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Acqua e gas in Asia Centrale, una situazione preoccupante

Creato il 15 settembre 2014 da Pietro Acquistapace
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Deserto del Karakum – Turkmenistan

Acqua e gas sono due elementi sempre più centrali nella geopolitica centroasiatica, due elementi per il cui controllo gli scontri tra le cinque repubbliche ex-sovietiche rischiano di essere sempre più aspri. Gli stati dell’Asia Centrale sono costretti ad una convivenza forzata sia per la distribuzione delle risorse, sia per l’interdipendenza delle loro economie, retaggio di una “geometrica” politica staliniana volta a rendere impossibile la piena autonomia delle entità centroasiatiche. Nonostante l’esigenza di collaborazione gli attriti sembrano invece aumentare in maniera esponenziale, preoccupando gli investitori presenti nella regione, la Cina su tutti.

L’acqua

Dire acqua in Asia Centrale significa dire Tagikistan. Dalle cime del Pamir scende infatti un terzo (secondo alcune stime il 50%) di tutta l’acqua centroasiatica. Nonostante questa ricchezza gran parte della popolazione tagika ha problemi di accesso alle risorse idriche, disponibili soltanto per il 20% degli abitanti delle campagne, a fronte del 90% per quanto riguarda gli abitanti delle città. Se si considera che il 73% della popolazione vive in aree rurali la situazione si rivela subito seria, tanto più che i progetti presentati dalle autorità per affrontare il problema sembrano assolutamente insufficienti, quando non meramente “elettorali”. Nelle intenzioni di Dushanbe il 70% di tali progetti dovrebbe essere coperto da fondi privati, che tardano ad arrivare a causa del disinteresse degli investitori.

Come se non bastasse l’alto tasso di crescita della popolazione in Asia Centale rende l’acqua un bene sempre più prezioso, e richiesto. All’acqua tagika guardano in molti, anche il lontano Iran, che sta progettando di importare acqua dal Tagikistan alla regione iraniana del Khorasan. Di questo progetto si parla da anni, un accordo del 2007 avrebbe dovuto realizzarsi nel 2013, ma così non è avvenuto. Le difficoltà sono infatti molte, come molte sono le proposte per realizzare tale progetto. Si parla di una condotta che porti l’acqua dal lago Saez (nato da un terremoto nel 1911 ed in piena zona sismica), ma anche del trasporto via rotaia (tramite l’Afghanistan). L’Iran è disposto a scambiare acqua con petrolio, tanto risulta pressante il suo bisogno idrico, proposta fatta al Tagikistan anche dal Kuwait.

L’idea di tagika di realizzare una serie di dighe sta inoltre allarmando tutta la regione, in primis l’Uzbekistan i cui campi di cotone sono strettamente legati all’acqua tagika. Tashkent accusa il Tagikistan di voler strozzare l’economia uzbeka, denunciando le possibili conseguenze per la popolazione. A loro volta i tagiki dicono che la penuria d’acqua che grava sui cittadini uzbeki sarebbe causata dal loro stesso governo che sottrarrebbe l’acqua per favorire le produzioni di cotone. In realtà le condotte che portano l’acqua dal Tagikistan, risalenti ai tempi dell’Unione Sovietica, accusano numerose perdite per via delle le loro cattive condizioni.

Anche i recenti scontri tra kirghisi e tagiki possono essere ricondotti all’acqua. Le ostilità sarebbero infatti iniziate per il tentativo tagiko di portare delle tubature nell’enclave di Vorukh. Nonostante l’esistenza di progetti comuni ai due governi per la realizzazione di impianti idrici – con assistenza giapponese – relativi ale acque del Syrdarya e dell’Amudarya, i rapporti tra Tagikistan e Kirghizistan sono sempre più tesi, con Bishkek che accusa le autorità tagike di avere pianificato i disordini, costati anche alcune vite umane. Situazione che non piace per nulla ad uno dei grandi attori della regione, ossia la Cina, che nell’area ha fatto importanti investimenti.

Il gas

Come ormai è noto, quando si parla di gas, di petrolio e di idrocarburi in genere, il pensiero corre al colosso cinese ed alla sua fame energetica. L’Asia Centrale è direttamente legata alla decisione di Pechino di “riaprire la Via della Seta”, ossia di sviluppare quelle rotte commerciali continentali che possano portare le sue merci, ed il suo denaro, verso ovest, evitando quel mare di tensioni che è diventato il Mar Cinese Meridionale. In tema di questioni energetiche il cuore pulsante dell’economia cinese in Asia Centrale si chiama Central Asian Gas Pipeline (CAGP), che vide la luce nel 2009 con il compito di portare in Cina il gas turkmeno.

Per questo progetto Pechino ha prestato 3bilioni di dollari al Turkmenistan e 10bilioni di dollari al Kazakistan, l’intenzione è infatti di farne una vera e propria arteria vitale centroasiatica. I progetti cinesi prevedono la creazione di varie diramazioni, tra cui una che dovrebbe passare per Kirghizistan e Tagikistan, con scopi sia economici che politici. Da un lato la nuova pipeline aumentare il flusso di gas in uscita dal Turkmenistan, dall’altro renderebbe la Cina meno legata a paesi produttori come Uzbekistan e Kazakistan puntando invece su due paesi energeticamente dipendenti dalle importazioni, anche se recentemente il Tagikistan ha scoperto di avere delle riserve nel suo sottosuolo.

Da un punto di vista geopolitico Pechino ha tutto l’interesse a guardare con sospetto un paese “voltagabbana” come l’Uzbekistan, ma anche ad essere diffidente con il Kazakistan, dietro al quale si potrebbero nascondere frizioni con Mosca. Meglio rivolgersi a realtà come il Tagikistan con il quale i rapporti commerciali sono cresciuti del 6000% in circa 10 anni (da 32milioni di dollari annui a 2bilioni di dollari). La Cina è presente nel progetto della diga di Rogun, la più alta del mondo e tanto odiata dagli uzbeki. Intere zone del Tagikistan vedono una fortissima presenza di attività cinesi: la zona ad economia speciale di Dangara, la provincia di Khatlon e l’area del passo Chormagzak.

I cinesi tuttavia non sono per nulla contenti delle contese che dividono i paesi centroasiatici, a partire dalla questione di Vorukh. Gli investimenti economici, che coinvolgono più stati, potrebbero infatti impantanarsi nelle diatribe e negli odi etnici, registrando così notevoli perdite. La presenza di numerosi lavoratori cinesi potrebbe addirittura peggiorare tali scontri, aggiungendo un nuovo motivo di tensione. Si sono infatti già registrate, in Kighizistan, agitazioni della popolazione locale contro gli immigrati dalla Cina, rendendo la situazione esplosiva. Tutto questo non fa che rendere più acuti i problemi legati alla realtà centroasiatica, dove l’unica strada possibile, proprio la meno percorsa, sembra essere quella della collaborazione.

Fonte immagine Flickr


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