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Al Teatro Nuovo di Napoli gran successo per Jucature

Creato il 09 gennaio 2014 da Vesuviolive

Jucature

Dal 20 Dicembre 2013 al 6 Gennaio 2014, la compagnia teatrale Teatri Uniti ha portato in scena, al Teatro Nuovo di Napoli, la commedia Jucature. L’opera rientra in quel ciclo di riadattamento che Enrico Ianniello ha avviato con la precedente esperienza di Chiove. Il regista per la seconda volta ha trapiantato un’opera della drammaturgia spagnola contemporanea in un contesto partenopeo.

La commedia, premiata in patria con il Premio Butaca 2012, e in Italia di recente con il prestigioso Ubu, sta ottenendo un grande successo di pubblico ma sopratutto di critica. In scena, oltre il regista Ianniello, ci sono Renato Carpentieri, Tony Laudadio e Giovanni Ludeno. La trama si rivela semplice ma ricca di spunti di riflessione; quattro amici, un professore universitario, un barbiere, un becchino e un attore, con il vizio del gioco, si riuniscono puntualmente a casa del più anziano per la solita partita a carte. Durante questi incontri si confidano i proprio problemi e in certi casi si cercano delle soluzioni. Un giorno, quasi dal nulla, sorge una folle idea : per risollevare le quattro disastrose situazioni economiche si decide di eseguire una rapina in banca. Il colpo riesce ma la commedia si risolve in un finale aperto; non si sa bene infatti cosa ne faranno i quattro personaggi del denaro guadagnato.

Tema principale della commedia è il fallimento e la paradossale convivenza con questo. I quattro uomini sono assuefatti dal loro insuccesso esistenziale, ne sono consapevoli, eppure insistono nel cercare di cogliere l’obiettivo che da tempo è stato mancato. L’attore,interpretato magistralmente da Tony Laudadio, per dirne una, è consapevole ogni volta di non riuscire ad ottenere la scrittura tanto desiderata e comprende a pieno l’inganno che riceve puntualmente ad ogni provino, eppure insiste nel presentarsi.

Il becchino balbuziente, interpretato dallo stesso Ianniello, vero protagonista della pièce, capace più degli altri di strappare tantissime risate e fragorosi applausi, rimpiazza la mancanza di un reale affetto, di una vera storia d’amore, andando a prostitute. Il tentativo di colmare questo vuoto viene tradito dalla sua gelosia nei confronti di una, e una sola, ragazza dell’est asiatico. Quando però questa tornerà in Ucraina, egli immediatamente la sostituirà con un’altra. Anche in questo caso il personaggio sa bene che non avrebbe mai potuto ottenere gli stessi piaceri di una regolare storia d’amore, con una volgare prostituta.

Il professore, interpretato da un bravo Renato Carpentieri che non ha però espresso a pieno le sue potenzialità, nonostante si sia oramai liberato della presenza di un padre che sembra sia stato particolarmente autoritario ed oppressivo,  viene perseguitato dal suo fantasma, che in realtà non è che la sua stessa coscienza e dal fatto di non essere riuscito a vivere un normale, tranquillo e sereno rapporto padre – figlio, come tutti gli altri.

Infine abbiamo il barbiere, interpretato da Giovanni Ludeno, che francamente si è rivelato il meno convincente,  il quale non accetta il fallimento del matrimonio con la moglie, ammettendo che forse lei stia vivendo una relazione extraconiugale.

Ognuno di loro cerca nel gioco quelle sensazioni che non riescono a percepire nelle loro quasi inutili esistenze. Si tratta di un vero circolo vizioso in cui si cerca di annullare l’inappagamento, con un qualcosa che in realtà non ci riuscirà mai.

In altri termini il fallimento per il catalano Pau Mirò, autore appunto di Els Jugadors, non è un qualcosa di tangibile, come la banale mancanza di denaro o di un lavoro particolarmente soddisfacente, ma sta proprio nella non realizzazione di un obiettivo prefissato e la consapevolezza di non poterlo raggiungere più. Si tratta, direbbero gli stoici, della mancata realizzazione della propria natura, delle proprie predisposizioni innate.

Non è un caso se l’autore di tale opera proviene dalla Spagna. In un periodo storico come questo in qui paradossalmente questa crisi economica ci sta spingendo ad anteporre il denaro a qualsiasi altra cosa,a causa del nostro naturale istinto di sopravvivenza, le persone spesso tendono a fare delle scelte suggerite dall’esigenza di ricchezza e non dalla propria natura, dai propri reali desideri. Il denaro però non riempirai mai quel vuoto che può essere soddisfatto solo dal riuscire a fare ciò che realmente ci soddisfa. Il messaggio, se pur esteso in certi termini teatrali e filosofici, può essere racchiuso in un semplice monito di natura popolare: <<Non si vive di solo pane!>>.


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