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A proposito di collaborazioni

Creato il 09 febbraio 2015 da Chiara Zappacenere @WalkingFashion

Perché se vuoi proporti per delle collaborazioni, almeno prima dovresti metterti il vestito buono.

Tutto parte da una proposta di collaborazione con la mia azienda, arrivata pochi giorni fa da parte di una blogger.
Non ne farò il nome, vi dirò solo che si tratta di un blog in precedenza a me ignoto e che mi causerà incubi nelle prossime settimane, probabilmente: colori stucchevoli, italiano stentatissimo (c’è scritto pò con l’accento nel titolo, per la miseria. Pò.) e, soprattutto, l’EFFETTO NEVE. ROSA.

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Aziende e blogger: attenzione alle collaborazioni! 

Nonostante questo però, il suddetto blog è pieno, strapieno di collaborazioni: evidentemente per una persona (vale a dire io) che risponde picche perché la serietà aziendale vale molto più del “purché se ne parli”, ce ne sono altre cinque che non rifiutano la proposta, nonostante tutto. Il che fa partire una serie di quesiti: le aziende danno almeno una sbirciatina a questi blog? Controllo qualità, anyone? Non credo e non voglio credere di essere l’unica a farsi degli scrupoli.

Dal momento che sono autolesionista e non mi è bastato vedere la neve cadere per dire “ma anche no”, ho voluto ad ogni costo approfondire leggendomi qualche post, ed ecco qua: si tratta di una sequela infinita di collaborazioni, dei generi più disparati: perché si va da quei famosi biscotti usati per la cheesecake alle marmellate, dall’aggeggio per fare la pipì in piedi anche se si è femmine (lo so, lo so) ai siti che vendono arte sacra (giuro), creazioni in fimo (alla parola “orecchine natalizie” volevo morire) fino ai prodotti per pulire casa. Ecco, non so gli altri, ma io non lavoro così. Alla faccia della coerenza poi! Di sicuro io non voglio che la mia azienda finisca in un sito dove si parla di pipì, mi sembra ovvio.

Credo che ora mi sia chiaro perché, soprattutto durante i primi anni di attività del blog, provassi un lieve imbarazzo nel dire che, appunto, tra le mie attività è presente anche quella di blogging. D’altronde se in Italia “blogger” è sinonimo di fancazzista è anche merito di queste collaborazioni poco riuscite, nate perché evidentemente è troppo faticoso prendersi la briga di andare a controllare se il blogger che ha inviato la richiesta è in linea con il target aziendale e se possa essere in grado di apportare un reale beneficio. Magari alle suddette aziende basta vedere il ranking (non escludo che questo specifico blog ed altri altrettanto sfigati abbiano molte visite, ma vi dirò un segreto: è sufficiente spammare. Oppure è molto facile che alle persone venga un colpo durante la visualizzazione dei suddetti blog e diventi improvvisamente incapace di chiudere la pagina, eludendo così l’incubo noto come bounce rate), senza valutare la qualità dei contenuti. E allora preferisco mille volte essere di nicchia, avere un prodotto che di certo non mi può pagare da vivere ma in cui tendenzialmente parlo di quello che mi pare, anche se capita anche a me di collaborare e, a fine giornata, riuscire a guardarmi allo specchio perché no, nemmeno oggi sono stata costretta a parlare di aggeggi per fare la pipì.


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