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Al funerale dei Queens Of The Stone Age

Creato il 10 giugno 2014 da Cicciorusso
Forza QOTSA, dai che siamo tantissimi!

Forza QOTSA, dai che siamo tantissimi!

La settimana scorsa sono stato al concerto romano dei Queens Of the Stone Age. Forse sto diventando il prototipo del vecchio rincoglionito nostalgico ma quello che ho visto non mi è piaciuto per niente. Vorrei davvero tralasciare le tipiche lamentele su un sound ridicolo che riesce contemporaneamente ad essere sia basso che confuso, però questa volta, data la situazione iper-professionale, è necessario parlarne. Perché se la cosa (forse) ci può stare quando si tratta dei piccoli locali, che si debba sentire in maniera così merdosa in una situazione che non soffre certo di scarsità di mezzi (palco enorme e un’amplificazione sicuramente di livello) non si spiega proprio. Ma passiamo oltre. In realtà, l’unica vera preoccupazione che avevo riguardo alla serata era di dover dividere spazio e tempo con una massa di teste di cazzo, perché quando una band arriva a far parte del giro del rock mainstream questo è un rischio che si corre. Mi duole davvero avere ragione, ma quello radunato la sera dello scorso martedì 3 giugno era il peggior pubblico con cui credo di aver da tempo condiviso la platea; non ricordo nulla di così pessimo da quando molti anni fa mi trovai per caso nel mezzo ad un concerto di Luca Carboni.

Come i QOTSA siano arrivati agli attuali livelli di popolarità, poi, non mi è neanche chiarissimo. Nonostante l’innegabile parabola discendente imboccata da dopo Songs For The Deaf (difficile mantenere certi standard dopo tre album del genere in sequenza), restano una band seria, la svolta ‘commerciale’, se proprio c’è stata, non è tale da giustificare l’esposizione di cui godono oggi. Fatto sta che ti ritrovi in mezzo a gente così inetta che non sa manco le parole di Feel Good Hit Of The Summer, mica di The Bronze o di una qualche cosa tirata fuori da una delle prime Desert Sessions. Ecco, il livello è questo. Josh Homme chiede al pubblico di cantare con lui nicotine valium vicodin marjuana etc. e tutti restano zitti; il commento di una tizia dietro di me è il seguente “Ah Joshe ma cambia canzone!” e poi data la poca risposta del pubblico “Ahò ma questo è un fail, anzi un epic fail!” con grasse risate a seguire. Occhei, fatemi capire come funziona: tu non conosci le parole di uno dei pezzi più fichi che hanno scritto e invece di interrogarti sulla tua pochezza ti senti legittimato a sghignazzare; a me sembra però che il fallimento sia solo esclusivamente tuo. Magari sono io che mi sbaglio. Questi sono gli stessi tizi che sbadigliavano mentre la band suonava Better Living Through Chemistry (pezzo migliore della serata), invocavano che il brano finisse e pensavano il fonico avesse fatto casino perché tutto sembrava loro poco pulito. Un tempo avrei fatto a botte per molto meno, oggi sono magnanimo.

Considerazione più ampia: in questo paese oggi è bello, giusto e necessario professare la propria ignoranza. Qualche mese fa un film italiano ha vinto l’Oscar. Non essendo un cinepanettone, la pellicola è un pizzico più difficile da seguire o apprezzare di una gag di Benny Hill, il che è quasi un atto di lesa maestà alla deficienza. Sui social network (la fogna dell’umanità) si scatena la gara a vomitare giudizi di tronfia e autocompiacente ignoranza sul film e il regista. Per quel che mi riguarda, tali giudizi hanno però il solo effetto di palesare la scarsità di intelletto di chi li esprime, tocca prendere atto che per molti è bello e positivo essere dei cerebrolesi. Bene così, chiusa parentesi. Ora mi aspetto i commenti dei ‘fans’: “ma che c’entra la gente con la band, sono due cose ben distinte e bla bla bla”. Eh no, bello mio, la cosa conta eccome, perché se attiri un pubblico di merda in un modo o nell’altro la colpa è anche tua, è una questione di rappresentanza. Ai concerti di Ligabue mica ci trovi gente normale, qui funziona allo stesso modo.

Esclusiva Metal Skunk: svelata la nuova line up dei QOTSA.

Esclusiva Metal Skunk: svelata la prossima line up dei Queens Of The Stone Age.

E, se volete continuare a considerare la questione del pubblico una faccenda esogena, va bene, ci sarà un punto sul quale dobbiamo essere tutti d’accordo: questi nuovi comprimari che il nostro Josh si è scelto sono quanto di più scialbo in circolazione. Ci tengono talmente tanto a fartelo sapere che hanno tutti in bella mostra il più orrido agghindo degli ultimi anni: il ciuffo emo. Sì, vale anche per te, caro Troy VanLeeuwen, chi va con il ciuffo impara a ciuffizzare. Ecco, sento ancora i commenti degli acritici adulatori: “Eh ma che c’entra? Parliamo della musica o di tagli di capelli?” Scusa amico, ma ho da tempo imparato che la forma in molti casi è anche sostanza e presentarsi in modo adeguato nelle occasioni pubbliche dice molto di te, è una faccenda importante. Perché se i Metallica con l’ombretto e il mascara non si possono vedere, se Berlusconi che accoglie Tony Blair con la bandana è ridicolo, allora i QOTSA con i ciuffi emo sono una roba altrettanto inguardabile. Punto e basta. E comunque è solo un modo per dire che di tutte le line-up che hanno cambiato nel corso degli anni questa è senza dubbio la peggiore.

La prima volta che li ho visti, la formazione, oltre al roscio, vedeva Alfredino Hernandez alla batteria, Nick il pazzo al basso, e Dave Catching alla chitarra hawaiana e altre menate; la volta dopo c’erano Castillo, Oliveri e anche Mark Lanegan (capito, sì?). Al tour di Era Vulgaris già andò molto peggio… Fino ad arrivare a dove siamo oggi, ai ciuffi emo. Ma per favore. Che questi siano comprimari si vede un bel po’, quando stai sul palco non devi solo saper suonare, è anche una questione di personalità e quella non è roba che compri al mercato ortofrutticolo. Poi (chissà come mai?) io You Think I Ain’t Worth A Dollar me la ricordavo meglio, mah, forse manca qualcosa… Il problema vero è che io questa band la adoro come poche altre, il loro primo album è uno dei miei dieci dischi preferiti di sempre, Songs è un album inarrivabile, tra i top assoluti della decade di appartenenza. All’università ho anche scritto una tesina di semiotica su Feel Good Hit Of The Summer che mi è valsa l’unico trenta e lode in una grigissima carriera accademica. Insomma con questi ci sto (stavo?) in fissa davvero, forse è da qui che parte la delusione per una cosa che sento mia più di ogni altra ma nella quale oggi faccio davvero fatica a riconoscermi. Da varie parti ho letto recensioni iperboliche su questa stessa serata. Non so che dire, beati voi che vi siete divertiti tanto, sarebbe piaciuto anche a me ma lo zompettare con roba simil indie alla If I Had A Tail insieme ad una selva di fagiani non è proprio la mia idea di rock’n’roll. Se sei un pischello e ti è piaciuto, ti giustifico anche. Se però li segui già da un po’ e sta cosa ti ha mandato in brodo di giuggiole, mi sa che stai invecchiando maluccio, proprio come loro.

 



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