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Affare di chi?

Creato il 27 novembre 2011 da Ilpescatorediperle
"L'affaire d'un seul est l'affaire de tous" ("l'affare, la causa di uno è l'affare, la causa di tutti").Questa frase fu pronunciata dallo statista francese George Clemenceau ai tempi dell'affaire Dreyfus. Essa indica, evidentemente, la rilevanza pubblica di una questione, di un caso personale (nello specifico, quello dell'ufficiale Alfred Dreyfus ingiustamente accusato di alto tradimento) e di conseguenza il dovere di occuparsene, non solo a favore di una terza persona, ma in nome di tutti. Secondo Hannah Arendt, che è più volte tornata su questa affermazione, Clemenceau avrebbe così espresso il principio cardine, la stessa ragion d'essere di una repubblica, individuando uno spazio politico in quella dimensione condivisa in cui ciascuno fa il suo ingresso pronunciando parole e compiendo atti che riguardano tutti che è il mondo comune.A ben vedere la frase di Clemenceau si presta anche alla lettura opposta. Essa infatti fissa strettamente l'individuale e il comune tramite un verbo, il verbo essere, che dà per scontate, che passa sotto silenzio una serie di questioni - per cominciare, di quale affare, di quale causa si sta parlando. Ma si tratta in ogni caso di un principio, che è naturale abbia una forma generale. Ora, proprio per questo, se di principio si tratta e se dunque appare legittimo staccarlo dal suo contesto storico e considerarlo in quanto tale, esso pare indicare una strada, senza però dirci esattamente in quale direzione percorrerla. Se da un lato Clemenceau intendeva evidentemente portare un'offesa dei diritti di un individuo al significato pubblico, universale della loro violazione, dall'altro nulla vieta di pensare che possa verificarsi il movimento opposto: che cioè l'individuo, per uno scopo personale, finisca per attrarre nella sua orbita e per fagocitare, liquidandola, l'intera sfera pubblica. Quello che possiamo chiamare personalizzazione del politico potrebbe anche avvenire sotto le mentite spoglie di una rivendicazione fatta a nome di tutti. Quando ciò accade (non vale ovviamente la relazione inversa) spesso il rivendicante e l'offeso coincidono. Laddove Clemenceau non si mobilitò per salvare se stesso ma per porre un problema politico a proposito di un caso che riguardava una terza persona, che probabilmente nemmeno conosceva prima che ne scoppiasse l'affaire.In effetti, l'immagine della strada forse non aiuta molto: in relazione ad essa è facile distinguere una direzione di marcia e l'altra, mentre questo problema è piuttosto un problema di soglia, nel senso che, diciamo, non è sempre facile dire fino a che punto una rivendicazione sia personale, addirittura privata, e fino a che punto il fatto di porre un problema individuale possa rivestire un significato politico. Sta di fatto che la personalizzazione c'è, esiste, ed è un grosso rischio per la democrazia: diventare il teatro di una serie di interessi personali spacciati per questioni comuni.
Questo può essere anche un piccolo contributo per pensare questi ultimi anni italiani. Cercare di leggerne gli avvenimenti sotto il profilo dello sconquasso della dimensione pubblica operato dall'emergere senza mediazioni (non credo che "prima" ciò non avvenisse, ma avveniva in modo più mediato) di interessi personali, di questioni private, spesso presentate come problemi politici che interessano tutti. Non è certo un'idea nuova.Io credo però che bisognerebbe andare oltre il più grande rappresentante di questa tendenza, l'ex primo ministro. Molti accanto a lui, spesso anche suoi avversari, se ne sono resi partecipi. E' sufficiente chiedersi se quella che magari viene presentata come una nobile causa sia esercitata davvero a nome di tutti o soltanto per conto proprio. La tendenza va vista dunque nel suo insieme. Se lo facessimo, potremmo forse giungere a pensare che, piuttosto che un ingresso senza mediazioni di interessi personali sulla scena pubblica, la personalizzazione abbia rappresentato, al contrario, la privatizzazione del politico: non l'affare di uno è diventato affare di tutti, ma gli affari di tutti sono stati completamente sostituiti dall'affare di uno (di alcuni "uni", cioè di pochi). Non è il pubblico che è stato invaso dal privato, ma il privato che ha prima risucchiato e poi quasi completamente sostituito il pubblico. Siamo arrivati a pensare che tutto ciò che esula dall'interesse personale (che esso sia far quattrini, non essere perseguito penalmente, poter condurre un programma televisivo ecc.) non è una dimensione essenziale della nostra vita, ma qualcosa che la mette a repentaglio. L'atomismo, più che l'individualismo, che caratterizza molti aspetti della società italiana (credere di poter essere legge a se stessi, credere che la soluzione del proprio problema sia prioritaria rispetto a qualunque altra sfera di interesse giuridico, economico, politico, sociale ecc., credere di potersi autodeterminare in barba ad ogni forma statuale) è dunque il risultato e al contempo la causa di questo fenomeno di decadenza della politica che è la sua personalizzazione-privatizzazione.La strada per uscirne è ritrovare il senso profondo della frase di Clemenceau: perché l'affare di ciascuno possa avere dignità deve essere espresso in una forma di pubblica, comune rilevanza. L'affare di uno deve avere presente l'orizzonte comune entro cui si trova ad abitare, oltre il recinto del particulare, oltre l'individualizzazione della cosa di tutti.
Affare di chi?da TEMPI FRU FRU http://www.tempifrufru.blogspot.com

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