Magazine Diario personale

A parziale giustificazione dell’assenza

Creato il 04 novembre 2013 da Lavostraprof

Ho due gatti. O tre. O quattro. Certe volte mi sembra di aver perso il conto.
Li abbiamo tolti dal grande giro della vita che si riproduce (nel senso: loro ci sono, vivi e vegeti, ma non si riprodurranno). Sono stati dimessi lunedì l’altro, prendono antibiotici e una polverina. Stanno bene, credo, ma devo tenerli in casa, confinati, un altro giorno o due, dar loro da mangiare, pulire la cacca, stare attenta che la disgraziata della gatta non faccia pipì ovunque.
Ho tre figli. Una figliola fa per tre, quindi fa sei. Devo portarle da fotografo la pellicola, comprarle del tulle nero, procurarle delle matita 1b, 2b, 3b, 4b, 5b, e delle solette protettivo profumate per i piedi. Un figliolo fa di tutto per farmi dimenticare che, in prima media, era gentile, appassionato, educato, interessato, pulito e intelligente. Stamattina tre quarti d’ora davanti al computer per risolvere un suo problema di cellulare (sapete, quelle cose che dite: guarda che se fai così poi vai sotto zero, e lui dice: na! na!, ho le offerte, ho le offerte, e voi dite: le offerte partono col numero nuovo, con questo provvisorio non le hai e lui dice: na! na!, ho le offerte, e poi va sotto zero così che, quando le offerte devono partire, non partono.
Ho una scuola nuova (più o meno), una DSGA nuova, una Capa nuova, una vicepreside sull’orlo della crisi di nervi che stamattina mi ha sogguardato socchiudendo gli occhi e mi ha sibilato: hai consegnato le programmazioni?, ah, sì.
E io: veramente no, me ne manca una (più tutti i PDP dei DSA e dei BES, che ci sto pensando su, se consegnarli o no).
Ah, e ho una mater che si è spezzata in due (più o meno), così che, da quando è tornata dall’ospedale [*] io (non) dormo a casa sua, convinta che, se mi chiamasse, non la sentirei. Ogni tanto mi sveglio e corro di là e lei è lì che ravana e mi fa: e perché ti sei alzata?
E io: per vedere se avevi bisogno.
E lei: ma ti ho chiamato?
E io: no, ma ho sentito ravanare.
E lei: va’ a letto, va’.
E io vado a letto e ricomincio.
Arrivo a scuola la mattina che sogno di tornare e di dormire.
Ho maglioni ammonticchiati sul letto (quello dove dormirei, se potessi, mentre sono giù a (non) dormire sull’altro), e camicie da stirare, schede film con i giochini da preparare, tre importanti lettere da scrivere ai capintesta per chiedere quando (e se) andrò in pensione, il computer che fa le bizze, l’attività interdisciplinare da preparare e la vita sociale azzerata.
L’unica cosa buona di tutto ciò è che, per forza di inerzia, tutte le verifiche che ho dato la settimana scorsa sono state corrette, impilate, riportate e commentate: almeno quelle non esigevano slanci creativi.
La cosa cattiva è che la Signooora Pumba è tornata.

[*] Se volete informazioni sull’eccellenza della sanità nella mia eccellente regione, son qui che ho ancora la bava alla bocca.



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