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Al Salone del Libro si parla di femminicidio

Creato il 18 maggio 2013 da Retrò Online Magazine @retr_online

Oggi, sabato 18 maggio alle 12.30, nella Sala Gialla del Salone del Libro c’è stato l’incontro, o piuttosto il dialogo tra le quattro autrici Al Salone del Libro si parla di femminicidio di due libri. Due libri, due modi di raccontare un gran numero di storie, un argomento ed un obiettivo comune: parlare e informare sulla morte delle donne quando avviene per mano dei compagni.

Michela Murgia e Loredana Lipperini presentano e parlano del loro libro “L’ho uccisa perché l’amavo”. È un libro che conta sulla potenza delle parole, sulla loro forza di creare il pensiero e di poter cambiare quindi alcune visioni culturali e la formazione delle persone. Si parla di femminicidio, una parola forte ma anche scomoda, che spesso viene rifiutata perché si sostiene discrimini le donne. Purtroppo però il femminicidio esiste e le due autrici ragionano di come viene raccontato, nei media come nella vita quotidiana, confutando tutti gli elementi che generalmente lo minimizzano o lo negano. Ancora, con una precisa panoramica sulla situazione italiana ci viene esposto come, a differenza di tutti gli altri crimini che stanno decrescendo, il femminicidio cresce percentualmente: se vent’anni fa su 1500 delitti 150 erano femminicidi, oggi la proporzione è 150 su 600. Una donna su quattro viene uccisa dal compagno (vengono contate infatti solamente le donne che arrivano a venire uccise). Murgia e Lipperini si propongono di lavorare sul racconto e sulle parole cercando una soluzione a partire dalla cultura, che ha sempre parlato di questa problematica mettendosi sempre però nello sguardo dell’uomo, si pensi a un capolavoro come la Carmen e alla gloria di Don Josè, e sostengono che bisognerebbe arrivare a celebrare certe opere d’arte però mettendosi dal punto di vista delle vittime. Se non si cambiano le parole, continuano, non si cambiano le persone; si deve andare oltre la cronaca giornalistica perché spesso essa legittima alcune categorie per via dell’utilizzo di un linguaggio sminuente, ad esempio quando si parla di “incidente”. Ogni capitolo del libro è intitolato con una frase che le due donne propongono di abolire: il femminicidio e certe tematiche devono essere affrontate come obbligo morale; le donne in questi casi vengono uccise per cause precise, per degli uomini che ne rivendicavano il possesso, e rifiutarsi di affrontare le cause e le ragioni di questi omicidi (ma anche solo di certe “morti quotidiane” di coloro che vengono maltrattate)è rifiutarsi di affrontare il problema.

L’altro libro, “Questo non è amore”, curato dalle giornaliste del blog del Corriere della Sera “La 27ma ora” e presentato dalla Stefanelli e dalla Fasano nasce da un’inchiesta partita un anno fa sulla violenza sulle donne. Il libro dà voce e la parola alle donne ma anche agli operatori che lavorano al fianco: sono 20 storie più alcuni capitoli sull’esperienza di psicologi, carabinieri, magistrati e addetti ai centri anti-violenza. Le due donne hanno esposto tre scelte che rappresentano i fili d’Arianna del libro: lasciare ogni donna libera di raccontare usando i suoi modi e il suo linguaggio; la volontà di specificare e determinare che quando un uomo maltratta una donna non lo fa per amore, che l’amore è altro (nonostante l’opinione differente riportata di Lea Melandri per cui è una forma distorta d’amore, e bisogna prenderne atto) e, infine, riportare storie di donne di età e situazioni diverse, soprattutto stalking e maltrattamenti, ma che riescono a salvarsi, spesso grazie alla classica “goccia che fa traboccare il vaso” che smuove e sblocca situazioni stagnanti e orrende.

Tutte e quattro le donne, la Murgia e la Lipperini e la Stefanelli e la Fasano, sono concordi nell’affermare che quello che potrebbe passare per un problema delle donne è prima di tutto un problema degli uomini, che c’è bisogno di uomini diversi, di persone diverse, e che un risultato si può ottenere cambiando il modo di pensar partire da scuola e formazione e facendo attenzione ad ogni nostro pensiero e atteggiamento quotidiani.

Articolo di Miriam Barone.


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