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Addio MESSENGER: la sonda ha impattato sulla superficie di Mercurio

Creato il 01 maggio 2015 da Aliveuniverseimages @aliveuniverseim

Ieri sera, alle 21:26 ora italiana, il team del Johns Hopkins University Applied Physics Laboratory (APL) in Laurel, Maryland, ha confermato che la sonda MErcury Surface, Space ENvironment, GEochemistry, and Ranging ( MESSENGER) ha impattato sulla superficie di Mercurio come previsto, poco più a nord del bacino Shakespeare.

Io, insieme a molti altri, ho seguito la fine della missione via Twitter, dove una valanga di saluti hanno accompagnato gli ultimi minuti e, su https://eyes.nasa.gov/dsn/dsn.html dove, al Deep Space Network ( DSN) della NASA, la Station 15 di Goldstone ha mantenuto il collegamento fino alla fine. La conferma dello schianto, per la squadra di Terra, è avvenuta qualche minuto più tardi, alle 21:40 ora italiana, quando non è stato ricevuto più alcun segnale.

Addio MESSENGER: la sonda ha impattato sulla superficie di Mercurio

Anche per MESSENGER, l' ultimo saluto via Twitter:

Well I guess it is time to say goodbye to all my friends, family, support team. I will be making my final impact very soon.

- MESSENGER (@MESSENGER2011) 30 Aprile 2015

Lanciata il 3 agosto 2004, la sonda si era inserita in orbita intorno a Mercurio il 18 marzo 2011, completando i suoi obiettivi scientifici primari entro marzo 2012 e guadagnandosi ben due proroghe.

Il mese scorso, ormai a corto di propellente, il team aveva iniziato a sfruttare tutte le risorse a disposizione intraprendendo una campagna a bassa quota, con orbite comprese tra i 5 ed i 35 chilometri sopra la superficie del pianeta che hanno restituito immagini e dati senza precedenti.

Il 28 aprile era stata eseguita l'ultima correzione orbitale possibile, fino a quando la sonda non ha più potuto resistere alla forte attrazione gravitazionale del Sole ed è piombata sulla superficie di Mercurio ad una velocità di 3,91 chilometri al secondo, scavando un nuovo cratere di 16 chilometri di diametro.

"Il nostro veicolo ha stabilito un record di flyby planetario, ha passato più di quattro anni in orbita intorno al pianeta più vicino al Sole ed sopravvissuto al calore ed alle dosi estreme di radiazioni", ha dichiarato Sean Solomon, ricercatore principale di MESSENGER e direttore del Lamont-Doherty Earth Observatory della Columbia University, nel report. "Tra i vari successi, MESSENGER ha determinato la composizione della superficie di Mercurio, ha scoperto la sua storia geologica, ha scoperto che il suo campo magnetico interno è spostato rispetto al centro del pianeta, ci ha mostrato l'insolita struttura interna, ha eseguito un inventario chimico dela sua esosfera a seconda delle stagioni e delle ore del giorno, ha scoperto nuovi aspetti della magnetosfera straordinariamente attiva ed i depositi polari di ghiaccio d'acqua. Ha superato tutte le aspettative e consegnato un lungo elenco di scoperte che hanno cambiato le nostre conoscenze, non solo di uno dei pianeti vicini alla Terra ma dell'intero Sistema Solare".

Dato che l'impatto è avvenuto sul lato opposto di Mercurio rispetto a noi, nessun telescopio da Terra ha potuto cogliere l'evento in diretta, mentre i telescopi spaziali non avrebbero potuto osservare il pianeta a causa della sua vicinanza al Sole, un 'esposizione che danneggerebbe l'ottica ed i sensibili strumenti.

Nel futuro c'è BepiColombo, attualmente in fase di sviluppo da parte dell'Agenzia Spaziale Europea ESA e della Japan Aerospace Exploration Agency JAXA che, quando entrerà in orbita intorno a Mercurio nel 2024, potrebbe identificare il cratere lasciato da MESSENGER.

Qui sotto, la prima e l'ultima immagine ripresa da MESSENGER nel corso della sua missione: a sinistra, il primo scatto ottenuto 11 giorni dopo l'ingresso in orbita del 18 marzo 2011; a destra, l'ultimo scatto di ieri, 30 aprile, che mostra una parte della superficie all'interno del cratere Jokai di 93 chilometri di diametro.

Addio MESSENGER: la sonda ha impattato sulla superficie di Mercurio

Credit: NASA/Johns Hopkins University Applied Physics Laboratory/Carnegie Institution of Washington


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