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Aiuta la moglie al bar durante l’assenza dal lavoro per infortunio: licenziamento senza preavviso illegittimo

Da Avvdanielaconte
Aiuta la moglie al bar durante l’assenza dal lavoro per infortunio: licenziamento senza preavviso illegittimo
E' illegittimo il licenziamento senza preavviso del dipendente che aiuta temporaneamente la moglie al bar durante il periodo di malattia a causa di infortunio sul lavoro, se l'attività prestata durante l'assenza è assimilabile a quella svolta, normalmente e ripetutamente, a casa
Il caso che esaminiamo con questo articolo riguarda un povero lavoratore che, infortunatosi sul posto di lavoro, nel periodo di assenza ha aiutato la moglie, per un paio di giorni, presso il bar di proprietà di quest’ultima.
I fatti: Tizio – dipendente di Telecom Italia con qualifica di tecnico giuntista – deve assentarsi dal lavoro per un periodo di tempo a causa di un infortunio sul lavoro, a causa del quale ha riportato un trauma distorsivo alla caviglia destra.
Un giorno viene sorpreso mentre si trova al bar – chiosco di proprietà della moglie, intento a servire i clienti, riordinare i tavoli, ecc.
Pertanto, la società datrice di lavoro intima a Tizio licenziamento senza preavviso.
Tizio impugna il licenziamento, ritenendolo illegittimo.
In primo grado, il Tribunale di Larino accoglie il ricorso, condannando Telecom Italia alla reintegra del lavoratore nel posto di lavoro, oltre al risarcimento danni.
La decisione viene confermata in secondo grado dalla Corte d’Appello di Campobasso, la quale osserva “che la non compatibilità con l’attività lavorativa (di tipo tecnico su condutture e apparecchiature pure esterne) dell’infermità riportata dal lavoratore a seguito dell’infortunio sul lavoro risultava accertata dalle certificazioni mediche le quali apparivano congrue e senza possibilità per il S. di disattenderle; che, comunque, la prescrizione di astensione dal lavoro e di riposo data al ricorrente non determinava l’inibizione di qualsiasi attività personale; che i comportamenti del S. non rivelavano senz’altro una compatibilità dell’infermità con l’attività di giuntista poiché quest’ultima si prolungava per molte ore e per la maggior parte dei giorni della settimana, comportava il salire e scendere da scale per l’operatività sulle linee telefoniche aeree o in trincea ovvero accovacciamenti; che, invece, l’attività svolta dal S. presso il chiosco della moglie lo aveva impegnato per un periodo orario ben inferiore e per un paio di giorni con un impegno per la caviglia meno gravoso, risolvendosi in condotte parificabili a quelle tenute di norma e ripetutamente nella propria casa ed, inoltre, utili a scongiurare i problemi derivanti da una lunga immobilità. La Corte ha rilevato, altresì, che i comportamenti tenuti dallo stesso non gravosi, accertati dagli investigatori una settimana dopo l’infortunio, non apparivano aver creato alcun nocumento al ristabilimento della caviglia come riscontrato dall’accertamento medico del 16 novembre 2004 e dal rientro al lavoro allo scadere del periodo di riposo, anteriore alla contestazione disciplinare. Infine, la Corte ha ritenuto infondata l’argomentazione della Telecom secondo la quale era ravvisabile un licenziamento per giustificato motivo oggettivo in quanto, secondo la Corte, non sussisteva alcun grave inadempimento idoneo a giustificare il recesso del datore di lavoro”.
Telecom Italia propone ricorso presso la Corte di Cassazione.
I Giudici di legittimità osservano che la sentenza della Corte d’Appello impugnata è adeguatamente motivata, laddove afferma che, nel caso di specie, non è ravvisabile una grave adempienza disciplinare tale da giustificare il recesso per giusta causa da parte del datore di lavoro.
Nel corso del giudizio di merito, infatti, sono emerse alcune circostanze incontroverse:
  • Lo stato di malattia del lavoratore, determinato dalla distorsione alla caviglia causata dall’infortunio sul lavoro;
  • La durata del periodo di malattia conseguente all’infortunio sul lavoro (dai certificati medici depositati si desume che vi era incompatibilità tra le lesioni subìte da Tizio e l’attività lavorativa svolta presso la società datrice di lavoro – certificato di Pronto Soccorso e conferma del sanitario INAIL).

La Suprema Corte aggiunge che, come dalla medesima più volte affermato, “Lo svolgimento di altra attività lavorativa da parte del dipendente assente per malattia può giustificare il recesso del datore di lavoro, in relazione alla violazione dei doveri generali di correttezza e buona fede e degli specifici obblighi contrattuali di diligenza e fedeltà, oltre che nell’ipotesi in cui tale attività esterna sia per sè sufficiente a far presumere l’inesistenza della malattia, dimostrando, quindi, una fraudolenta simulazione, anche nel caso in cui la medesima attività, valutata con giudizio ex ante in relazione alla natura della patologia e delle mansioni svolte, possa pregiudicare o ritardare la guarigione e il rientro in servizio” (vedi, ex multis, Cass. n. 14046 del 2005).
Entrando più nello specifico, “in tema di licenziamento per giusta causa, la condotta del lavoratore, che, in ottemperanza delle prescrizioni del medico curante, si sia allontanato dalla propria abitazione e abbia ripreso a compiere attività della vita privata - la cui gravosità non è comparabile a quella di una attività lavorativa piena - senza svolgere una ulteriore attività lavorativa, non è idonea a configurare un inadempimento ai danni dell’interesse del datore di lavoro, dovendosi escludere che il lavoratore sia onerato a provare, a ulteriore conferma della certificazione medica, la perdurante inabilità temporanea rispetto all’attività lavorativa, laddove è a carico del datore di lavoro la dimostrazione che, in relazione alla natura degli impegni lavorativi attribuiti al dipendente, il suddetto comportamento contrasti con gli obblighi di buona fede e correttezza nell’esecuzione del rapporto di lavoro” (Cass. n. 6375/2011).
Sulla scorta di queste motivazioni, la Corte di Cassazione – Sez. Lavoro – con la sentenza n. 15476 depositata in data 14.09.2012 ha rigettato il ricorso di Telecom Italia, condannando quest’ultima al pagamento delle spese di giudizio. 
Roma, 18 settembre 2012 
Avv. Daniela Conte
Dott.ssa Stefania Errigo 
Studio Legale Avv. Daniela Conte & Partners
RIPRODUZIONE RISERVATA 

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