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A che serve il senso dell’umorismo?

Da Anna
A che serve il senso dell’umorismo?

 

foto: flickr

L’umorismo è ordine.
L’umorismo è disordine.
È il funambolo in squilibrio stabile tra ordine e disordine.
"Sempronio prende la bicicletta per andare al lavoro. Pedala e pensa: "Devo essere in ufficio puntuale alle nove!". Un leggero refolo di vento gli scompiglia i capelli. È luglio avanzato, ed è piuttosto caldo. Se la gode: "Ah, che bella arietta…".
"Telico", dal greco "telos", "fine". Questo termine è stato impiegato per distinguere due stati diversi.’ In un momento dato un individuo è o in uno stato telico o in uno stato paratelico. Nel primo caso è orientato verso un fine, ha uno scopo da raggiungere. Quello che fa è motivato da una serie di possibili esigenze, come quelle fisiologiche (per esempio, la fame) o quelle legate alle richieste della vita sociale. Il comportamento che attua è sentito come indotto, o imposto, e riguarda cose essenziali. Invece in uno stato paratelico la finalità è secondaria; quello che viene fatto è motivato dal piacere stesso di farlo, appare scelto liberamente e riguarda cose che appaiono inessenziali.
Ritorniamo alla situazione della bicicletta.
Quando il ciclista è lì che pensa alla finalità dell’andare in bicicletta, e cioè arrivare al posto di lavoro, è in uno stato telico.
Nel momento in cui si sofferma a godersi il piacere del venticello estivo è in uno stato paratelico. In maniera analoga, fare le parole crociate ha un significato paratelico; rispondere a un quiz durante un esame per la patente ha un valore telico. Lo scopo ha un peso diverso, e il divertimento pure.
Secondo la teoria, i due stati non possono essere sperimentati contemporaneamente; ci possono però essere dei passaggi, anche rapidi, da uno stato all’altro; come nell’esempio della bicicletta.
L’umorismo è una delle esperienze che vengono compiute nello stato paratelico. Senza il perseguimento di finalità, senza che venga sentito che esiste qualcosa, di essenziale, da "dover fare".
Saper sperimentare l’umorismo può allora essere anche inteso come la capacità di mettersi e di mantenersi in uno stato paratelico. Uno stato disimpegnato, godibile. Insidiato però dalla difficoltà che non pochi hanno ad agire senza un fine, a vagare senza meta. A ignorare la responsabilizzante domanda "perché lo fai?".
Per inciso, la teoria offre un suggerimento per capire a cosa è legata la sensazione di scarsa compatibilità tra "studiare" una barzelletta e "divertirsi" con una barzelletta. Quando ci si diverte si è in uno stato paratelico, quando si studia si è in uno stato telico.
E, quindi:
1. non è normalmente dato di sperimentare entrambe le condizioni esattamente nello stesso momento;
2. in situazioni diverse e successive è però possibile "studiare" e "divertirsi";
3. sono anche possibili rapidi viraggi da uno stato all’altro, per cui, se non proprio contemporaneamente, comunque nella medesima situazione in cui si ha a che fare con una barzelletta lo studio e il divertimento possono stare insieme.
L’umorismo, quindi, è un’esperienza piacevole, che si ricerca perché e piacevole e, di regola, non ci si aspetta che soddisfi altre esigenze o raggiunga altri scopi se non quello legato al divertimento. L’unica vera funzione sarebbe dunque quella della produzione di un’esperienza piacevole.
È il dato immediato, la sensazione di chi ascolta una barzelletta o legge un romanzo umoristico.
Ma è anche sensazione diffusa, e una costante riflessione nella storia del pensiero, che l’umorismo abbia delle finalità, più o meno implicite, e di rilievo. Che svolga delle funzioni che, nell’economia della persona e dei rapporti umani, hanno un posto per nulla trascurabile.
Insomma, l’umorismo non serve a niente e serve a molto. Contraddizione solo apparente.
Funzioni intellettive: l’umorismo come palestra mentale
L’umorismo si basa su una particolare elaborazione di informazioni e può comportare un rilevante impegno intellettivo. Detto e sottolineato analizzando i meccanismi.In molti casi questo traspare in tutta chiarezza.
Prendiamo un esempio:
Lucio Dalla ce l’ha corto.
Jovannotti ce l’ha lungo.
Madonna non ce l’ha.
Il Papa ce l’ha ma di solito non lo usa.
Che cosa?
Il cognome.
Questa barzelletta si presenta come un problema da risolvere, del genere "indovinello". Occorre trovare un termine che soddisfi le diverse condizioni definite dai 4 casi enumerati. Viene, in modo coatto, evocato un termine sessuale, che appare come l’ovvia, praticamente inevitabile soluzione. Ma erroneamente, sia perché il termine non si applica adeguatamente ai primi due casi (le affermazione sono gratuite o, quanto meno, non accertate), sia perché una delle regole convenzionali degli indovinelli è che la soluzione più ovvia non è in genere quella buona. Qualcuno, particolarmente abile, arriva alla soluzione da solo. I più partono dalla soluzione data e ripercorrono all’indietro la battuta verificandone l’adeguatezza rispetto alle 4 affermazioni. Ciò richiede un impegno molto meno banale di quello che la frivola natura di una barzelletta sembra suggerire. Sono in gioco competenze sul piano linguistico, semantico, logico, oltre che la specifica capacità di elaborazione "a due fasi" (percezione dell’incongruità e individuazione della regola cognitiva che la risolve).
Tutto un lavorìo che comporta, per la mente, la funzione che l’attività in palestra svolge per i muscoli, per la condizione fisica, e cioè di potenziare o, almeno, mantenere l’efficienza. Una funzione, quindi, che consiste nel tenere in attività e tonificare capacità cognitive tra le più sofisticate della mente umana. Ricezione e confronti di informazioni, decifrazione e ricostruzione di relazioni insolite, metacomunicazioni, giochi attentivi, sono tutte operazioni che richiedono una mente ben funzionante. E, circolarmente, la tengono allenata favorendone la prontezza e l’elasticità e rendendola in grado di servire per impieghi flessibili e plastici.


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