!
- Il problema è questo: il senso di colpa. Non si può vivere pensando di non essere all’altezza.
- C’è un antidoto?
La processione parte dalla sacrestia: camici, stole, mitrie, pastorali.
- I sacerdoti celebrano riti per lavarsi la coscienza.
- Secondo te è un metodo efficace?
Il vescovo riceve i doni offertoriali con aria soddisfatta.
- La religione ridotta a rituale è un’arma in mano ai detrattori.
- Tu cosa proporresti?
Il fumo dell’incenso fa tossire l’assemblea.
- Sto pensando alla frase di Yehochoua.
I canti si librano nell’aria, monotoni come il lamento di un infermo.
- Se non tornate bambini, non sarete mai felici.
- Tu come la intendi?
Pochi chilometri da Gerusalemme, eppure è tutto differente.
- E’ un’espressione equivoca: personalmente, i bambini non li tollero.
- Questo, se permetti, è un tuo problema.
Alberi, muretti in pietra, un’indicazione improbabile riguardante le fondamenta della casa di Cleopa.
- Vedi? E’il problema della religione: sconfina nel mitico, nell’irrazionale. Ti pare possibile che qui ci sia la casa del discepolo che chiacchierò due ore col Mashiah?
- Che c’entra coi bambini?
Il sentiero è lastricato in pietra, l’erba vi cresce a ciuffi irregolari.
- Parlo dell’infantilismo, il bisogno di credere in qualcosa d’inspiegabile, avvolto nel mistero, come le favole che raccontano ai mocciosi.
- La fede non è affidarsi a qualcuno di più grande?
Il vescovo alza il calice con l’ostia, nel silenzio generale.
- Io sono per un credo emancipato da dogmi indifendibili.
- E’ infantile anche Yehochoua?
Tre suore camminano a fatica, cercando un poco d’ombra.
- Non dovrebbe uscirsene così: a gente che non cresce non parli di bambini.
- E’ una critica alla disumanità, secondo me.
I fedeli avanzano con ceste di pane, in fila per due, dirigendosi dal vescovo.
- Finiscila, Chlomo, sei come i personaggi di quell’affresco grossolano: è ora di svegliarsi, di usare le armi della logica, la dose giusta di furbizia.
- Yehouda, non capisco cosa cerchi.
Il prelato distribuisce i pani, sorridendo divertito.
- Questo è il dramma: non capisci, non capiscono. E tutto rimane come prima.
- Ma insomma, qual è la tua proposta?
E’ la tredicesima volta che la signora anziana viene qui: dev’essere convinta.
- Lo capirai più presto di quanto possa immaginare.
Ha – Motsa, il villaggio di olive e melograni, vuol dire primavera.



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