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A proposito di tecnica e romanzo

Da Marcofre

a proposito di tecnica e romanzo

Un argomento che attira sempre curiosità e attenzione è quello della tecnica e del romanzo. È sufficiente capire questa specie di formula (matematica?), imporla alla materia della storia (informe, confusa), e alla fine otterremo quello che ci serve.
Be’, non proprio.
La scrittrice statunitense Flannery O’Connor scriveva che nelle storie migliori è qualcosa di organico, qualcosa che si sviluppa dal materiale. Non è un elemento esterno che plana, o che noi con i nostri poteri magici imponiamo.
Ovvio a questo punto che la tecnica sarà diversa per ogni storia, lunga o breve, che scriveremo. Una bella faticaccia, vero? E tu pensavi che fosse facile scrivere, giusto?

La tecnica è riflessione

Veniamo a qualcosa di meno teorico. Diciamo che ho una storia molto lunga. La mia speranza è riuscire prima a poi a completarla (prima lavoravo ad altro, l’ho abbandonato). Naturalmente l’incipit è cupo, ma questo è, come dicono gli esperti, quelli che ne sanno, la mia cifra stilistica. Non so cosa voglia dire, però sembra che se si usano queste espressioni, si fa una positiva impressione. Si è un serio blog letterario, insomma.
Uno comincia a leggere l’incipit di qualunque storia scritta dal sottoscritto e immediatamente pensa: “Allegria!”. Perché o c’è qualcosa di tragico, oppure l’atmosfera è tragica perché è già successo qualcosa.
Il romanzo non fa che confermare e rafforzare questa tradizione, spingendola là dove nessuno ha mai osato andare. Be’, quasi!
E questo mi ha spinto a fermarmi a riflettere.
Dal momento che le prime pagine sono tristi, mi sono detto che ci voleva qualcosa per alleggerire l’atmosfera. Occorreva a tutti i costi creare un capitolo che avesse le caratteristiche della lievità. Il lettore in qualche modo deve essere premiato. Acquista il tuo libro (se mai lo farà), inizia a leggere la tua storia, ma non puoi soffocarlo, ucciderlo. Devi anche creare delle oasi, delle zone all’interno della storia dove ci siano situazioni e personaggi che facciano sorridere. O che almeno, distendano l’atmosfera. Tanto lui (il lettore) sa se un po’ ti conosce, che presto o tardi ci sarà: “Pianto e stridore di denti”.

La tecnica è incatenare (e incantamento)

Non solo. Mentre la scena si formava nella testa (attenzione: nella testa, non scrivevo niente), e vedevo l’ambiente, i personaggi, udivo i dialoghi, mi sono reso conto anche di un altro aspetto che mi sarebbe servito. Quella scena aveva in realtà anche un altro scopo. Mostrare al lettore che il protagonista non è quello che sembra, e che ha degli aspetti sconosciuti anche ai suoi amici più cari.
Si tratta di un’esca quindi. Fare in modo che chi legge dica:

Ehi, ma questo perché si comporta così? Perché una faccenda tanto semplice e per nulla grave o imbarazzante come questa, viene tenuta nascosta? Che cosa c’è dietro?”.


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