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A single man, un contagio a colori

Creato il 30 agosto 2014 da Nicola933
di Cinzia Carotti A single man, un contagio a colori - 30 agosto 2014

Titolo originale: A Single Man
Regia: Tom Ford
Cast: Colin Firth, Julianne Moore, Nicholas Hoult, Matthew Goode, Jon Kortajarena
Genere: Drammatico
95 min
2010

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Di Cinzia Carotti. Los Angeles 1962. George è un professore universitario chiuso ormai in un mood ripetitivo delle sue azioni svolte senza reale attaccamento. Dopo la perdita del compagno, morto in un incidente, non riesce a gestire la sua vita condivisa nell’arco lunghissimo di sedici anni. Nemmeno l’aiuto di una carissima amica, Charley, sembra smuoverlo nel suo torpore. L’incontro con lo studente Kenny sembra però incrinare molte delle sue ciniche certezze.

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A single man è la prima prova dietro la cinepresa di Tom Ford, geniale stilista che ha rilanciato nel mondo il marchio di casa Gucci. E’ la trasposizione del romanzo omonimo di Christopher Isherwood, Ci vuole estremo coraggio per misurarsi con una delle pietre letterarie del secolo scorso, soprattutto nel cercare di dare forma alla scrittura fluida, sincopata e rabbiosa dello scrittore inglese. Ma Ford coglie il vero senso di questo grido stilistico: la vita è un luogo, un luogo abitato e abitante.

A single man è un film di oggetti, colori, spazi, suoni, che funzionano come luoghi in cui le vite si incrociano e si separano, in cui il desiderio ha gettato semi e ha consumato esistenze, raccontando dentro un frammento tutte le storie (d’amore) possibili. Non è un film storico sulla condizione omosessuale post bellica, e nemmeno esistenzialista  ma è pura esperienza visiva e uditiva. La sessualità è un dettaglio scontato, è parte stessa della vita di George esattamente come ogni parte anatomica del suo essere che fatica a svegliarsi, fatica ad adattarsi a quel luogo che non vuole abitare da solo. Single non è un attributo sentimentale, George è un singolo, ha perso quella metà, quella completezza che gli rendeva possibile abitare uno spazio tanto vasto quanto l’esistenza stessa.

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La giornata a cui assistiamo, nell’attesa dell’evento catastrofico preannunciato a gesti metodici e regolari dal protagonista, è un’odissea involontaria in cui facciamo scoperta del tempo, dell’attesa e del silenzio. Il tempo non è univoco ma doppio; esiste un tempo umano assolutamente irrilevante utile nella scansione di faccende che sembrano anch’esse prive di senso, e un tempo vitale fatto di istanti che durano decine di minuti in cui tutto si dilata. Emozioni, sapori, odori, visioni, in cui la vita entra prepotente nelle nostre percezioni e annulla il resto vincendo ogni nostro pensiero. George vive la sua vita per quegli istanti, e sembra goderne senza chiedere nulla, ormai è rassegnato al suo destino di single a cui vuole porvi rimedio.

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Di fatto non è un film sulla morte, anche se è la meta verso cui siamo diretti, ma un inno alla vita. Quella sottile, silenziosa, mai premeditata ma improvvisa e impossibile da contenere. La vita dipinta da Ford scardina ogni muro umano, ogni tempo, convinzione e soprattutto vince ogni paura, anche quella della morte e della vita stessa. E’ accompagnata da un linguaggio sensoriale e sensuale. La camera si ferma sui dettagli: bocche, occhi, capelli, atteggiamenti, vestiti oggetti e penetra nella nostra attenzione, veicolata anche delle magistrali musiche di Shigeru Umebayashi (In the mood for Love, 2046). Ma soprattutto la vita è un contagio di colori. I personaggi vivificanti hanno colori caldi, armoniosi che investono George e lo strappano, seppur per brevi istanti, dal suo grigiore imposto e lo fanno risaltare con estrema tenerezza in una nuova giovinezza appena conquistata.

“Nella vita ho avuto momenti di assoluta chiarezza, quando per pochi brevi istanti il silenzio soffoca il rumore e provo un’emozione invece di pensare. Le cose sembrano così nitide e il mondo sembra così nuovo, è come se tutto fosse appena iniziato. Non riesco a far durare questi momenti e io mi ci aggrappo, ma come tutto svaniscono. Ho vissuto la vita per questi momenti, mi riportano al presente e mi rendo conto che tutto è esattamente come deve essere”.

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Il film, esattamente come il libro, ha un unico obiettivo: dirci che la paura (della morte, della vita e del presente) è figlia della nostra mancanza di fiducia. Fiducia nel fatto che davvero le cose sono fuori dal nostro controllo e proprio per questo sono al posto giusto, perché siamo noi a dover andare in contro a loro e non il contrario. La vita arriva sempre come un sospiro di sollievo colorando i nostri momenti melodrammatici, paradossali, tragicomici ma arriva e come dice George “ci rende solo ogni giorno più sciocchi”.

Film girato magistralmente con un montaggio raffinato e potente. La fotografia è semplicemente elegante. In definitiva un film elegante cucito addosso a Colin Firth che vince, nella  66ª Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia, la Coppa Volpi per la migliore interpretazione maschile e il Queer Lion assegnato a Tom Ford.

★★★


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