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A Colle e a (Della) Valle

Creato il 09 luglio 2013 da Federico85 @fgwth
La lettera pubblica scritta da Diego Della Valle al Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano (ilpost.it)

La lettera pubblica scritta da Diego Della Valle al Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano (ilpost.it)

Presidente Napolitano, abbiamo bisogno di sentire la sua voce”.
Con queste parole Diego Della Valle, patron di Tod’s e della Fiorentina, si è rivolto al Capo dello Stato in una lettera aperta pubblicata tra gli annunci a pagamento di Repubblica di martedì 9 luglio 2013. A rivolgersi al Colle non è però tanto l’imprenditore o il proprietario di una squadra di calcio, ma il socio all’8 percento del gruppo Rcs (Rizzoli Corriere della Sera, la società editrice del quotidiano di Via Solferino e della Gazzetta dello Sport). Il motivo? L’annunciata scalata da parte di Fiat alle quote di Rcs, che dovrebbe portare il Lingotto a diventare il primo azionista del gruppo editoriale col 20,1 percento delle quote al termine del recente aumento di capitale deciso dall’assemblea dei soci.

Della Valle è preoccupato perché a suo giudizio: “E’ in pericolo la libertà di opinione di un pezzo importante della stampa italiana”. Fiat al 20 percento di Rcs secondo l’imprenditore marchigiano rappresenta una minaccia gravissima all’indipendenza dell’editoria italiana. Ha ragione Della Valle? Difficile dirlo. Ma che l’editoria italiana, dove è del tutto assente la figura dell’editore puro, sia una terra di mezzo fatta di interessi economici e finanziari è un dato di fatto. Certo è che, oltre alla sostanziosa quota in Rcs, la consolidata proprietà de La Stampa permetterebbe al gruppo torinese di controllare una discreta fetta del mercato italiano dei quotidiani. In ogni caso, la storia della proprietà di Rizzoli è costellata da lotte di potere cristallizzate in scalate, rastrellamenti di azioni e patti segreti. Il valore simbolico di entrare nel salotto buono dell’editoria, diretta emanazione di quello della finanza (vedi Mediobanca), è sempre stato infinitamente superiore all’effettiva consistenza delle quote possedute. Il famoso detto di Enrico Cuccia, fondatore di Mediobanca, secondo cui “le azioni si pesano e non si contano” in Rcs ha trovato una decennale attuazione. Incarnazione sublime di quel capitalismo di relazione all’italiana che tutti, a parole, disprezzano. Ma che nei fatti – specialmente nei tanti forum e convegni in cui si cerca di dare una patina anglosassone a questo sistema profondamente mediterraneo – conserva ancora mentalità e strutture feudaleggianti: difesa dello status quo e spiccata tendenza alla rendita di posizione.

La proposta di Della Valle è abbastanza scioccante: far uscire da Rcs il suo gruppo, Fiat, Mediobanca e Intesa e “trovare un gruppo di investitori privati, liberi, italiani che abbiano come unico obiettvo quello di far tornare la società competitiva”. Un proposito che definirlo utopistico è poco. Per attuarlo, non si sa bene a che scopo e a che titolo, Diego Della Valle si rivolge al Capo dello Stato. Che avrà tante prerogative ma – almeno non ancora – di certo non quella di essere il pontifex maximus del capitalismo italiano. L’appello di Della Valle, senza dubbio legittimo, stride poi un po’ con quanto dichiarato pochi giorni fa dallo stesso, ovvero che avrebbe sottoscritto l’aumento di capitale rispondendo alle mosse della Fiat. Delle due l’una: o ha capito che non può più contrastare Elkann e Marchionne sul terreno finanziario e cerca (in questo molto all’italiana) di mescolare le carte oppure ha cambiato rapidamente e radicalmente idea. In entrambi i casi non proprio una condotta degna di un aspirante rivoluzionario del capitalismo e della classe dirigente nostrani.

Che fine farà il Corriere in tutto questo? In Via Solferino 28 sono abituati a passare periodi bui dal punto di vista editotiale, su tutti gli anni Ottanta delle occulte scalate massoniche a firma P2. Il problema è che oggi ai giochi di potere orchestrati dietro alle scrivanie si accompagna una crisi nera a livello economico, e non ci si può più permettere operazioni finanziariamente allegre senza avere ricadute sul personale, giornalistico e non. Nella sede di Via Solferino gli uffici dei giornalisti sono simbolicamente messi su un piano rialzato rispetto a quelli della proprietà: così fu voluto, più di un secolo fa, per sottolineare l’indipendenza e la nobiltà del lavoro giornalistico. La speranza è quindi tutta affidata all’etica e alla deontologia di chi il giornale continuerà a farlo tutti i giorni: che Fiat o Della Valle abbiano il 15, il 20 o il 99 percento delle quote deve interessare fino a un certo punto. Il servizio di informazione viene prima di tutto il resto.



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