A volte ritorno

Ultimamente non ho molto tempo per scrivere sul blog, un peccato visto che sto viaggiando parecchio e gli spunti su cui riflettere sono numerosi.
Qualche settimana fa sono tornato in Italia, ma questa volta non per le tagliatelle della mamma, nè per gli stravizi con gli amici; per un reportage del quale “no me quiero acordar”, cioè preferisco non dare dettagli.
Per la prima volta da quando vivo in Spagna, mi sono tuffato, professionalmente, nella realtá italiana. Illustri giornalisti e affermati reporter mi hanno trattato con la cortesia che, solitamente, si riserva a un collega straniero. Il mio italiano si è rivelato, in alcuni casi, balbettante e provato dalla mia lunga istanza spagnola. Ho dormito in un hotel a pochi kilometri da quella che è stata la mia casa per quasi trent’anni. E’ stato paradossale e mi sono lanciato in un vortice di considerazioni sulla mia vecchia vita romana e quella nuova madrileña.
Ma c’è una cosa, che avevo dimenticato del mio paese, che mi ha fatto sentire profondamente a disagio ed indignato. In Italia il giornalista che si mette in contatto con un organismo pubblico o un’istituzione viene trattato come un rompiscatole o all’occorrenza scalciato. Uno scocciatore indiscreto che cerca di rivelare dati privati o investigare eventi che è meglio non vengano alla luce. Si dimentica, nel bel paese, che la trasparenza dovrebbe essere prioritaria per garantire il diritto all’informazione dei cittadini e per dimostrare la pulizia di ció che è pubblico. Qui in Spagna ministeri, segreterie di partito e magistratura si avvalgono di efficenti uffici stampa il cui compito e garantire un flusso corretto e costante d’informazione tra lo stato e i mezzi di comunicazione. In Italia, quasi sempre, mi sono scontrato con un muro di gomma: un’infinitá di ostacoli, cavilli burocratici, lungaggini e, soprattutto, diffidenza.

L’italia è un paese segretista e opaco, parafrasando un bel film dei fratelli Coen: Non è un paese per giornalisti.