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Ai firmatari della “Lettera al papa contro il massacro degli agnelli a Pasqua”

Creato il 29 marzo 2013 da Alphaville

Grazie a Rita Ciatti, la famosa “Lettera” è stata recapitata in Vaticano. A questo punto, non resta che aspettare gli eventuali sviluppi e, per quanto mi riguarda, ringraziare, commentare e concludere.

Ringraziare

Naturalmente ringrazio tutte le persone che hanno firmato — e sono, oltre a me, 223 da tutta Italia; ma particolarmente desidero ringraziare coloro che hanno firmato, per così dire, a scatola chiusa: ovvero senza conoscermi di persona e senza porsi/pormi domande di alcun tipo, ma basandosi esclusivamente su quello che ho scritto — a riprova del fatto che l’incontro su un terreno comune è possibile, come sostengo da molti anni.

Come ho detto, in 223 si sono uniti a me in quest’avventura epistolare che mai avrei pensato di intraprendere e che non avrei mai immaginato potesse riscuotere quello che considero un notevole successo: perché l’idea mi è venuta da un giorno all’altro, perché ne ho parlato in cerchie molto ristrette, e perché il tempo della raccolta firme è stato veramente poco. Eppure ho ottenuto un riscontro di tutto rispetto, perché l’insieme dei firmatari costituisce un autentico microcosmo: hanno firmato giovani e meno giovani, credenti e non credenti, studenti e docenti, casalinghe, giornalisti, intellettuali, artigiani, professionisti, operai, negozianti, provenienti dalle più disparate esperienze esistenziali e politiche, ma tutti uniti da un medesimo intento — battersi per porre fine a uno dei massacri più insensati perpetrati dall’uomo nel nome di una “tradizione” da sempre crudelissima e perdipiù ormai del tutto priva di senso

Così, ringrazio sentitamente quelle persone con le quali, in passato, c’è stato qualche problema di comunicazione: e che in questa occasione, invece, mi hanno dato la loro piena disponibilità e si sono attivate per raccogliere altre firme. A dimostrazione del fatto che il dialogo paga — sempre.

Infine, poiché non si trattava di una petizione, hanno potuto firmare anche dei minorenni: segnatamente, diversi allievi della classe ginnasiale V A presso il Liceo Classico “Omero” di Milano, insieme alla loro insegnante di Lettere. Li ringrazio con speciale fervore, perché saranno le donne e gli uomini di domani: a loro vorrei consegnare non dico un mondo migliore, ma perlomeno e soprattutto una diversa consapevolezza del vivente.

Grazie a tutti, dal profondo del cuore.

Commentare

Al di là di quello che sarà il riscontro effettivo della lettera — che potrà essere letta oppure no, meritare una risposta o venire ignorata — mi sembra che la stessa possa costituire uno spunto interessante per alcune riflessioni sulle ragioni che mi hanno spinto a scriverla. In tutta sincerità, se l’attuale pontefice non fosse Francesco I dubito molto che mi sarei presa la briga di indirizzargli una lettera. Ma poiché bisogna cogliere l’attimo, mi è sembrato opportuno profittare dell’inattesa apertura di papa Bergoglio per tentare di avviare un sereno confronto.

Il che ha scatenato una serie di critiche che elencherò di seguito, suddividendole per argomenti.

Argomento del nemico
“Col nemico non si parla”: in sintesi, è quanto mi sono sentita dire da alcuni a cui avevo sottoposto il testo della lettera. “Non firmo perché il Vaticano va raso al suolo”, “non firmo perché non tratto con certa gente” (qui “certa gente” è un eufemismo, ma temo che se riportassi le parole originali potrei incorrere nel reato di vilipendio di capo di stato o qualcosa del genere, e comunque certe espressioni qualificano chi le pronuncia) eccetera.

Ora, questo tipo di argomentazione è la negazione stessa della diplomazia, intesa in senso sia proprio che figurato. Se avesse avuto successo, il genere umano si sarebbe estinto da tempo; e solo in fumettacci come Trecento l’assassinio di un ambasciatore può venire apprezzato. Del pari, secondo questo modo di vedere non avrebbe senso nessun tipo di trattativa — niente petizioni, niente referendum, niente negoziati, niente tavoli…

Alla base di questo atteggiamento stanno, in modo tenace benché a volte confuso, il rifiuto del confronto e una ben dissimulata (in modo più o meno inconsapevole) inclinazione allo scontro: il nemico, cioè l’altro, viene percepito come indegno di considerazione e meritevole di annientamento — con tutti i corollari del caso.

È evidente che questo argomento esclude ogni tipo di dialogo.

Argomento della torre d’avorio
In apparenza simile al precedente, se ne discosta invece perché proclama una generale inadeguatezza dell’altro (chiunque sia) al soggetto (chiunque sia): è la pratica applicazione della regola “come ti muovi, sbagli”. Il soggetto percepisce se stesso come superiore a chiunque altro, e così facendo svaluta irrimediabilmente ogni iniziativa che non sia la propria: “bisognava/non bisognava…”, “si doveva/non si doveva…”, “perché non… invece di…?” eccetera, in un perpetuo biasimo dell’altrui agire. Il che comporta, perlopiù, un immobilismo rancoroso e sterile che la saggezza popolare stigmatizza così: «Chi sa fa, chi non sa insegna».

Anche questo argomento, palesemente, impedisce il dialogo.

Argomento del calabrachismo
Più formale, verte sulle modalità espressive. Nella fattispecie, mi è stato rimproverato il modo in cui mi sono rivolta al destinatario della lettera — che è, non dimentichiamolo, la guida spirituale di oltre un miliardo di persone nel mondo, nonché il capo di uno Stato riconosciuto dal diritto internazionale. Poiché dunque il papa non è Charlie Brown e io non sono Piperita Patty, apostrofarlo con un «Ehilà, Ciccio, come ti butta?» non mi è parso un approccio adeguato. Generalmente, i fautori di questo argomento tendono a confondere la forma con la sostanza, e il mezzo col fine: i più grossolani fra loro confondono l’educazione con la debolezza — errore comunissimo di questi tempi, in cui il valore di una comunicazione misurata sembra essersi perso irrimediabilmente.

Come ho fatto notare al riguardo, scrivere una lettera è un po’ come entrare in casa d’altri: e se lo faccio in modo irrispettoso e rumoroso non posso aspettarmi di essere accolta con benevolenza dal padrone di casa; se il mio obiettivo è farmi accogliere, devo necessariamente comportarmi in modo da facilitare, e non ostacolare, la cosa.

Anche questo argomento tende a precludere molte possibilità di dialogo.

Argomento della preferenza colpevole
“Sì, bravi, salvate gli agnelli: intanto muoiono i maiali, le mucche e i polli, ma tanto a voi che v’importa?”. Ovviamente, non è che si vogliono salvare solo gli agnelli/capretti perché non c’importa niente degli altri animali: ma poiché ci si offre l’opportunità di provare a cambiare le cose almeno per agnelli e capretti, personalmente trovo stupido lasciarcela sfuggire. Anche perché se si riuscisse a indurre la riflessione sulla mattanza degli agnelli/capretti, non è escluso che si riuscirebbe a indurla per analogia anche sulla mattanza quotidiana di tutti gli altri viventi non-umani. Che è, mi pare, il fine a cui tendiamo tutti. Dal momento che è palesemente impossibile far cambiare le cose totalmente e all’istante, è necessario imparare a procedere gradualmente e su tutti i fronti, dovunque si apra uno spiraglio di operatività.

A questo argomento si affianca il cosiddetto “sofisma del peggio”, come lo definisce brillantemente Jean-Baptiste Jeangène Vilmer: di qualunque orrore ci si possa occupare, ci verrà sempre obiettato che esiste “qualcosa di peggio” e ci si rimprovererà di non occuparci di questo anziché di quello.

Il punto, però, è che da qualche parte si deve pur cominciare.

Argomento del tempo perso
È assimilabile al “sofisma del peggio” di cui al punto precedente. L’assunto di base è che qualunque risultato si ottenga nella lotta per il benessere animale, si saranno spesi tempo ed energie che avrebbero potuto essere impiegati per qualche altra battaglia, perché c’è sempre qualcosa di più grave ed urgente per cui battersi. Così, in attesa della Causa Giusta, ci si agita criticando chi fa o, in alternativa, si sta fermi ad aspettare senza fare niente — e questo potremmo chiamarlo “corollario di Godot”.

Argomento della contiguità deleteria
“Bella iniziativa! Chi sono gli altri?” “Non c’è nessun altro, la lettera è mia” “Sì, ok, l’hai scritta tu, ma il gruppo?” “Non c’è nessun gruppo, l’idea è mia e basta” “Ah, è tua? E chi firma?” “Non lo so, sto appunto proponendo la cosa a chi conosco per raccogliere firme, se si è d’accordo” “No, sai, perché se firma il gruppo X o la persona Y io non posso proprio esserci, mi capisci…”.

No, non capisco. Perché non ci trovo niente di male nell’aderire, come gruppo o come singoli, a una lettera che non esibisce alcun contrassegno. Qualunque gruppo o associazione o singolo mi avesse chiesto di firmare, non avrei avuto nessuna preclusione. Ma questo pensiero matemaGico — per cui se il nome di A compare in una lista in cui compare anche il nome di B, e C lo vede, poiché C odia A odierà automaticamente anche B; e se D, che disprezza B ma è amico di C, vede il nome di C nella lista insieme a quello di B chissà cosa penserà dei rapporti tra B e C e via così all’infinito — mi sembra avvilente, e soprattutto destinato ad avvitarsi su se stesso. In altre parole, «La tua identità è quello che sei, la tua immagine è quel che io percepisco di te, la tua reputazione è quello che io dico di te a un’altra persona»: sono tre cose ben diverse, ma la maggioranza della gente tende a sovrapporle e a confonderle — un po’ per pigrizia, un po’ per comodità e un po’ per mera ignoranza. Il risultato, purtroppo, è l’instaurarsi di una serie di equivoci che, quando va bene, si risolvono in cancellazioni e blocchi virtuali; quando va male, provocano danni concreti che nessuno ripagherà. Mi chiedo se ne valga la pena, soprattutto quando, a parole, si dichiara di avere in vista il medesimo fine.

Concludere

Sono fermamente convinta che ogni esperienza rechi in sé la sua lezione: così la “Lettera”, indipendentemente dal suo accoglimento o dal suo rifiuto, mi ha insegnato che l’ostinazione a continuare sulla strada del confronto non è poi così biasimevole o peregrina; anzi, per quanto mi riguarda, è forse l’unica a rivelarsi pagante, laddove il muro-contro-muro serve soltanto a disperdere tempo e forze mentre là fuori loro soffrono e muoiono. Vorrei continuare il dialogo con quanti, attraverso la loro firma, mi hanno fatto capire che collaborare è davvero possibile, e che gli sforzi di tutti non cadono nel vuoto ma portano acqua al mulino dell’agire insieme per il bene comune — il bene di tutti i viventi. Ancora grazie, e alla prossima.


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