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A dieci minuti da Urano – Carla De Angelis

Creato il 14 febbraio 2011 da Fabry2010

di Germana Duca Ruggeri

Grandi i meriti etici, civili, letterari della scrittrice romana Carla De Angelis, ma ancora maggiori le connotazioni umane che le derivano dall’esperienza di madre, che tanta parte di vita, anche feriale, inserra ed espone. La sua unica figlia, Roberta, già incontrata fra i versi di “Salutami il mare” e nel libro “Diversità apparenti”, scritto in collaborazione con Stefano Martello, in questa nuova raccolta, sottotitolata <<poesie di tentata conquista>>, appare controluce. Come filigrana posta a risguardo delle circa ottanta liriche che la compongono, sotto gli influssi tempestosi e illuminanti di Urano: “folgori che squarciano il buio, aprono la mente, indicano nuove strade”, scrive Alessandro Ramberti sulla bandella. Un denso ininterrotto fluire di stati dell’animo nei moti del pensiero, e viceversa, mentre “il corpus dello scritto e l’animus che lo sottende” vanno alla tentata conquista di un cammino, scegliendo come bussola la responsabilità e il rispetto. Valori che l’autrice e il prefatore, Stefano Martello, non mancano di esplicitare nella postfazione, Responsabilità morale e rispetto per il lettore, scritta insieme. Ciò spiega perché l’espressività di Carla trova le sue ragioni, sempre, nella verità; anche quando essa le suggerisce di attutire <<i ruggiti del mondo>>, o di svelare sofferenza e sdoppiamento: <<Scindo il tuo / dal mio dolore>>. Quello che viene da lei affermato è come agisse anche su forma e stile della silloge, quasi interamente giocata sul distico e sul verso libero, specchio di una chiarezza, ora pausata, ora dinamizzata da lessico e strutture scelte con grazia genuina: <<Alcuni giorni sono un regalo / dei sogni predati alla notte // sete bevuta senza timori // Un ragno offre il filo / per il salto nel sole>>. Eppure basterebbero gli ex-ergo ai margini del libro (da Esiodo a Sarte, Stein…), insieme al lungo praticantato poetico, a dire la sapienza, la giusta dedizione di Carla De Angelis alla parola. Nondimeno è alla sua <<ansia>>, ai suoi <<battiti>>, al suo credo -<<Continua a fare doni la vita>>-, al suo sogno -<<Spargo semi / fantastico un tenero raccolto>>- che ci si affeziona, con riconoscenza, a queste pagine. Esse, dallo smarrimento iniziale, per briciole di memoria e presente – alcune armoniche, altre dissonanti – mostrano il dentro, il fuori, l’epilogo di un viaggio comune: <<… poi una nuvola è scesa / fino a terra / il Pastore sfinito l’ha raggiunta / per dissetarsi, / seguito da una moltitudine / piena di speranza>>. Viaggio nel contempo intrecciato a un cammino non comune, senza epilogo: quello della scrittura. Che va egualmente affrontato con coraggio, fatica, tenacia: <<Invece di morire / traghetto parole / fino a farne una culla / per le mie ferite // Innalzo una scala dall’abisso / poso piano il piede sul gradino / la mano forte afferra la salita / Dall’alto continui a tuonare // insidi la pazienza / infine ti arrendi al mio avanzare>>. Scrivere poesia, ossia vivere, sembra comporti allora di immergersi nel reale, affidando ai versi l’aspirazione più integra e autentica della propria anima a lievitare, magari nel sonno, nel sogno, come avviene in “A dieci minuti da Urano”, senza cadere in trappole prevedibili, senza eludere la sfida della sostanza.

Carla De Angelis, A dieci minuti da Urano, Fara Editore, 2010 , (pag. 106, 12 euro)

***

Andavo per funghi camminavo piano
osservavo il vento penetrare il bosco

piano per non svegliare
il sonno sotto le foglie

lasciavo i funghi alla terra
andavo per provare l’ansia

di non ritrovare l’uscita
sentire i battiti impazziti

arrampicarsi sui tronchi

***

Inghiottiva il buio
la notte annunciava

lampi di sereno
un giorno buono

per perdonare
incapace di inabissare

la preghiera non detta
Procedo al lato della vita

Scindo il tuo
dal mio dolore

***

Ti racconto del suo sorriso
simile a cristallo-nostalgia

Ti porto negli occhi il nido
Il canto quieto dell’acqua

risalgo il giorno
solo per te

Con un respiro accendo
un falò tra le nuvole

una nube inaspettata si insinua
con pazienza il corpo l’accoglie

gela del tuo dolore
celato da sempre

***

Raccolto il dolore
smussati gli angoli

seppellisco i frammenti
in una buca profonda

Sorda ai battiti del cuore
dalla polvere giunge

la spinta ai passi
Obbedisco ignorando la meta

***

Forse alla poesia conviene
riunire leggende

insinuarsi negli anfratti del passato
fantasticare seguendo il primo verso

Tracce di coraggio
emozioni che si impongono

riordinare con perizia le cose
scrivere senza il peso del cuore

***

Invece di morire
traghetto parole

fino a farne una culla
per le mie ferite

Innalzo una scala dall’abisso
poso piano il piede sul gradino

la mano forte afferra la salita
Dall’alto continui a tuonare

insidi la pazienza
infine ti arrendi al mio avanzare

***

Ho bevuto un bicchiere
né rosso né bianco

era puro arcobaleno
per onorare le tue vigne

Ho imparato a legare i tralci
contare le gemme

raccogliere gocce di sangue
gustare il miele che cola

la voglia nella gola che poi
sale alla testa

Beato quel chicco
nel canto della vendemmia

Beato il piede che lo ha pestato

***

Porto a spasso la bellezza
eppure bella non sono

Serro la pazienza fra le dita
in borsa la realtà di un’ombra

Sempre troppo avanti
troppo indietro

Tento i battiti giusti per ogni passo
per piangere aspetto la pioggia

Mentre si allaga nell’asfalto
l’arcobaleno fra terra e cielo

si muovesse di un passo
troverei il ritmo

Riconoscerei anche dio
senza chiedere a ogni passante
Sei tu?

***

….poi una nuvola è scesa
fino a terra
Il Pastore sfnito l’ha raggiunta
per dissetarsi,
seguito da una moltitudine
piena di speranza



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