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Al Bari International Film Festival la master class di Margarethe von Trotta: la regista europea

Creato il 29 marzo 2015 da Alessiamocci

Nell’ambito del Bari International Film Festival il 25 marzo, dopo la proiezione di “Katyn”, Andrzej Wajda ha tenuto una master class coordinata da Grazyna Torbicka. Il regista è stato premiato in serata con il Fipresci 90 Platinum Award.

Il 26 marzo Edgar Reitz ha incontrato il pubblico del Bif&st dopo la proiezione di “Heimat Hermännchen (1955-1956)”, la master class è stata coordinata da Klaus Eder. Nella serata Edgard Reitz ha ricevuto il Fipresci 90 Platinum Award.

Il 27 marzo al Teatro Petruzzelli di Bari, Margarethe von Trotta ha tenuto una master class coordinata da Klaus Eder dopo la proiezione del suo “Die Blaierne Zeit” (Anni di piombo) vincitore del Leone d’Oro come “Miglior Film” alla 38ª Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia ispirato alla vicenda di Christiane e della sorella Gudrun Ensslin che appartenne alla “Banda Baader-Meinhof” e fu trovata morta in prigione nel 1977.

Felice di rivolgersi ad un pubblico di giovani, la regista ed il critico cinematografico hanno piacevolmente parlato in italiano.

Il film che fece comprende ad una allora sedicenne Margarethe von Trotta l’importanza di lavorare per i giovani fu “I bambini ci guardano” di Vittorio De Sica: la regista riprendendo le parole di Ettore Scola, ha ribadito l’importanza per i giovani di essere parte attiva della società, di qui il suo  apprezzamento per il Bif&st che sin dalla prima edizione ha avuto come interlocutori privilegiati proprio i giovani.

Margarethe von Trotta ha sempre dedicato particolare attenzione alle donne: prima con le sorelle del suo “Die bleierne Zeit – Anni di piombo” (1981), poi, quando con Dacia Maraini ha affrontato la riscrittura de “Le tre sorelle” il dramma teatrale di Čechov del 1900, con “Fürchten und Lieben – Paura e amore” (1988). La sua ultima opera presentata in anteprima internazionale al Bif&st è “Die Abhandene Welt – The Misplaced World” con Barbara Sukowa e Katja Riemann: il film è molto vicino alla storia personale della regista che come la protagonista ha scoperto dopo molti anni di non essere figlia unica.

La Von Trotta ha dichiarato ironica che questo sarà l’ultimo film in cui rifletterà su un tema che abbia come oggetto le sorelle.

Spesso alla regista viene rimproverato il fatto di avere girato sette film con Barbara Sukowa: a proposito di questo ha risposto schietta: «Fassbinder e Bergman avevano i loro attori: perché io no, perché sono donna? Anche in questo Festival sono l’unica donna a fare master class!».

La Von Trotta ha poi ricordato il suo film su Rosa Luxembourg “Rosa L.” del 1986 presentato in concorso al 39º al Festival di Cannes dove Barbara Sukowa vinse il premio per la miglior interpretazione femminile, ed il più recente “Hannah Arendt” del 2012. Tutte queste figure di donne eccezionali sono state interpretate con profondità e intelligenza dalla Sukowa. L’attrice ha sempre letto la sceneggiatura e tutte le fonti della regista che, da “intellettuale”, ha tentato di far emergere dalle vicende l’interiorità dei personaggi.

«Quando mi sono avvicinata a Rosa Luxembourg cercavo che mi permettesse di avvicinarmi alla sua interiorità perché i documenti che si trovavano erano esclusivamente politici»: la regista attraversava la frontiera per raggiungere l’Istituto marxista leninista a Berlino est e quando finalmente raggiungeva l’archivio si dedicava alle 2500 lettere indirizzate a vari destinatari. A ciascuno la Luxembourg scriveva tenendo ben presente la personalità a cui si rivolgeva, a ciascuno mostrava aspetti diversi di sé. Questa circostanza ha dato alla Von Trotta, che ha dichiarato di avere letto per cinque volte il materiale epistolare, la possibilità di far emerge una gamma di “versioni” diverse della Luxembourg: il mosaico si compone attraverso i diversi approcci della donna ai suoi interlocutori ed è ciò che la regista conserva di più intenso di questo film, e si chiede «Oggi che nessuno scrive più lettere, come si potrebbe far emergere questa interiorità?»

Un cinema di genere, quello della Von Trotta, fatto da una donna sulle e per le donne. «Ma – sottolinea la regista – non sono l’unico caso in Germania: è solo che ho un nome facile da dire in tutte le lingue anche se è stato molto difficile fare film in Germania. Ho cominciato come attrice, ma volevo fare la regista. All’inizio non potevo nemmeno dirlo perché nessuno avrebbe dato credito a una donna che voleva fare la registra. Infatti il primo film che ho fatto “Die verlorene Ehre der Katharina Blum” (Il caso Katharina Blum) con Volker Schlöndorff non vede il mio nome sui poster originali perché la produzione non riteneva opportuno che figurassi come regista. Solo adesso è riconosciuto che il film è anche mio. Appartengo alla generazione di registi “autoriali” tedeschi che per fare un film partiva proprio scrivendo la sceneggiatura e per questa attività non era previsto un compenso, come ho scoperto qui in Italia anni dopo, con l’esperienza di “Paura e Amore”. Poi mi è piaciuta l’Italia e sono rimasta qui. Io sono apolide, non sento di avere una “heimat”, posso vivere ovunque, sono una nomade».  

La Von Trotta che in apertura aveva parlato dell’avversione per la Germania colpevole del conflitto mondiale e del ricordo delle macerie di Berlino, ha ribadito di non voler essere etichettata come “regista tedesca” «Mi piace la definizione che ha pensato per me Klaus Eder: sono una regista europea» ha affermato.

Sul suo rapporto con la televisione ha dichiarato «Mi piace lavorare per la TV tedesca. Quando viene proposto un film per la TV sei certa che lo farai, non accade come per il cinema, che ormai ha tempi lunghissimi di pre-produzione. La TV ha senza dubbio condizioni più dure di lavorazione e tempi più brevi, ma soprattutto lavorare per la TV mi offre la possibilità di migliorarla».

Gli attori italiani che ha sempre apprezzato sono Volonté e Mastroianni.

«In Germania – ha detto – è difficile trovare attori così. Oggi che avrei avuto il coraggio di chiedere loro di lavorare con me ma purtroppo non ci sono più».

«Non faccio film “a comando”- ha concluso – ciò che mi interessa rappresentare con il mio Cinema sono personaggi che incarnino qualcosa che mi appartiene e far emergere cosa c’è dentro di loro, la parte più profonda, nascosta anche alle stesse protagoniste. Il cinema è la mia vita».

Nella serata Margarethe von Trotta è stata premiata con il Fipresci 90 Platinum Award.

 

Written and Photo by Irene Gianeselli

 

Info

Sito Bari International Film Festival

 


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