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Achille Starace e la morte gloriosa

Creato il 31 gennaio 2011 da Cultura Salentina
Achille Starace e la morte gloriosa

Achille Starace

1.L’uomo che inventò lo stile fascista.

In quella fredda primavera milanese del 1945 (l’inverno non sembrava mai finire e non c’erano più merli a fischiare sugli alberi), un uomo non più giovane (aveva cinquantasei anni), ma ancora integro, agile e affilato come un pugnale, era disciplinatamente in coda alla fila delle mense di guerra, i tavoli collettivi istituiti dal comune di Milano. La fila era, come sempre, molto lunga, ma lui aspettava il suo turno con infinita pazienza. Pensava che forse non era inutile tanta fatica, tanta umiliazione, tanta tristezza, tanta solitudine, tanto dolore. Qualcosa sarebbe pur accaduto, prima o poi. Ma in quella situazione gravissima di crisi alimentare, e di assoluta deficienza di viveri, solo con le rumorose mense di guerra, molta gente poteva in città evitare la fame. Tra questa folla di persone sconosciute, tra questa massa di gente affamata, c’era anche lui, che era stato l’uomo più potente d’Italia, dopo Mussolini: Achille Starace, il segretario del Partito Nazionale Fascista, l’ombra del duce, il mastino e insieme il regista del regime, l’uomo che inventò lo stile fascista, – scrive, nella sua biografia, Antonio Spinosa, ma anche l’uomo più odiato e criticato d’Italia, ribatte Renzo De Felice.

Odiato da tutti: ad iniziare dai fascisti, in particolare da quei gerarchi che passavano gran tempo a grattarsi nel tessuto autarchico dell’orbace, la lana grezza sarda, e dovevano far ginnastica obbligatoria, nonostante le pancette e i muscoli flaccidi. Ma anche afascisti e antifascisti, anziani e giovani, donne e bambini, lo odiavano per averli molestati e perseguitati per un decennio col saluto al duce e quello fascista, l’abolizione del lei e il sabato fascista, la premilitare, le evoluzioni ginniche e i salti nei cerchi di fuoco, le adunate e le cartoline-precetto, le divise d’orbace e i capi-fabbricati spioni. “Tutto possono perdonare gli italiani, -scriverà Galeazzo Ciano sul suo Diario, – tranne chi rompe loro i coglioni”.

Caduto in disgrazia agli occhi del Duce, che l’aveva cacciato da palazzo Littorio privandolo di ogni carica e ogni onore, Starace veniva rappresentato come una sorta di capro espiatorio di tutte le ridicolaggini, le buffonerie, le cadute, i rovesci e le disfatte del partito, e dell’Italia intera. ”Prima ancora dei tedeschi, – scrisse Alessandro Lessonala rovina del regime è da attribuirsi a Starace”.

In realtà – dice Spinosa – fu una sorta di Pavlov del fascismo, e pensò che per organizzare militarmente il popolo e tenerlo legato alle regole di un automatismo burocratico, bisognasse sottoporlo, minuto per minuto, giorno per giorno, settimana per settimana, a una ferrea disciplina ripetitiva, che a lui non pesava affatto, essendo militare e ginnasiarca per vocazione.

E comunque il bersagliere di Gallipoli fu solo un fedele e cieco strumento nelle mani di Mussolini, che l’aveva fatto salire alle stelle e poi gettato nelle stalle, nella polvere e nell’ignominia, dopo dieci anni di servizi e dedizione assoluta, in cui aveva sviluppato il proprio istinto narcisistico-teatrale, evidenziando i propri limiti in quanto a cultura e sensibilità estetica, nonché le proprie infantili vanità. Ma il tutto faceva parte dell’apparato fascista, rozzo, maschilista, becero, aggressivo, pragmatico. Eccolo allora in atteggiamenti trionfalistici, o comunque pieni di sé, nelle varie riunioni, o a bordo di navi, ai concorsi ippici, nelle gare di nuoto o di sci ; alle mostre d’arte, alla Lega Navale, o stringere la mano del Fuhrer, sempre virilmente compiacente e compiaciuto di sé stesso, e di rappresentare il duce e il fascismo. Mai pensò, neppure per un attimo, di poter un giorno diventare lui il Capo. Lui aveva bisogno del “Capo”, verso cui nutriva una vera e propria forma di idolatria. Tutto doveva ruotare intorno al Duce, come in un sistema eliocentrico copernicano. Nella cosmogonia fascista, il sole era fascista – come disse Leo Longanesi – e il duce era il sole, il duce aveva sempre ragione, il duce era infallibile, il duce era Dio in terra. E Starace ne era convinto quando lo proclamava ai quarantadue milioni di italiani, costretti ad ascoltare i suoi discorsi enfatici, strampalati e pieni di sgrammaticature. Non si stancava mai di ripetere : “Italiani, siate orgogliosi di vivere nel tempo di Mussolini!

Per dieci anni questo “caporale di scarsa intelligenza e cultura” era stato il suo “cretino obbediente”, come molti hanno scritto, e tuttavia chi gli successe nella guida del partito (Carlo Scorza) non è che abbia fatto meglio di lui, anzi, come evidenziò l’autorevole Mario Pannunzio sulle pagine di “Mondo”, proponendo anche la possibilità di una “cauta rivalutazione” della figura e dell’opera di Achille Storace nel quadro storico dell’Italia fascista, cosa che non è stata fatta neppure nella sua terra d’origine, il salento. Anzi, se escludiamo un gruppo di oscuri fedelissimi volonterosi di Sannicola, probabilmente gli stessi che ne reclamarono le spoglie, nel 1957, per allestire, a proprie spese, nel piccolo cimitero di quel paese “fantasma” (Il libro sulla “Puglia” del Touring Club Italiano, ediz. 2005, Milano, non lo include neppure tra i paesi esistenti in quella regione) in cui Starace nacque , una modesta lapide con il nome, la data di nascita e morte, e una umile cappelletta, nessuno si ricorda più “don” Achille, come lo chiamavano a Gallipoli e dintorni.

»continua

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