Magazine Cinema
spoiler pesanti solo dopo la linea divisioria nel fondo
Ricordo che il mio primo contatto (fino ad oggi rimasto poi unico) con Saverio Costanzo fu in un piccolo cinema di Modena. Dovevo passare alcune ore nella città emiliana e non sapendo che fare non trovai niente di meglio che infilarmi là dentro. Proiettavano "In Memoria di me", bel film che racconta di un giovane entrato in convento che piano piano inizia a nutrire fortissimi dubbi sulla sua vocazione. Pellicola rigorosa come la materia che trattava, priva di sensazionalismi e molto interessante nei contenuti.
Era buffo che un perugino come me si trovasse a Modena a vedere un film nel quale uno dei due attori principali, un allora non conosciutissimo Filippo Timi (siamo un anno prima del boom firmato Salvatores e poi Bellocchio) non solo era praticamente un concittadino (ricordo ancora come nel film riconobbi benissimo la cadenza umbra) ma aveva rischiato pure di essere pochi mesi prima la sua materia di tesi di laurea (idea giustamente cassata poi dai docenti, cosicchè da Timi passai a Flaiano).
Insomma, vado a Modena, vedo un film e ci ritrovo dentro Perugia e la mia vita, simpatico.
In realtà Costanzo aveva già conquistato la critica tre anni prima con Private, piccolo film che in maniera piuttosto originale trattava la questione israelo-palestinese.
Lo ritrovo oggi, 7 anni dopo, con un film presentato a Venezia.
E lo ritrovo dove lo avevo lasciato, al chiuso, e se 7 anni il chiuso era quello di un convento, adesso, 7 anni dopo, è il bagno di un ristorante cinese.
Si svoge tutto lì il prologo di Hungry Hearts, più di 5 minuti stretti in 4 metri quadrati, con i due protagonisti impossibilitati ad uscire a causa di un guasto alla porta. E tra la puzza dei bisogni appena fatti di lui e qualche risata imbarazzata scoppia l'amore.
E l'amore fa il suo decorso, e il suo decorso, alla fine, è un bimbo.
Lei, già incinta, comincia a fare uno strano sogno, con un cacciatore che uccide un cervo e se ne va. E inizia a provare malessere, specie quando vede cucinare o mangiare carne.
Nasce il bambino e parte il vero Hungry Hearts, una specie di "thriller etico" capace di smuovere le coscienze e tenere abbastanza sotto pressione lo spettatore.
Sbaglierebbe chi dovesse considerare questo film di Costanzo come un'accusa al veganismo e alle sue derive. Il veganismo è solo una delle tante manifestazioni della paranoia di Mina. Non a caso non deriva affatto da un amore o un rispetto per le altre creature viventi, ma soltanto dalla voglia di proteggere la purezza del proprio corpo e di quello di suo figlio.
Questo non è quindi (solo) un instant film, ovvero una pellicola che cerca di raccontare la strettissima attualità, ma un film sull'amore-ossessione, come ce ne sono stati moltissimi nella storia cinematografica.
Lei vuole far crescere suo figlio nella purezza, difendendolo da tutto.
E non solo, maniacalmente, dagli spigoli dei mobili, ma anche da esami medici, luce del sole, carne e derivati animali, mani sporche.
Lui la ama, prova a seguirla, ma ad un certo punto la situazione diventa insostenibile, il bambino non cresce, anzi, non può crescere.
Comincia così a formarsi una frattura sempre più grande nella coppia, lei che non si sposta un millimetro dalle sua posizioni e lui (che oltre all'amore possiede una coscienza) che cerca in tutti i modi non solo di salvare il bimbo, ma l'intera famiglia.
Costanzo racconta questo inferno domestico seguendo i suoi personaggi in primissimo piano, cercando di coglierne ogni possibile sfumatura negli sguardi.
E ad aiutarlo ci sono due interpreti magnifici, la sempre più odiata Rohrwacher (che molti forse non sopportano per quel viso e per una snobberia che traspare sotto la timidezza mentre io, invece, dopo averla enormemente apprezzata ne Il papà di Giovanna e ne L'uomo che verrà l'ho trovata qua ancora più grande) e il "nuovo" Adam Driver, un passato da militare e una carriera cinematografica cominciata alla soglia dei 30 anni, uno che ha un fisico e un viso da cinema se ce n'è uno.
La Rohrwacher poi con la sua magrezza, la sua carnagione e quel viso malaticcio costruisce un'interpretazione al confine della mimesi.
Costanzo trascina gli spettatori e i suoi personaggi in un vortice sempre più nero e denso, tanto che persino la regia, a un certo punto, sembra cambiare, con quelle riprese distorte, quei grandangoli e quella luce sovraesposta della parte centrale. E anche la colonna sonora in quei momenti, quando ormai la paranoia ha raggiunto il suo culmine, si fa distorta, fastidiosa.
Hungry Hearts è un film sull'amore perchè lei ama lui, lui ama lei ed entrambi amano da morire il loro bambino (di cui non sapremo mai il nome) ma è soprattutto un film sull'ossessione. E quasi per definizione nessuna ossessione è mai buona, nessuna ossessione è mai sana. Mina non è una cattiva persona, e non è nemmeno un essere umano dai principi sbagliati (tutt'altro) ma l'aver portato questi principi ad esasperazioni inumane ne fanno una persona malata, e per questo anche pericolosa.
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Cuori affamati dice il titolo, giocando (in maniera assolutamente notevole) su quell'eccesso d'amore che porta a un difetto nutritivo. Amore che nega cibo, cibo che nega amore.
E nel finale mi piace aver colto (ma forse era abbastanza evidente la cosa) il reificarsi di quel sogno ricorrente di Mina, con lei che diventa cervo e quella donna (non a caso sposata ad un ex cacciatore) che la uccide.
Ma stavolta, forse, quel cervo non era così innocente e in qualche modo (ma non quello, non quello) andava fermato.
Hungry Hearts racconta una questione molto delicata.
Le ossessioni, anche quelle più devastanti e distruttive, molto spesso non nascono da qualcosa di sbagliato ma, al contrario, da propositi ed emozioni delle più belle e pure.
L'ossessione è un mostro che diventa tale dopo essere stato uno splendido principe.
L'ossessione è quell'eccesso di vita che, se non viene controllato, può portare alla morte.
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