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A.A.A. Terminetor da museo cercasi

Creato il 25 gennaio 2015 da Albertocapece

Terminator Salvation: The Future BeginsAnna Lombroso per il Simplicissimus

Per la presidenza della Grecia si parla di Costa Gavras, il regista di Zeta, dell’Amerikano, un intellettuale “impegnato” che gode di prestigio internazionale.

Da noi purtroppo sono morti Olmi, Pontecorvo, Rosi, Monicelli, Lizzani, improbabile la candidatura dei fratelli Taviano anche se two it’s meglio che one, e per lo stesso motivo quella dei fratelli Vanzina. Resta il rottamatore del cinema d’autore Muccino, che, anche se è affetto dalla pecca di non essere toscano,  ha comunque girato un film a Hollywood, e quindi vanta una fama  estera a differenza di Pieraccioni.

Perché si tratta di un atout irrinunciabile per un ceto dirigente di provinciali, che persegue il cosmopolitismo  tramite il gergo delle convention e gli inglesismi del marketing di fondi e assicurazioni farlocche, che immagina l’internazionalismo attraverso la delocalizzazione di impianti e fabbriche, che è persuaso che per mondialismo si intenda la doverosa imposizione bellica del modello imperialista occidentale, e che è convinto che  universalismo significhi l’uniformarsi a un pensiero unico e a una teocrazia monolitica, quella del profitto, dello sfruttamento, della supremazia del “Mercato”.

E ne sono  così suggestionati che dopo aver ceduto sovranità in cambio di un dispotico commissariamento, dopo aver svenduto a emiri, tycoon di improbabile nazionalità coste, isole, paesaggi, dopo aver fatto colonizzare l’economia da finanzieri e multinazionali venuti da fuori fino al totale entusiastico esproprio,  hanno deciso di concedere in gestione a “sacerdoti” del dio mercato esteri la ricchezza più preziosa, più “nostra”, il nostro patrimonio culturale e artistico. In modo che diventino realtà tutti gli slogan del coglionario sperimentato in quel laboratorio perverso che è diventato Firenze: i musei devono essere macchine per far soldi; non ci sono quattrini pubblici per la manutenzione, largo dunque a munifici sponsor,  le bellezze artistiche sono il nostro petrolio, facciamolo fruttare.

“A.A.A. L’Italia cerca nuovi direttori per suoi più importati musei”, recita  l’annuncio che è comparso sul sito del New York Times e tra le offerte di lavoro di The Economist   e di altre testate internazionali. La Galleria degli Uffizi di Firenze,  la Galleria Borghese di Roma, il Palazzo Reale di Genova, il Palazzo Ducale di Torino,   la Reggia di Caserta,  la Pinacoteca di Brera e perfino l’area archeologica di  Paestum aspettano l’arrivo di un  salvifico papa nero   attraverso una chiamata internazionale.

I candidati, ai quali non è richiesta la padronanza dell’italiano, poco conosciuto, parlato e scritto, da innumerevoli  politici che gli preferiscono un inglese imparaticcio o un sanguigno vernacolo, dovranno esibire una laurea ma non si esige un excursus  studiorum in storia dell’arte. Saranno prioritari invece piglio manageriale, competenze di marketing, esperienza nella gestione commerciale di istituzioni culturali, attraverso l’individuazione e coinvolgimento di sponsor e il fundraising presso soggetti privati.

L’intento manifesto e rivendicato con orgoglio è quello di  affidare il nostro bene comune a manager che ne esaltino la qualità di merce e ne moltiplichino il valore commerciale, limitando competenza e governo pubblico, moltiplicando il potere di decisione e i profitti di finanziatori privati, individuati già de tempo e cui sono già stati elargiti comodati e prestiti, affitti facilitati, concessioni disinvolte, noleggi sconcertanti: cene sociali a Ponte Vecchio, sfilate di intimo in Gipsoteca, convention con rinfresco a Santa Maria Novella, Colosseo ripittato secondo i gusti dello scarparo, partite di golf in Sala della Lettura.

Per carità, magari i possibili candidati potranno vantare un curriculum almeno alla pari con quello   della Dottoressa Carmela Valdievis nominata alla guida dei musei e degli eventi culturali di Firenze, dopo aver maturato una notevole esperienza in qualità di responsabile dei cimiteri cittadini. O con quello dei dirigenti che hanno riconfermato un precariato punitivo dei tre bibliotecari che hanno salvato la Biblioteca dei Girolamini di Napoli, oggetto di un piano criminale messo in atto da un responsabile ex consigliere di ben due ministri, Galan e Ornaghi.

Per carità, non potremo pretendere troppo da direttori-manager che guadagneranno  dai 78 mila a 145 mila euro l’anno rispetto al loro omologo del Moma che si mette in tasca un milione di dollari e se si presteranno a qualche affaruccio privato, vorrà dire che si sono integrati bene nello spirito nazionale.

Per carità, le basi di questo disegno scellerato hanno radici lontane: l’apertura ai privati generata dalla Legge Ronchey, che istituiva i cosiddetti ‘servizi aggiuntivi’  dei musei (caffetterie e librerie) stabilendo che la loro gestione venisse «affidata in concessione … a soggetti privati», il consolidamento di una pratica di “prestiti” inopportuni, di noleggi imprudenti,  come successe con la   Cappella della Sindone, distrutta da un incendio scoppiato nelle cucine installate negli adiacenti locali del Palazzo Reale in preparazione della cena offerta da Dini e Agnelli a ospiti stranieri in visita a Torino. Ma il nostro governo esterofilo dovrebbe, prima di assumerli, stare a sentire il parere di quei direttori di prestigiosi megamusei internazionali: sono proprio loro a ribadire il ruolo irrinunciabile dello Stato, insieme all’attuazione di iniziative che incentivino il turismo culturale e a regimi fiscali che promuovano l’intervento di mecenati, invogliati a investire anche senza immediate ricadute “pubblicitarie”.

Per carità, è proprio in nome di una carità pelosa comprata attraverso la privatizzazione temporanea ma non del tutto, dei nostri gioielli più preziosi, acquisita con comodati trentennali che permettono l’uso commerciale di simboli inestimabili, confermata attraverso una sudditanza docile ai capricci di sponsor e finanziatori, che si sono lasciati andare in rovina i nostri beni, perché diventassero oggetto di appetiti, prede di un saccheggio reso inevitabile dall’emergenza di un disfacimento nutrito grazie alla trascuratezza, all’indifferenza, alla prevalenza della bruttezza, all’egemonia dell’ignoranza.

 


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