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Aboliamo il congiuntivo una volta per tutte!

Creato il 06 febbraio 2013 da Laperonza

 

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Che noia 'sto congiuntivo. Ma a che serve? Solo a complicarci la vita, a farci diventar matti con le concordanze, con le ipotetiche. Ma togliamolo, che non è utile, complica le cose, ci rallenta e noi non possiamo rallentare. Congiuntivo e condizionale vanno aboliti, per legge, cancellati dalla faccia della terra. Voglio dimostrare la loro inutilità qui sotto con tre stralci di grandi classici. Ho tolto congiuntivi e condizionali e, mi pare, non sia, pardon, è cambiato niente. O no?

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ALESSANDRO MANZONI – PROMESSI SPOSI

Quel ramo del lago di Como, che volge a mezzogiorno, tra due catene non interrotte di monti, tutto a seni e a golfi, a seconda dello sporgere e del rientrare di quelli, vien, quasi a un tratto, a ristringersi, e a prender corso e figura di fiume, tra un promontorio a destra, e un'ampia costiera dall'altra parte; e il ponte, che ivi congiunge le due rive, par che rende ancor più sensibile all'occhio questa trasformazione, e segna il punto in cui il lago cessa, e l'Adda rincomincia, per ripigliar poi nome di lago dove le rive, allontanandosi di nuovo, lascian l'acqua distendersi e rallentarsi in nuovi golfi e in nuovi seni. La costiera, formata dal deposito di tre grossi torrenti, scende appoggiata a due monti contigui, l'uno detto di san Martino, l'altro, con voce lombarda, il Resegone, dai molti suoi cocuzzoli in fila, che in vero lo fanno somigliare a una sega: talché non è chi, al primo vederlo, purché sia di fronte, come per esempio di su le mura di Milano che guardano a settentrione, non lo DISCERNE tosto, a un tal contrassegno, in quella lunga e vasta giogaia, dagli altri monti di nome più oscuro e di forma più comune. Per un buon pezzo, la costa sale con un pendìo lento e continuo; poi si rompe in poggi e in valloncelli, in erte e in ispianate, secondo l'ossatura de' due monti, e il lavoro dell'acque.

 

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FOSCOLO – I SEPOLCRI

ll'ombra de' cipressi e dentro l'urne

confortate di pianto è forse il sonno

della morte men duro? Ove piú il Sole

per me alla terra non feconda questa

bella d'erbe famiglia e d'animali,

e quando vaghe di lusinghe innanzi

a me non danzeran l'ore future,

né da te, dolce amico, udrò piú il verso

e la mesta armonia che lo governa,

né piú nel cor mi parlerà lo spirto

delle vergini Muse e dell'amore,

unico spirto a mia vita raminga,

qual fia ristoro a' dí perduti un sasso

che distingue le mie dalle infinite

ossa che in terra e in mar semina morte?

Vero è ben, Pindemonte! Anche la Speme,

ultima Dea, fugge i sepolcri: e involve

tutte cose l'obblío nella sua notte;

e una forza operosa le affatica

di moto in moto; e l'uomo e le sue tombe

e l'estreme sembianze e le reliquie

della terra e del ciel traveste il tempo.

 

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Giovanni Verga – Rosso Malpelo

Malpelo si chiamava così perché aveva i capelli rossi; ed aveva i capelli rossi perché era un ragazzo malizioso e cattivo, che prometteva di riescire un fior di birbone. Sicché tutti alla cava della rena rossa lo chiamavano Malpelo; e persino sua madre, col sentirgli dir sempre a quel modo, aveva quasi dimenticato il suo nome di battesimo.

Del resto, ella lo vedeva soltanto il sabato sera, quando tornava a casa con quei pochi soldi della settimana; e siccome era malpelo c'era anche a temere che ne sottraeva un paio, di quei soldi: nel dubbio, per non sbagliare, la sorella maggiore gli faceva la ricevuta a scapaccioni.

Però il padrone della cava aveva confermato che i soldi erano tanti e non più; e in coscienza erano anche troppi per Malpelo, un monellaccio che nessuno aveva voluto vederselo davanti, e che tutti schivavano come un can rognoso, e lo accarezzavano coi piedi, allorché se lo trovavano a tiro.


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