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A caccia di inquinamento per trovare gli alieni

Creato il 24 luglio 2014 da Media Inaf

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C’è qualcuno lì fuori? È la domanda che tutti da sempre ci facciamo, ma più di tutti gli astronomi e gli appassionati di vita extraterrestre. Se cerchiamo forme di vita aliena nell’Universo sembra proprio che fino a oggi abbiamo sbagliato tutto, o almeno non abbiamo ottenuto chissà quali grandi risultati. Un gruppo di ricercatori de l’Harvard-Smithsonian Center for Astrophysics (CfA) ha ipotizzato, invece, che basterebbe cercare tracce di inquinamento nello spazio per trovare (magari) civiltà extraterrestri su altri mondi. Insomma, proprio come noi esseri umani inquiniamo il nostro pianeta e l’orbita circostante, anche qualche forma di vita aliena potrebbe fare (o aver fatto) lo stesso con il proprio pianeta. Dopo anni e anni di ricerche senza sosta, sembra che siamo vicini a rilevare segni di vita aliena su altri mondi. Cosa hanno pensato i ricercatori? Studiando le atmosfere dei pianeti extrasolari possiamo trovare gas come ossigeno e metano che coesistono solo in presenza di vita microbiotica. Ma questi gas vengono anche da semplici forme di vita come i microbi. Il passo successivo è capire se ci sono (o sono state in un lontano passato) forme di civiltà avanzate come o più della nostra e se mai hanno lasciato un segno della loro presenza, come forme particolari di inquinamento.

Per offrire un nuovo approccio nella ricerca di intelligenza extraterrestre (SETI) verrà in aiuto il James Webb Space Telescope di NASA/ESA/CSA, il telescopio di nuova generazione che sostituirà Hubble e verrà lanciato nel 2018. “Pensiamo che l’inquinamento industriale sia la prova di forme di vita intelligenti, ma è probabile che civiltà più avanzate non la pensino come noi essendo poco furbo inquinare l’aria del proprio pianeta”, ha detto Henry Lin, primo autore della ricerca pubblicata su The Astrophysical Journal.

Non è la prima volta nella comunità scientifica che si discute della ricerca di segni molecolari di vita primitiva nelle atmosfere dei pianeti extrasolari. “Abbiamo sempre cercato anche segnali radio e laser emessi da civiltà avanzate”, ha spiegato a Media INAF Avi Loeb, ricercatore dell’Università di Harvard e co-autore dello studio. “Circa un anno fa ho avuto l’idea di cominciare le prove dell’inquinamento industriale nello spazio oltre il nostro Sistema solare”. Oltre ai due astrofisici, nel team c’è anche Gonzalo Gonzalez Abad, un esperto di inquinamento industriale nell’atmosfera terrestre.

Proprio grazie al JWST i ricercatori potrebbero essere in grado di rilevare due tipi di clorofluorocarburi, composti chimici contenenti cloro, fluoro e carbonio, indicati con la sigla CFC, contenuti in solventi e prodotti spray che distruggono lo strato dell’ozono. “Le molecole che consideriamo come CFC sono quelle responsabili del riscaldamento globale sulla Terra”, ha spiegato Loeb. “Una di queste molecole, il tetrafluorometano (CF4), può rimanere nell’aria anche per 50.000 anni, mentre altre non arrivano a 10 anni o anche meno”. Un’altra molecola facile da rivelare sarà il triclorofluorometano (CCI3F). “Se troveremo solo le prove di molecole durature, questo può indicare che stiamo guardando le rovine di una civiltà che è andata distrutta. In questo caso potrebbe servirci da lezione per non continuare a distruggere il nostro pianeta e la sua atmosfera”.

Il piano è ambizioso. L’unico problema finora rilevato dagli esperti è che il James Webb Space Telescope  può rilevare solo le sostanze inquinanti presenti attorno a un pianeta simile alla Terra che circonda una stella nana bianca, vale a dire ciò che resta quando una stella come il nostro Sole muore. Cercare molecole inquinanti su un pianeta simile alla Terra ma che orbita intorno a una stella simile al Sole richiederebbe uno strumento molto superiore a JWST – un telescopio di “next-next-generation”. Loeb ha calcolato che JWST può catturare le impronte spettrali dei clorofluorocarburi su pianeti extrasolari con un’inquinamento industriale dieci volte più grande di quello sulla Terra”.

A Media INAF Loeb spiega come si svolgerà lo studio: “Immaginate un pianeta che orbita intorno alla sua stella madre: se stiamo osservando la stella da lontano in direzione del piano orbitale, vedremo che il pianeta passa davanti alla stella in maniera regolare (ed è così che spesso vengono scoperti i pianeti, ndr). In quel momento una frazione della luce della stella passa attraverso l’atmosfera del pianeta dirigendosi verso di noi; la luce viene assorbita dagli atomi o dalle molecole nell’atmosfera del pianeta, che ha una impronta spettrale associata alle lunghezze d’onda con cui assorbe la luce. Misurando lo spettro della luce che passa attraverso l’atmosfera del pianeta possiamo studiare nel dettaglio la composizione della sua atmosfera. Per quanto riguarda le nane bianche, che hanno una dimensione paragonabile a quella della Terra, l’occultazione di luce da parte di un pianeta, orbitante la fascia abitabile, sarebbe decisamente superiore, rendendo la sfida più abbordabile”.

Ed ecco dunque perché fare ricerche del genere sui numerosi sistemi planetari orbitanti nane bianche, può essere più produttivo. “Una nana bianca con un’età di qualche miliardo di anni – ha detto Loeb – ha un colore simile a quello del Sole ed è molto probabile che la vita si sviluppi su un pianeta vicino ad essa soprattutto se si trova nella zona abitabile, cioè ad una distanza tale che la temperatura della stella mantiene l’acqua allo stato liquido. Essendo 100 volte più piccola del Sole, la fascia di abitabilità della nana bianca si troverà 100 volte più vicino rispetto alla distanza Sole-Terra. È come se ci volessimo scaldare con una piccola fiamma: bisogna andare sempre più vicino”.

Dunque la ricerca della vita passa per varie strade, il che dimostra perché non sia facile trovarla. Per anni si è atteso un segnale radio proveniente da un altro pianeta, d’altronde sembrava il metodo più semplice. L’umanità infatti da quando è nata la radio emette segnali che viaggiano nel cosmo, la cosiddetta bolla di Berlusconi. E dalla rivoluzione industriale immette nell’atmosfera gas inquinanti. Insomma se nella nostra galassia c’è qualche altro sconsiderato, può essere che lo troviamo.

Per saperne di più

Leggi QUI lo studio “Detecting industrial pollution in the atmospheres of earth-like exoplanets” di Henry W. Lin, Gonzalo Gonzalez Abad e Abraham Loeb

Fonte: Media INAF | Scritto da Eleonora Ferroni


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